Gli eroi, appunto. Non certo i complici dei nazisti. |
Balle. Avevo 7 anni quando mio padre divenne "fascista", come metà dei reggini, perché i partiti del cosiddetto arco costituzionale abbandonarono all'unisono la gente di Reggio Calabria che protestava per una causa che quanto giusta si sarebbe rivelata si sarebbe visto nei decenni a venire, quando la città venne marginalizzata drammaticamente e vide una guerra di 'ndrangheta lasciare forse un migliaio di morti per le strade (qui qui e qui le "memorie" di Claudio Cordova). E siccome tutti i bambini si identificano col padre anch'io ero "fascista", o meglio missino, anche perché "Almirante sparla bene", come dice Jannacci. Poco dopo, un cugino più grande, che conosceva anche i 5 anarchici del sud che nel quadro di quella rivolta e dei suoi risvolti più oscuri persero la vita, mi disse ironico guardandomi fisso negli occhi: "ancora non divintasti comunista?" dando per scontato l'an anche se non il quandum (che vuol dire aver studiato...). Mi aveva letto dentro quella "necessità di una morale diversa", per dirla con Gaber, per cui qualcuno era comunista, qualunque cosa questo termine mai significasse. Pochi anni ancora, non avevo ancora la barba, e forse 13 o 14 anni, e avevo compiuto il guado. E, per completare l'opera, mi dicevo anche "ateo" disquisendo di teologia con l'insegnante di religione mentre i miei compagni credenti uscivano a giocare a pallone. Altri tempi. Altri tempi anche l'Italia del "45. Ma in ogni tempo in ogni luogo, non appena uscito "r'a scorcia ill'ovu" (letteralmente "dalla buccia dell'uovo", il significato si intuisce), ogni uomo è tale se capisce che può, e deve, scegliere. Anche da che parte morire. Per dirla con Frassica, non è uguaglio.
Il 25 aprile è la nostra festa. Giù le mani, carogne.
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