lunedì 15 giugno 2009

CI SONO GABBIE E GABBIE

Giufà non si ferma più, ma io lo pubblico non solo perché è mio cugino e quindi è in linea editoriale col blog (essendo io Cugino lui in teoria sarebbe Cugino al quadrato), ma perché sta affinando il suo stile e reindirizzando i suoi strali verso campi diversi di quello del pubblico impiego, su cui si era misurato finora. Dell’argomento di cui tratta, voglio aggiungere solo una notazione: le gabbie salariali già ci sono. E non solo perché ci sono in tutte quelle situazioni, e in Italia sono tantissime, più o meno legali, in cui la retribuzione non è stabilita per contratto. Ma anche perché per stabilire se ci sono o meno non bisogna fare riferimento ad uno Stato ma ad un’area monetaria. Per cui, essendo la nostra ormai (per fortuna, grazie a Santo Prodi) sovranazionale, di fatto le gabbie salariali esistono e infatti gli italiani a parità di condizioni guadagnano molto meno dei loro omologhi di quasi tutto il resto dell’area Euro. Di quanto la cosa sia inefficace a favorire la piena occupazione in Italia, lo vediamo tutti, e questo taglia la testa al toro degli argomenti caprini con cui i nordisti tentano di intortarcela dicendo che le gabbie salariali convengono pure al sud. Di quanto la cosa sia efficace a proteggere il differenziale di ricchezza delle aree più forti, anche questo è evidente, e ciò a ulteriore dimostrazione di quanto l’egoismo di pancia sia il motore immobile dei successi elettorali del carroccio. Rispetto a tutto ciò, il federalismo fiscale è un cavallo di Troia sia degli uni che degli altri, coi nordici che lo cavalcano pensando di ottenere finalmente che i soldi delle loro tasse restino a loro, e i sudici che lo riempiono pensando di ottenere nuova linfa assistenzialista via città metropolitane tributi locali e quant’altro. Le due cose, ovviamente, non possono verificarsi assieme, e in ogni caso il tutto si risolverà in una bancarotta dello Stato, per giunta inintelligibile prima che abbia raggiunto la fase incurabile. Detto questo, la cornice per leggerci il quadro delle considerazioni di Giufà sulle gabbie salariali è pronta.

Et seminant dolore et metunt eos - Seminano dolori e li mieteranno (Giobbe 4,8)

Mentre i Maîtres à penser della Sinistra desaparecida o dei catto-liberal momentaneamente all’opposizione ancora discutono sul sesso degli angeli levitando in meditazione, cioè anziché guardare alle cose correnti (lavoro, casa, pensione) che poi sono gli incubi ricorrenti dell’italico cittadino chiosano giornalmente sulle esternazioni surreali e sulle performances piccanti del Piccolo Napoleone e della relativa corte dei miracoli, ecco che i praticonzoli di successo della politica padana tentano di allungare le mani sul po’ (con l’apostrofo, col fiume o nel fiume facciano quello che gli pare) di equo che ci è ancora rimasto, riproponendo odiose, becere ed ingiustificabili suddivisioni geografiche, e perché no razziali, tra lavoratori: le famigerate anacronistiche gabbie salariali. L’intento dei leghisti come al solito non è nobile, e vediamone il perché.
Con tale termine claustrofobico si indicava la differenziazione retributiva su base territoriale del lavoratore subordinato, quando ancora, prima delle conquiste sindacali degli anni ’60, non esistevano i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Facciamo un esempio banale del sepolto passato: due operai si alzano alle 6.00 del mattino a Trapani e a Udine; il datore di lavoro è lo stesso, medesimi sono l’orario di lavoro e le mansioni svolte, così come l’utile dell’imprenditore. La sera tornando a casa col salario giornaliero in tasca il siculo ha mettiamo il 15% di paga giornaliera in meno del friulano, e ciò solo perché vive al Sud dove si sa (si sa?) la vita costa meno.
Scomodiamo la Costituzione, e non tanto per il principio di libertà e di eguaglianza dei cittadini di cui all’art. 3, quanto piuttosto l’art. 36 che si preoccupa di sancire il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, non menzionando altri elementi esterni al rapporto lavorativo, del tipo gusti calcistici o preferenze sessuali, che pure possono incidere sulla capacità di spesa del trapanese in misura diversa del suo collega settentrionale. Quindi, direi giustamente, i due oggi, ma ancora per poco, devono ricevere la stessa paga.
Tuttavia, anche con l’avallo di altre forze al governo, si sta facendo strada l’ipotesi di pagare le retribuzioni di più al Nord perché la vita è più costosa, anche se moltissimi studi economici dimostrano che non sia esattamente così (es. Reggio Calabria, e non Emilia, è la città più cara nel settore abbigliamento: qui una tabella elaborata su dai Istat-Unioncamere).
Concediamo pure che sia come appare (anche se seri dubbi ci sono sui parametri utilizzati: se sono come quelli con cui calcolano l’inflazione non c’è da fidarsi…), e forse ancora si potrebbe essere d’accordo nel differenziare geograficamente se solo ci fosse per il lavoratore una indennità sul “carovita” che peraltro non esiste più da decenni, cioè un qualcosa che ripristini il potere d’acquisto per l’aumento del costo dei beni e servizi, che registrano incrementi ben maggiori degli aumenti salariali degli ultimi anni, disgiunta dalla retribuzione che si ripete deve essere legittimamente proporzionata allo sforzo lavorativo e a null’altro.
Piccolo particolare: stiamo parlando di differenti zone geografiche del Paese (Nord-Sud), con altrettanto notorio divario sociale ed economico, come quello che di norma lega la madrepatria alla colonia.
A Trapani, Sicilia, i servizi pubblici non sono come quelli del Friuli, e bisogna in famiglia quindi sobbarcarsi ulteriori oneri in supplenza dello Stato. Vogliamo quindi menzionare la Sanità, gli asili e la Scuola, i trasporti, la sicurezza ed in generale anche la qualità della vita al Sud? cosa si deve fare se sono così carenti da essere costretti a rivolgersi al settore privato o alle risorse familiari, con costi aggiuntivi? E’ a Napoli o a Reggio Emilia l’asilo nido migliore d’Europa? E chi è che mantiene i figli all’università lontano da casa in maggior misura, i periferici o i metropolitani? Senza contare che se le aspettative occupazionali del futuro fossero anch’esse parametri retributivi, allora nel Mezzogiorno si dovrebbe guadagnare il doppio rispetto al Nord…
Il rigurgito fintamente ideologico delle gabbie in questione dunque fa il paio col cd. federalismo fiscale, espressione che si può facilmente tradurre con “più soldi pubblici al produttivo Nord”. Alcuni furbastri del sud pensano di rigirare la faccenda a loro favore (vedi il colpo di mano “Reggio Calabria città metropolitana”), ma quando si accorgeranno che non è possibile, che i pochi soldi rimasti da spremere fanno si che la coperta sia corta, ci sarà ancora uno scenario possibile alternativo alla secessione? Carlo Bertani qui e qui dice già che “non può che finire così”, ed è quantomeno da leggere attentamente…
E dopo? Si potrebbe stabilire per legge la già di fatto consolidata differenziazione retributiva tra uomini e donne, Borghezio potrebbe anche giungere a proporre leggi razziali ad hoc, magari aiutandosi con una distinzione mengeliana (Mengele, chi era costui?) per caratteri somatici e genetici (ma gli stranieri non mangiano di meno dei lumbard? avendo meno spese alimentari, guadagnino di conseguenza), poi potremmo impedire l’accesso al pubblico impiego al Nord ai non arian-padani, ed infine denunciare Schengen e fermare l’immigrazione anche comunitaria, avendo già risolta quella d’oltremare italicamente al rombo del cannon… ed al suono di cinque miliardi di euro (di danaro pubblico) al leader della Jamāhīriyya e con tutti gli onori del caso, a Roma per giunta.
L’unica speranza, a questo punto, è che il Paese sia ancora fornito di un certo numero di anticorpi sociali vivi, alla deriva razzista del Senatur - leggendo certi articoli, immaginiamo il testo di alcuni sms che potrebbe aver ricevuto Bossi in questi giorni:
La Costituzione repubblicana non è una marca concorrente della Scottex. Gianfranco.
Ah si? al Sud si vive con costi minori? vieni giù tu per qualche anno a provarci, con i nostri stipendi e i nostri servizi pubblici. Renata.
Guarda che se fate aumentare ancora le disuguaglianze sociali non possiamo stare zitti, sennò quel protocomunista di gesucristo torna e ci fa un c… così. C.E.I.
Altro che gabbie salariali, questa è una gabbia di matti come quelle che nel basso Medioevo si appendevano in piazza per il pubblico ludibrio. Anzi, due: una con i leghisti e tutto il loro vieto armamentario retorico (riti esoterici, spade, dialetti incomprensibili, nani e ballerine), l’altra con gli eterei ed eterni distratti progressisti - sindacalisti compresi. A secessione compiuta, potrebbero entrambi andarsene in blocco, così senza rimpianti, nella zona transpadana, dove guadagneranno di più. A secessione sventata, invece, li lasceremmo lì in bella mostra, portando i bambini a guardare, e quando ne muore uno daremo al pargoletto un forte scappellotto sulla nuca, perché si ricordi che fine fa chi non rispetta la Legge, e in primis la Costituzione.
Giufà

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