
In scena lo stesso Giannini è davvero bravo: la regge da solo per più di un'ora, nel duplice ruolo di padre e figlio succedutisi a reggere la portineria di uno stabile di via Muratori, Roma centro oggi - quartiere popolare ieri, davanti al quale fu ucciso il ragazzo che da il nome al tutto, nel "lontano" 1975. Ha tempi eccellenti, e buon magnetismo, aiutato da un testo che regge e scorre leggero nonostante la grevità dell'argomento, grazie anche all'appoggio di una colonna sonora ben scelta nel serbatoio ricchissimo di quegli anni.
Ed è proprio nella tirata sulla specificità di quegli anni contrapposti ai nostri, piazza e partecipazione contro tivvù e disimpegno, lasciata al portiere padre quando finalmente si decide a raccontare al figlio tornato dal G8 di Genova i fatti a cui assistette tanti anni prima, il momento più emozionante della rappresentazione.
Allo stesso livello, il primo piano stretto sugli occhi di Pasolini, ucciso lo stesso anno, mentre si ascoltano le sue lucidissime parole di vero profeta dello sciagurato tempo che verrà, il nostro.
Il tutto è tratto dal libro-inchiesta omonimo dello stesso Massimiliano Coccia, che a questo punto bisogna cercare. In memoria di tutte le vittime di una finta democrazia, e di un ragazzo di nome Piero, che avrà sempre diciassette anni: chiude così lo spettacolo, mentre sotto parte l'incredibilmente attuale Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano, e iniziano dieci minuti almeno di applausi convinti.
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