La canzone è Intervista con l'Avvocato, e nel 1976 diceva "da tutti è ormai confermato che l'auto è in crisi profonda, l'auto non ha futuro: stecco di legno nell'onda; dopo l'assestamento, le auto saranno più rare, e finiranno per scomparire come zanzare sul mare". Beh, che dobbiamo aggiungere?
Più avanti nel disco c'è però Il motore del 2000, che sembra tanto più ottimistico che la FIAT lo adottò per uno spot del motore FIRE (stava per Fully Integrated Robotized Engine, l'inglese faceva futuro), che attaccava così: "Il motore del 2000 sarà bello e lucente, sarà veloce e silenzioso, sarà un motore delicato, avrà lo scarico calibrato e un odore che non inquina: lo potrà respirare un bambino o una bambina". Sembra una premonizione, più che delle auto elettriche, di quelle ad idrogeno, di cui ancora si legge come futuribili, anche se Beppe Grillo negli anni 90 sul palco portava un modello targato e ci si faceva i suffumigi spalmando il vaporub sullo scappamento.
Ma l'album è pieno zeppo non solo di profezie e squarci sociopolitici, ma anche di quell'afflato eroico e passionale legato all'automobile fin dai suoi albori, che sta dietro da un lato al successo commerciale così clamoroso da divenire l'architrave del capitalismo occidentale, dall'altro al tifo negli sport motoristici, e in mezzo al rapporto che ciascuno di noi ha con la sua auto. Un afflato tale che deve avere una spiegazione "altra" rispetto al mero consumismo.
Gli esperimenti sui topi (rileggetevi questo post, please, e andatevi a guardare il film che cita e linka) dimostrano che la felicità o infelicità, o forse sarebbe meglio dire benessere o malessere, almeno di tutti i mammiferi umani compresi, dipendono essenzialmente dal grado di libertà percepito. Anche di questo abbiamo già parlato, qui (lo so, parlo sempre delle stesse cose, ma perché voi no? e comunque sto invecchiando, e vi invito a rileggere proprio per non ripetere), partiamo dalla fine: quello che mi rende felice (mi fa stare bene) non sono i soldi, la salute, l'amore o qualunque altro concetto astratto su cui possiamo disquisire o poetare (è lo stesso), ma il fattore che lega questi concetti, la libertà. Se ho più soldi, posso fare più cose che se ne ho meno, posso decidere liberamente quale strada imboccare a qualsiasi bivio, e se non è vero questo, come nel caso in cui per fare i soldi mi costringo in situazioni che la libertà me la diminuiscono, non sarò felice anche se ricchissimo. Anche la salute, se ci pensate bene funziona allo stesso modo: nella misura in cui manca, le cose che puoi fare si riducono. Idem l'amore: prima di vagheggiare un ritorno alla vita agreste, considerate che in quel mondo capitava raramente ci si scegliesse o almeno si pensasse di averlo fatto. Quando i limiti economici, fisici e relazionali sono invalicabili, è più felice chi riesce a farsene una ragione e a calcolare la sua libertà all'interno di quei limiti. Non potere volare, o vivere per sempre, è un limite che riguarda tutti, ma sono infiniti i valori possibili su quell'asse cartesiano, dalla coscienza di essere piccoli a quella di stare invecchiando, dagli handicap fisici alla semplice accettazione di avere un aspetto fisico non corrispondente agli standard di bellezza in corso.
Andiamo dall'individuale al sociale. Il capitalismo è fondato su una serie di meccanismi tendenzialmente autodistruttivi, lo diceva Marx e non ha mai smesso di essere vero: i soldi chiamano soldi, e a furia di concentrarsi nelle mani di pochi su scala sempre maggiore il sistema non può che smettere di funzionare. Il socialismo, e i sensi di colpa per la guerra mondiale, però, gli hanno dato una mano ad allungarsi la vita, inducendolo ad invertire per un po' la freccia della distribuzione delle risorse. Già prima, Ford era diventato Ford trovando il modo di costruire automobili che costavano così poco che i suoi operai se le potevano comprare, con paghe adeguatamente maggiori, e godere, nel tempo libero che derivava da orari di lavoro minori. I cinquant'anni circa dopo il 1945, di fatto, sono stati gli unici di tutta la storia dell'umanità in cui questa logica ha fatto premio. Tutte le nostre libertà, se ci pensate, derivano da questo: quella di far studiare i nostri figli anziché costringerli a lavorare fin da piccoli, quella di studiare, quella di giocare, quella di scegliersi chi amare (poi anche dello stesso sesso), quella di spostarsi per divertimento, quella di fare sport e divertirsi, eccetera. Il grado complessivo di queste libertà considerate (erroneamente) per acquisite nell'occidente contemporaneo è tale da fare invidia, se potesse osservarle con una macchina del tempo, a qualsiasi sovrano del passato, e comunque solo una ristretta cerchia di persone nella storia fino alla seconda guerra mondiale si poteva permettere un complesso di libertà lontanamente simili alle nostre standard.
Quello che è successo invece negli ultimi trent'anni, ed ha accelerato negli ultimi cinque minacciando di farlo ulteriormente nel futuro, è esattamente questo: che partendo dalla constatazione che il modello di sviluppo che consente tutto ciò è insostenibile per il pianeta (o se preferite costruendo artatamente il luogo comune di questa constatazione: all'atto pratico è lo stesso) si è invertita la freccia. E per evitare ribellioni o proteste che potrebbero inceppare il meccanismo, la velocità a cui si muove il fenomeno è complessivamente minore del fenomeno opposto: lo sboom è più lento del boom, spesso più lento delle vite di ciascuno di noi, e così più efficace. I nostri figli non avranno nessuno dei nostri diritti. Nemmeno quello di disporre di una estensione di se che occupa del terreno e vi si sposta sopra in autonomia. Questo è deciso e senza comprendere ciò (errore di certa sinistra convinta ancora di potere conciliare i suoi temi con l'ambientalismo in voga) non si può capire la logica assurda di certe decisioni, peraltro non democratiche, che stanno demolendo il settore trainante dell'economia.
Ammettendo il teorema del cambiamento climatico e della finitezza delle risorse che ci dovrebbe indurre ad accettare ogni diminuzione di libertà finalizzata alla salvezza del pianeta (o meglio della vita umana sul pianeta che il pianeta se ne fregherebbe di diventare come Venere o Marte), però, se la guerra fredda l'avesse vinta l'URSS e fossimo tutti nel Patto di Varsavia oggi saremmo immersi in una propaganda pervasiva e minacciosa che ci avrebbe costretto a girare tutti su una Trabant elettrica scaldare meno le nostre case eccetera: tutti uguale (tranne un pochino la ristretta cerchia del Partito). Siccome invece domina il capitalismo, questa erosione di diritti e di libertà avviene con le sue logiche: gipponi elettrici per i ricconi che hanno la casa in centro e manco gli servirebbero, tanto hanno pure le ciclabili (sempre vuote, come mai?), e chi vive in periferia lentamente indotto all'immobilità. Tanto le prove generali le abbiamo già fatte con la cosiddetta pandemia e lo smartworking e i delivery sono pronti alla bisogna. E senza auto sarà un problema anche tornare al paesello...
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