
Dando per chiuso l'accordo non ancora chiuso con Chrysler, Re Magio
Marchionne, che ha un futuro da Presidente del Consiglio di centrosinistra quando il Signore in carica passerà a miglior vita (tanto, prima non molla...), si è gettato a capofitto su un altro tavolo di trattativa:
acquisire la Opel.
Dopo aver rilanciato la casa torinese nell'unico modo sensato, cioè tornare a fare automobili decenti dopo anni in cui si badava a tutt'altro, finanza in primis, Marchionne approfitta della crisi, che ha colpito Fiat in misura leggermente minore rispetto alla concorrenza, per accaparrarsi pezzi della disastrata industria automobilistica statunitense adesso che sono al minimo (ma lo sono?): compra prima la storica casa della Voyager, fino ad ieri consorziata con Mercedes, pagando per giunta solo in know-how, poi la storica casa della Corsa, che un altro colosso americano sull'orlo del collasso, la General Motors, è costretta a mollare dopo molti decenni. Qui i soldi li deve cacciare, ma intanto approfitta del prestito-ponte che il governo tedesco ha già previsto per salvare un pezzo della propria industria nazionale. Non dimentichiamo che la gestione Marchionne cominciò proprio dall'astuto smarcamento da GM, che aveva comprato a caro prezzo una quota di FIAT e preferì rimetterci quasi tutto pur di rompere l'alleanza e scappar via. E che da quella alleanza erano nati una serie di pianali comuni per auto di tutte le taglie ancora in circolazione (Punto e Corsa, Bravo e Astra, Croma e Signum), che rendono ancora più sensata e conveniente la scelta attuale.
Tutto bene, allora! Cosa temono, dunque, i sindacati italiani e tedeschi? Sono decenni che gli analisti prevedono la riduzione a pochissime unità dei gruppi automobilistici mondiali, con sopravvivenza quindi solo dei più grossi e forti. E' in questa logica che è da tempo in atto una specie di raggruppamento di stelle in galassie, di galassie in ammassi, che ci vorrebbe Margherita Hack per descriverlo. Ma sarà sufficiente? Quando tutto questo cominciò, India e Cina erano ancora sottosviluppate, e oggi bussano alle riunioni dei Grandi. I loro cittadini sono alle soglie della motorizzazione di massa, una specie di quello che successe a noi ai tempi di 600 e 500, moltiplicato per 100. Già questo fattore (che potremmo chiamare
Tata dal nome del costruttore indiano che ha appena varato la 600 del suo popolo, la
Nano) accelera e trasforma il fenomeno, al punto che Fiat stessa, come tutti gli altri che vogliono avere un futuro, ha già contatti per partnership in quegli immensi Paesi. Ma non basta.
Il pianeta ha risorse limitate. L'esplosione, non solo automobilistica, di entità gigantesche come quelle citate, ma anche il Brasile ad esempio non scherza, ha avvicinato in maniera esponenziale il punto di non ritorno delle politiche di sviluppo basate sulla crescita del PIL. Lo dice pure il futuro Re di Gran Bretagna: non abbiamo che pochi anni per poter fare qualcosa. Se FIAT non vuole che la sua inopinata assurzione (al secondo o terzo posto) nel Gotha dei produttori mondiali di auto non si traduca in un botto più forte quando (presto) ci sarà il crollo, deve approfittare di questa posizione di forza per lavorare ad evitarlo, o almeno a premunirsi contro le sue conseguenze.
In pratica, è bene che in America girino più 500 e meno gipponi. E' bene estendere a tutta la gamma le sinergie progettistiche coi tedeschi dell'omega. Ma non servirà a nulla senza una prepotente fuga in avanti, che a questo punto Fiat dovrebbe essere in grado di compiere, prima al mondo. Pensare e realizzare a tempo di record una gamma di vetture totalmente nuova, che con tre vestiti diversi per i tre mercati, grazie ai tre marchi, si componga essenzialmente di vetture molto piccole ed economiche a motore anche o solo elettrico, vetture medie esclusivamente ibride, e vetture grandi esclusivamente ad idrogeno. Nessuna di queste auto dovrebbe riuscire a superare i 150 orari, ma il governo italiano e quello USA non dovrebbero avere nessun problema a rivedere le norme in modo da negare l'omologazione ad auto che lo facciano. I tedeschi avranno più problemi ma cinesi e indiani no (nel nostro boom Morandi cantava "
andavo a cento all'ora" e il numero sembrava tanto a noi bambini anche a sentirlo pronunciare), e se se ne fa una strategia mondiale dovranno adeguarsi anche a Berlino. Certo un conto è subire questo processo di riconversione un altro è averlo guidato. E' questa l'occasione che si presenta a FIAT, ed è da non perdere.
E' un problema culturale, ci siamo in mezzo tutti. Ci sarà un periodo di problematica convivenza con i SUV e altra ferraglia inutilmente pesante ingombrante inquinante e veloce. Ma alla fine si potranno pure smantellare i tutor e limitare gli autovelox. Per le emozioni, non ci sarà problema: sarà come dopo la seconda guerra mondiale, su una vecchia
Topolino amaranto, praticamente una due posti che non superava gli 80 all'ora, che "
se le lasci sciolta un po' la briglia mi sembra un'Aprilia, rivali non ha...".