domenica 8 settembre 2024

NE PARLIAMO DOPING

Non guardo le paralimpiadi. Nonostante nutra una grande ammirazione per chi si impegna a travalicare i propri limiti, a giocare al meglio con le carte che ha anziché lamentarsi di quelle che non ha, di cui chi ha a che fare con menomazioni di qualunque origine è un formidabile esempio, e quindi le paralimpiadi possano essere intese come una testimonianza utile a tutti su come vada intesa la vita, non ce la faccio. E non è per emotività, è proprio che un conto è arrivare col ragionamento a capire l'importanza di una cosa, un conto è essere attratti da uno spettacolo oggettivamente avvincente.

Viviamo tempi complicati, per avventurarsi in ragionamenti come questo: il rischio è che ti ritrovi immediatamente abile e arruolato nei retrogradi razzisti sessisti insensibili, come nei complottisti se osi discutere i dogmi del cambiamento climatico o della pandemia. Ma pazienza, perderò un altro paio di lettori, come sapete tutti col blog non ci faccio un centesimo altro che camparci. Il tennis è un buon esempio di partenza: lo pratico da una vita, è una delle poche cose che guardo in TV regolarmente, e le rivendicazioni di stampo femminista sulla retribuzione delle atlete risalgono agli anni settanta (riguardare La guerra dei sessi, storia vera di come tutto cominciò) e sono in buona parte state accolte. Ma giustamente: da qualche decennio, una partita di tennis femminile di alto livello può essere altrettanto godibile e anche esprimere contenuti tecnici di pari livello se non superiore (a volte tirare troppo forte è un limite da questo punto di vista). Prima, però, e anche adesso lontano dal vertice, non era così: se non giocava la Navratilova, rischiavi di annoiarti, come oggi con la Osorio, per dire, a furia di lunghi scambi fatti tutti di mezzi pallonetti.

Sul tennis torno dopo, parliamo di basket e pallavolo. Perché la pallavolo femminile è altrettanto spettacolare di quella maschile, e invece la cosa non è vera per la pallacanestro? Perché le donne nel volley giocano con una palla diversa e la rete più bassa, e in questo modo riescono ad eseguire quasi tutti gli stessi gesti tecnici dei maschietti, mentre nel basket a parte la palla leggermente più piccola è tutto uguale, e la differenza di fisicità si traduce purtroppo in un livello tecnico nettamente inferiore. Pensate un po', secondo me nel calcio il ragionamento si capovolge: la tecnica si vede meglio e più nelle donne, talmente esasperato è l'aspetto fisico negli uomini (ma se ne accorge solo chi ha l'età di ricordare il calcio di prima del pressing e del gioco corto).

Spero che questi esempi bastino, a sgombrare il campo da equivoci. Poi, magari arriveremo a stabilirlo per legge, che gli atleti diversamente abili devono percepire gli stessi emolumenti degli altri, ma questo non basterà a rendere le loro competizioni ugualmente attrattive per telespettatori e quindi sponsor. E anche per me: ci capito, penso le migliori cose di ciascuno degli atleti, poi però cambio canale. Ma cambiamo discorso.

Qualche tempo fa un corridore con le protesi ai piedi, tale Pistorius, prima di finire in galera per aver ammazzato la fidanzata, arrivò a competere a buon livello coi normodotati. La sua parabola interruppe l'esperimento, voglio sperare sia perché le autorità sportive abbiano compreso l'enorme rischio sotteso alla cosa: con il progresso tecnologico, quanto ci vorrebbe a realizzare delle protesi tali da battere regolarmente chi corre con piedi umani? E anche quando si imbrigliasse la tecnologia con delle regole, quanto potrebbe reggere questa briglia a cospetto del sospetto interiore di ciascuno sportivo costretto a confrontarsi con chi potrebbe partire avvantaggiato?

Questo semplice ragionamento dovrebbe fare premio su altre tematiche "di moda". Oramai è rimasta quasi sola, la creatrice di Harry Potter, chissà forse avere immensi patrimonio e popolarità aiuta ad avere coraggio, a dire fuori dai denti che no, non può essere ammesso a gareggiare con le donne chi prima gareggiava (e pure con successo) da uomo, solo perché nel frattempo si è sentito di dover cambiare sesso. E no, non per sessismo, semplicemente per salvaguardare la possibilità di competere delle donne "vere". Lo stesso ragionamento doveva essere utilizzato per escludere la pugile algerina: è donna, per carità, ma avere cromosomi e livello di testosterone da uomo le dà un vantaggio. O estromettiamo lei e tutte quelle come lei, o aboliamo l'antidoping e magari riabilitiamo le atlete della DDR (anche questa per capirla devi essere anzianotto...).

E torniamo al tennis, parlando del caso che riguarda il tipo che vedrete sullo sfondo di questo blog fino a luglio prossimo (cambio grafica una volta l'anno, ormai è tradizione), che oggi si gioca il titolo agli US open. Ieri sembrava che scadessero i termini per l'appello avverso alla sua sentenza di assoluzione, ma vista la giungla di norme sigle e gente che ci campa con questo carrozzone non si sa mai. E mi trovo a ribadire un concetto che espressi addirittura in uno dei primissimi post di questo blog, oltre sedici anni fa: bisogna smetterla di ragionare nello sport professionistico di doping e antidoping, ma parlare di medicina dello sport e fare tutto alla luce del sole. Gli atleti in genere, figurarsi se di vertice, hanno bisogno di essere trattati con una attenzione dedicata che non sia clandestina, e pazienza se certe sostanze o pratiche che fino a un certo punto si pensava innocue e benefiche poi si scopre che facevano male, quando succede si vietano e si cerca altro. Che poi è la stessa cosa che si fa correntemente: nella medicina, che sono più i farmaci tolti dal prontuario perché nocivi dopo essere stati di uso comune per anni di quelli in prontuario al momento, come nello sport, che è zeppo così nella sua storia di autentici miti che si prendevano più o meno di nascosto cose che poi sono state vietate e per cui magari altri sono stati squalificati. E parlo di giganti, di mostri sacri, che non voglio nemmeno nominare, ma la lista è lunghissima e vi sorprenderebbe scoprirci dentro proprio quel vostro idolo di gioventù. Per cui quelli che fanno la fine di Armstrong, o peggio di Pantani, sono vittime di un sistema che fa enne pesi ed enne misure per sua natura.

Il caso Sinner è assieme un cattivo e un buon esempio, di tutto ciò. Cattivo, perché il ragazzo è stato trovato con in corpo una quantità di farmaco vietato così infinitesima da indispettire Avogadro, altro che conferirgli un vantaggio sportivo, e per dosi così il processo non dovrebbe nemmeno iniziare. Buono, perché il fatto che il ragazzo non sia stato sospeso, o magari crocifisso, prima di assolverlo magari a stagione o a carriera compromessa, non deve essere usato, come hanno fatto tanti rosiconi e moralisti del piffero, per rinfacciargli un trattamento di favore, ma semmai per, al contrario, pretendere che da ora in poi le autorità competenti si comportino allo stesso modo per tutti. E cioè: se la dose di qualsiasi cosa è così bassa da non poter influenzare le prestazioni, il processo non cominci nemmeno. Se è più alta, si sospenda non solo il giudizio sportivo ma anche quello personale e sociale fino a istruttoria conclusa, facendo inoltre in modo che la stessa sia breve. E a regime, si faccia confluire il carrozzone dell'antidoping e quello del doping in una unica struttura che sperimenti alla luce del sole cosa si può fare per aiutare a competere gli atleti senza danneggiarli. Di modo che non ci siano vantaggi comparativi di nessuna natura, nemmeno ad esempio dall'avere un medico bravo che si inventa l'autoemotrasfusione: se e finché la medicina dello sport non comprende che fa male, la si fa a tutti. E nemmeno dall'avere un livello di testosterone che fa si che io sviti la testa con un cazzotto a chi quel livello non ce l'ha: non importa se lo assumi o ce l'hai di natura, sei fuori, o devo ammettere anche chi se lo inietta. Con buona pace dei benpensanti di vecchia e nuova maniera.

P.S. Se avevate ancora dubbi sul fatto che si tratti di un carrozzone che deve giustificare la sua esistenza, ecco le imprese dell'antidoping aggiornate a dopo la strepitosa vittoria di Jannik allo US Open...

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