"Questa è una canzone intelligente..." |
In questo 2018, la molla è rappresentata dalla copresenza (che non stupisce, vista la cifra stilistica da sempre stucchevole del direttore/conduttore - e per carità non sto criticando né lui né il suo festival, che in pratica essendo consistito in una specie di suo lungo concerto di duetti, inframezzato ogni tanto dalle canzoni in gara, è stato mediamente di qualità migliore del solito, anche lui avendo potuto, volendo, vincere col piede sinistro ogni volta che avesse voluto, negli anni...) di troppe canzoni ruffiane, quasi tutte peraltro variamente premiate.
Fabrizio Moro, autore della canzone vincente come della identica canzone di un paio d'anni fa, fa della ruffianeria la sua cifra stilistica, se pensiamo all'ingenuo appello alla mafia e sciacallaggio dei suoi morti di Pensa, con cui si è fatto conoscere proprio a Sanremo 11 anni fa. Oggi "si porta" il terrorismo e infatti il pezzo su quello fa leva e ottiene il successo anche popolare, in ciò aiutato dal teatrino dell'esclusione rientrata, che infatti ha come si dice azzerato le quote dei bookmakers. La cosa peggiore dell'operazione è avere neutralizzato proprio lo spirito del testo da cui prende spunto, la lettera del familiare della vittima che ci fece riflettere sul fatto che l'unica risposta sensata al terrorismo era non fare quello che ci voleva costringere a fare (rinunciare alla nostra libertà quotidiana, anche di divertirci), trasformandolo in un refrain retorico da un lato ridicolo (facile rispondere ironizzando "e certo, non c'eravate" al "non ci avete fatto niente") e dall'altro imbarazzante (se facciamo una seria contabilità si che non sono niente, le vittime occidentali del terrorismo a paragone delle vittime delle guerre occidentali). Detta in piano, è vero che per non dargliela vinta ai terroristi l'unica risposta possibile di ogni persona che si possa dire democratica e libera è non rinunciare al proprio modello di vita, ma ciò assume dignità se e solo se si accompagna a una scelta politica precisa, che tolga le responsabilità di governo a chi ha creato la situazione internazionale che costituisce il terreno fertile del terrorismo. In altre parole, se voto per chi propone il ritiro immediato dell'occidente dalle zone di guerra che ha acceso e fomentato negli ultimi trent'anni, con tanto di riparazione dei danni e risarcimento, allora poi, se ancora serve, posso avere un atteggiamento fiero di fronte a chi usa la violenza contro di noi. Altrimenti la mia fierezza è protervia. E alla mia frase ad effetto non potrò che attendermi una risposta del tipo "tranquilli, vi faremo qualcosa la prossima volta...".
Un discorso solo apparentemente di segno opposto può essere fatto per Mirkoeilcane (che forse andrebbe scritto "Mirko, e il cane?"): va bene che ti devi fare conoscere, ma sciacallare sulle vittime altrui, peraltro causate ancora dalla strategia politica dell'impero di cui siamo sudditi (sia quella militare già citata che quella economica che tende all'appiattimento in basso della retribuzione del fattore lavoro), senza fare nessun accenno a quest'ultima, equivale sostanzialmente a fargli da fiancheggiatore, assumendosi il compito di soffiare sul fuoco dei nostri sensi di colpa. Un lavoro che a gente come la Boldrini e company è da tempo molto ben retribuito, per cui peraltro il nostro deve mettersi in una ormai lunga coda (ah, ecco il cane!...), con la sua canzoncina che per capire quanto vale basta che la senti dopo Mio fratello che guardi il mondo, senza dire niente.
Insomma, non dico che era meglio quando dominavano le canzoni "amore e cuore", o quando per vincere dovevi essere almeno cieco (muto era troppo, trattandosi di canzoni), e niente è peggio delle canzoni tutte uguali di quelli che escono dai talent, ma questa sorta di "pornografia valoriale" è francamente insopportabile.
Poi, come sempre, c'erano alcune belle canzoni anche quest'anno: quella di Gazzè, ad esempio, romantica ma senza retorica, come pure quella di Barbarossa. Ma il momento migliore secondo me è stato quello in cui, volendo riempire il buco in attesa della proclamazione con una canzone di un collega scomparso, Baglioni ne cita tanti ma sceglie Jannacci, uno che la retorica la schifava e però aveva il repertorio pieno di cose estremamente commoventi, oltre che di divertenti (nel mio coccodrillo ne trovate molte: il grande Enzo era da sempre costantemente sottovalutato - e la cosa gli piaceva non poco, sono sicuro).
Chiudo tornando ai vincitori, e approfittando che proprio stasera e domani danno in TV un biopic su un altro gigante, De André (peraltro i due ebbero un contatto artistico insospettabile): se vi serve toccare con mano la distanza tra il loro motivetto paraculo (che non riuscite a togliervi dalla testa, lo so, càpita...) e un vero capolavoro che mette in scena, guardandola però dal lato giusto, la stessa tragedia, ripassatevi Sidùn. Anzi, qualcuno la faccia ascoltare bene pure a loro, così magari Moro si vergogna e si ritira, e Meta chiude tra parentesi e rimuove questo episodio di una carriera che prometteva bene e ancora forse fa a tempo a rimettere sui giusti binari.
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