Non è che l'anno scorso non ci fossero stati elementi in cronaca per tornare sul tema, è che dopo che uno scrive le stesse cose ogni autunno (ecco le prove: 2009, 2010 e 2011) un po' si stufa, alla fin fine questo è solo un blog i conti li tiene la stampa "vera".
L'evento sardo però racchiude in se meglio che altri tutti gli elementi necessari a dargli una funzione paradigmatica, buona per tutti i casi a venire che uno spera non ci siano ma sa già che ci saranno.
Il territorio italiano, infatti, è ormai diffusamente incapace di reggere quelli che la stampa ama descrivere come eventi ogni volta "del secolo" ma che invece probabilmente ci sono sempre stati, e anche quando ci fosse (e c'è) un aumento di frequenza e ampiezza degli stessi per via di fattori climatici globali l'incuria sarebbe ancora più colpevole.
A fattori generici come l'incuria e l'eccessiva e selvaggia urbanizzazione, si aggiungono spesso fattori specifici come appunto nel caso di Olbia e dell'oristanese: anni e anni di consapevole (ma incosciente) occupazione di alvei ed edificazione in barba ai (e talvolta in protesta esplicita contro i) vincoli paesaggistici e orografici suggeriti dalla legge e prima ancora dalla scienza e dal buonsenso. E questo è solo l'inizio dell'elenco delle cause riconducibili a una generica mancanza di prevenzione e di politica del territorio.
Più a valle (espressione qui sinistramente metaforica) di queste colpe decennali, ci sono tutte le cause per cui il pensiero unico economico imperante ritiene che non ci siano le risorse economiche per intervenire ex post a sanare i misfatti del "palazzinarismo" dell'Italia dei condoni e della malintesa libertà. I soldi si trovano per salvare le banche, riforaggiare Alitalia , realizzare la TAV o nuove inutili autostrade, comprare aerei militari, mantenere (peraltro in violazione della Costituzione) contingenti in guerra, alimentare una delle classi politiche più voraci vaste permanenti e articolate del pianeta con relativo immenso sottobosco, ma quando si tratta di istituire il reddito di cittadinanza o di varare un piano capillare di lavori per la rimessa in sesto del territorio i soldi non ci sono (e quei pochi che ci sono, vengono dirottati a esigenze ritenute più urgenti).
A chi è di sinistra dall'età della ragione, credete faccia piacere che questi argomenti siano stati totalmente abbandonati dal partito erede del più grande partito comunista occidentale, che ha venduto la nostra sovranità nazionale tramite il progetto Euro e una montagna di privatizzazioni (di cui si appresta a "fare la scarpetta"), e rimangano solo i grillini ad enumerarli (non solo, quando lo fanno c'è sempre un piddino che s'indigna contro sti populisti)?
L'Italia ha un patrimonio culturale e ambientale in grado teoricamente di sostentare l'intera popolazione, dalla manovalanza al sovrintendente restauratore passando per l'operatore turistico, e - per via del moltiplicatore keynesiano - a saldo zero per le classe pubbliche. Ma ci vogliono assieme una guida keynesiana dell'economia e una draconiana della giustizia per potere avviare un progetto del genere, che presuppone una rimodulazione dell'Unione monetaria o l'uscita dalla stessa. Se pensate che c'è chi riuscirebbe anche lasciando intatte le forche caudine del rigore a varare una "controfinanziaria" equa e redistributiva, immaginate cosa si potrebbe fare senza questi lacci. Invece a sinistra ci si ritrova a rimpiangere l'occasione perduta di Renzi per far cadere il governo e accelerare il suo trionfo, come se questo non fosse la definitiva sconfitta dell'idea stessa di sinistra in Italia, che meriterebbe l'epitaffio "morì democristiana".
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