martedì 5 aprile 2016

NO CUBATOUR? AHIAHIAHI....

Non sono mai stato un buon turista, ma della cosa non mi è mai dispiaciuto troppo. Sarà stata la perenne condizione economica di "muru a muru c'u spitali", bellissima espressione riggitana per dire in bilico o se preferite sul filo del rasoio (nella fattispecie, del rosso del conto), ma non ho mai fatto vacanze lunghe e costose e raramente sono uscito dall'Italia, mai allontanandomene troppo, e nemmeno l'amicizia di persone globetrotter mi ha suscitato invidie, neppure costruttive. Si, certo, talvolta avere la possibilità di un viaggetto in più, figuratevi, magari... Ma, ripeto, mai sofferto troppo di non potere, e quindi, siccome se uno gli piace davvero una cosa il tempo e il modo di farla li trova, se non si può pazienza. E mai però ragionato troppo sulla faccenda: è così, e pace, nella vita ho altre priorità: provate a togliermi il tennis (finché ce la faccio) ...
Poi sti giorni in TV le immagini di Obama a Cuba, la narrazione ridondata della fine di un'era (a precedere quella dell'embargo, finora solo annunciata), hanno cominciato a farmici rimuginare: a Cuba si che mi sarebbe piaciuto andare, ma non in un villaggio turistico, no, proprio a viverci per qualche tempo, magari qualche mese, come più di qualcuno mi ha raccontato di avere fatto, quello si che è viaggiare!... e forse ora è già troppo tardi. E allora ho capito, forse, perché non sono un buon turista nel senso comune del termine.
Il termine deriva dal Grand tour che i rampolli ricchi a un certo punto hanno preso a fare specie nel sud Europa, e nasce con la rivoluzione industriale esattamente assieme all'industria turistica, ad opera di un Cook (non l'esploratore...). Per cui è ab origine che il concetto stesso è legato ad un differenziale di disponibilità economica. Ora, è indubbio che quasi ogni occidentale è portatore di un differenziale di disponibilità economica nei confronti di quasi ogni non-occidentale. E il divario è andato crescendo nei secoli, proprio dalla rivoluzione industriale in poi e grazie a guerre e colonialismi vari, fino a che la globalizzazione non ha invertito il trend, brutalmente sostituendo l'idea romantica che avremmo potuto esportare il nostro progresso nelle condizioni di vita e nei diritti civili con l'idea tardo-capitalistica che il livellamento sarebbe stato verso il basso in entrambe le dimensioni. Ma questo è un ragionamento di medio/lungo termine, in una foto dell'oggi il differenziale sussiste. Ora, non so perché (qui non si è migliori o peggiori, sto solo descrivendo una situazione), sarà per una di quelle abitudini introiettate da piccoli. Per capirci, i genitori ti dicono e ridicono che non si mangia senza pane, perché loro da piccoli il pane non lo avevano e se lo avevano era con quello che dovevano riempirsi la pancia non certo col pochissimo companatico, e tu non sei certo nelle loro condizioni di allora ma impari talmente tanto a mangiare col pane che oggi non sai farne a meno, se mangi un'insalata senza pane ti sembra di digiunare. Ecco, è la stessa cosa. C'è chi riesce a portare con disinvoltura quel differenziale in giro per il mondo, magari giustificandosi nell'intimo con la buonissima ragione che viaggiando effettua proprio una redistribuzione proletaria, che sarà piccola ma se tutti un po'... insomma, certe economie col turismo ci campano, eccetera eccetera. E c'è chi non ci riesce, chi percepisce per empatia l'odio intimo che cova sotto la gentilezza. No, grazie, mi si dica pure che è come per la volpe e l'uva, ma io viaggio poco, e quel poco preferibilmente in posti dove questo non può capitare.
Tutto questo per giustificarmi del fatto che parlo di Cuba senza esserci stato. Forse non dovrei, forse davvero andandoci uno si renderebbe conto soprattutto della povertà e della mancanza di libertà. Ma forse anche della dignità di un tenore di vita modesto ma senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo, per impedire il quale, e proteggere un contesto di diritti diffusi e fattivi come quello allo studio e alla salute, è forse il prezzo giusto quella presunta mancanza. E magari pure del fatto che quel tenore di vita va confrontato con quello che c'era prima della revolucion e quello che ci sarebbe stato se questa avesse fallito, e quelle libertà con quelle ben inferiori che l'imperatore ha lasciato che avessero in tutti questi decenni tutti gli altri popoli dell'America Latina. Senza contare che nessuno può dire quale sarebbe quel tenore senza sessant'anni di embargo (che ancora oggi si annuncia soltanto di eliminare, e vedrete si concederà solo al prezzo di rinunciare del tutto al socialismo), e quali libertà si sarebbe potuto permettere il "regime" se non fosse stato sottoposto a un lunghissimo assedio.
Ecco perché e percome stona quello che ci racconta il mainstream oggi. L'orgoglio di un popolo-simbolo, che ha resistito per decenni all'omologazione e ancora oggi si permette gesti come questo, impercettibile e infatti non notato quasi da nessuno, tanto simile a quello con cui un bimbo fiero si sottrae all'assoggetamento simbolico da parte del grosso gradasso.
No, non è una buona notizia la "fine" di Cuba, cioè dell'idea stessa che è possibile qualcosa di diverso, idea che è esattamente ciò che ha consentito, dovunque è stato tentato ma segnatamente nel sudamerica degli ultimi anni, di realizzarlo almeno un po'. Forse è per questo che l'America aveva, ed a guardare bene ha ancora, "paura", al punto di "vedere in uno Stato in miniatura questa orribile minaccia". Forse è per questo che Cuba invece non finirà mai.


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