sabato 14 ottobre 2023

VOLTA E RIVOLTA

Il cosiddetto "diritto all'autodeterminazione dei popoli" è senz'altro una bella etichetta: vista da sola non si può non apprezzarla come valore assoluto. Il problema come sempre è passare ai casi pratici, e allora si scopre ben presto che la coerenza è un lusso che non molti si possono permettere, evidentemente. E si, perché capita ricorrentemente che gli stessi che lo invocano per alcuni popoli se ne dimentichino totalmente per altri, senza alcuna logica intellegibile che possa giustificare tale incoerenza. Gli esempi sono millanta, dalla storia antica alla cronaca: un elenco non può che essere incompleto, si può al massimo tentare uno schema esemplificativo.

Popoli che secondo la narrazione dominante...

...hanno diritto all'autodeterminazione ...NON hanno diritto all'autodeterminazione
Israeliani, nei confronti dell'Occidente cristiano che li ha per millenni "ghettizzati" e infine ha cercato di cancellarli, al punto di ottenere a titolo di risarcimento di riprendere possesso dei territori da cui erano stati cacciati dall'Impero Romano un paio di millenni prima. Palestinesi, nei confronti di quello Stato di Israele appositamente creato come avamposto dell'Occidente cristiano in Medio Oriente.
Ucraini, assieme a tutti gli altri popoli delle Repubbliche ex sovietiche (spesso disegnate a tavolino all'interno dell'URSS). Abitanti delle regioni russe dentro i confini (come detto, arbitrari) dell'Ucraina.
Croati e sloveni, nei confronti della Jugoslavia, poi cristiani nei confronti della Bosnia e Kosovari nei confronti della Serbia. Abitanti delle regioni serbe dentro i confini (disegnati in seno alla Jugoslavia) del Kosovo.
Italiani, anche se a sentirsi tali erano i soli membri di una ristrettissima élite acculturata e spesso più o meno consapevolmente eteroguidata, a fronte di moltitudini di persone di lingua cultura e tradizioni diversificate nel corso di millenni. Sudditi del Regno delle Due Sicilie, nei confronti degli occupanti Piemontesi sedicenti unificatori dell'Italia.

Gli accostamenti in tabella sono tendenti a evidenziare al meglio lo stridìo di certe logiche. La domanda da porre a chi le sostiene, infatti, sarebbe facile facile: qual è il criterio per poter dire di un popolo che ha diritto all'autodeterminazione?

  • Lo stanziamento stabile e prolungato su un territorio? Allora quello dei palestinesi sulla Palestina è un diritto molto maggiore di quello degli ebrei, che dalla Diaspora al reinsediamento passano tanti di quei secoli che giusto un popolo capace di rinchiudersi e proteggersi nel suo credo poteva conservare così bene lingua cultura e memoria delle proprie origini.
  • La lingua e la cultura? Allora hanno ragione i russi del Donbass (peraltro oppressi per un decennio prima di ottenere l'aiuto di Putin) e i serbi nel Kosovo, a volersi affrancare così come si sono affrancati gli ucraini dalla Russia e i kosovari dalla Serbia.
  • La legittima sovranità e il "tesoro del Re" (o se preferite statale)? Allora aveva più diritto il borbone a unificare l'Italia sotto il suo regno che l'indebitatissimo Savoia, che ci è riuscito solo grazie all'interessatissimo apporto esterno (cooptato anche contribuendo alla guerra di Crimea: vi dice qualcosa?), e ha poi prima depredato l'erario e le industrie del regno di Napoli e poi ha imposto la narrazione per cui il sud era sottosviluppato da prima (creando e mai più risolvendo la Questione Meridionale), nel frattempo etichettando come brigantaggio la resistenza popolare.
  • La lingua, la religione e gli altri fattori "culturali"? Allora hanno ragione i baschi, i catalani, i corsi, i leghisti della prima ora, l'IRA, eccetera eccetera, o se quelli hanno torno lo avevano anche i croati e gli altri secessionisti della Jugoslavia (peraltro culla di un esperimento di convivenza interculturale durato decenni, con una fortissima quota di rapporti di amicizia e anche familiari interreligionari e interlinguistici, messi in crisi dalla guerra - innescata dagli occidentali, non dimentichiamolo - ma non da essa distrutti del tutto).

Se avete una risposta univoca, beati voi. Se non ce l'avete, allora chiediamoci: come mai la narrazione ufficiale (con tanto di censura ai dissenzientifa valere una volta un criterio una volta un altro, magari al suo opposto? Qual'è la logica? La risposta non può che essere una: la convenienza dei centri di potere occidentale. Basta ammetterla, e tutto si incastra perfettamente senza contraddizione. Quando conviene all'Imperatore vale un criterio, ma se gli conviene il criterio contrario vale quello. Ovunque e in qualunque situazione.

Ora fatevi un esame di coscienza: siete d'accordo? Allora continuate pure a commuovervi, come è giusto che sia, per i poveri ragazzi uccisi da Hamas nei recenti attacchi, e giudicate pure legittima la rappresaglia israeliana, unendovi al coro. Ma se invece vi viene il dubbio che anche i palestinesi uccisi nella rappresaglia siano vittime innocenti, come peraltro tutti i morti di questa guerra ormai ultrasettantenne, certo molto più numerosi tra i palestinesi che tra gli ebrei ma possiamo anche sorvolare su questo "dettaglio", allora accanto alla commozione deve trovare posto l'analisi storica delle origini del conflitto, di questo come di ogni altro. E la ricerca di un criterio diverso da quello dell'Imperatore e dei telegiornali suoi servi.

Ad esempio, il popolo, per usare una parola antica. Se un popolo è acquiescente, può esserlo per mille motivi, tra cui la pigrizia di gregge o la bravura del pastore nel pascolarlo col bastone della propaganda. Ma se un popolo si ribella, che sia manipolato o meno, strumentalizzato o meno, un fondo di ragione ce l'ha sempre. Se adottiamo questo, come metro, può darsi che riusciamo a trovarla, quella ragione, e che allora ci sottraiamo al coro che il mainstream ci induce a intonare.

Quando ero piccolo a Reggio Calabria ci fu una rivolta popolare, durò molti mesi e ci furono dei morti. A sette anni, non puoi certo capirci qualcosa. Ma le cose che vedi poi te le ricordi. Ed io ho visto coi miei occhi i carri armati per strada, sotto casa. La rivolta nella narrazione ufficiale era manipolata dagli stessi neofascisti che intanto organizzavano un golpe per prendere il potere a Roma come i colonnelli ad Atene poco prima, quindi lo schieramento in massa delle forze di polizia e dell'esercito era consequenziale. Ma gli stessi che postulavano per i riggitani l'eterodirezione e quindi la non spontaneità delle motivazioni, poco prima ai praghesi riconoscevano l'autenticità della ribellione e quindi l'illegittimità dell'intervento dei carri armati sovietici: la propaganda non ha bisogno di coerenza, ammette qualsiasi capriola, anche doppia, se si pensa che l'ineffabile Napolitano (il peggiore Presidente della storia della Repubblica Italiana, e dire che il livello degli altri è quello che è...) qualche anno prima a Budapest teneva per i blindati russi. A studiarsi bene la cosa, invece, si può scoprire che specie all'inizio la rivolta di Reggio era autenticamente popolare, trasversale al continuum destra/sinistra al punto che cinque ragazzi anarchici furono assassinati mentre portavano a un giornalista (si, ai tempi si scriveva e si portava fisicamente, come Borsellino la sua Agenda rossa, parimenti "misteriosamente" sparita) le prove del complotto delle "mosche cocchiere", buttati fuori strada da un camion addirittura intestato a soggetti vicini ai golpisti di cui sopra, con sopra qualcuno che ovviamente ha fatto sparire il dossier prima che arrivasse un qualche soccorso. E a saper leggere la storia, cioè il buco nero in cui è finita Reggio Calabria a partire da quella emarginazione politica a cui i suoi cittadini si ribellavano, e da cui non è mai davvero più uscita, si capisce che quelle ragioni di fondo c'erano, eccome, e il popolo reggino le aveva intuite.

E allora sforziamoci di cercarle, ogni volta e non solo a corrente alternata, quando fa comodo al Padrone si e quando gli fa comodo il contrario no. Tra l'altro, è proprio l'ONU che sancisce, in una pronuncia colpevolmente dimenticata, il diritto di ogni popolo all'insurrezione armata quando ritiene che sia minacciata la sua esistenza e/o il suo radicamento a un territorio. Di ogni popolo, non solo di quelli che hanno in qualche modo avuto la fortuna e/o la capacità politica di riuscire ad essere intestatari di uno Stato/Nazione.

Insomma, quelli di Hamas, anche a voler escludere l'ipotesi che siano pagati e armati per mantenere l'instabilità in una zona la quale che resti instabile conviene a tutti, anche magari a chi vuole una scusa per scaricare adesso Zelenski (che se n'è accorto, e infatti baccaglia), sono gente disposta a combattere senza pietà, come ce n'è in tutti i popoli e in tutte le latitudini ed epoche: normalmente, questa gente viene disinnescata solo eliminando le condizioni in cui prospera. E non è certo quello che è stato fatto in Palestina negli ultimi settanta anni. O vogliamo dimenticare che quando un leader israeliano e uno palestinese avevano imboccato un percorso di pace, meritandosi persino un Nobel, qualcuno ha trovato il modo di toglierli di mezzo, facendo sparare il primo e avvelenare il secondo? Ora, chi plaude all'escalation israeliana e la incita, o è consapevole del fatto che così se non riesce davvero a completare il genocidio l'unico risultato sarà incentivare e giustificare che in campo avverso emerga qualcosa di peggio di Hamas, oppure è il solito idiota utile a chi vuole la guerra permanente.

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