venerdì 7 giugno 2019

OLTRE

Come si fa a parlare di un caso come quello di Noa Pothoven, senza vergognarsi? Eppure lo fanno tantissimi, spesso a sproposito. L'unico modo che trovo accettabile è parlarne senza parlarne. Si è detto troppo, tutto e il contrario di tutto: è stata eutanasia / no, si è lasciata morire di inedia - era minorenne / e allora? se hai un figlio intrappolato come Eluana non è legittimo che tu desideri liberarlo? - si ma Noa non aveva una malattia terminale / ancora col vecchio vizio di considerare le malattie della psiche meno "serie" di quelle del corpo!
Chi vi parla è un non credente (per anni socio di Liberauscita) che ha un concetto ristretto di cosa considera "vita" e quindi non esiterebbe a interrompere la propria qualora non dovesse più rientrare in questo concetto, sempre che materialmente sia in grado di farlo. E quindi auspica da anni un intervento legislativo illuminato che regoli la spinosa materia in modo da consentirgli, in quest'ultimo caso, di essere coadiuvato in qualche modo da chi, la sanità pubblica, esiste proprio per aiutare chi sta male. E' meglio puntualizzarlo, per sgombrare il campo dalla possibilità che quanto dico adesso mi iscriva a "partiti" che aborro.
Ma la sensazione che lascia la eco inusitata della tragica vicenda in cronaca, è troppo brutta per essere taciuta: orrore, disgusto, e soprattutto come la percezione quasi fisica che esista un confine che non può essere attraversato. Il fatto che in questo caso sia stato attraversato o meno, a parte che chissà se lo sapremo mai, a questo punto è irrilevante. Ragion per cui, ha senso disinteressarsi del caso specifico per tentare invece di tracciare, o almeno abbozzare, questo confine a partire dalle circostanze da esso evocate, a prescindere se ciascuna di esse sia vera o meno, ma giocando a "se fosse". Perché i tratti che si presentano tutti assieme nel caso Noa si trovano comunque in migliaia di altri casi, in misura diversa e con assortimento diverso. Per tracciare questo abbozzo, faccio delle considerazioni come mi vengono:
  • lo so che è dura, ma per le malattie mentali la sintassi somiglia a quella del famigerato comma 22: chiunque in piena consapevolezza ritenga di avere un male troppo grave per continuare a vivere può chiedere di essere accompagnato dolcemente a morire, ma chiunque ha un male psichico così grave non può essere considerato in piena consapevolezza quando lo chiede;
  • se fosse consentita l'eutanasia per depressione non reattiva, si spalancherebbero, anche giuridicamente, le porte dell'arbitrio nei già fin troppi casi di manipolazione psichica tragica di figli, partner, eccetera;
  • il battage mediatico dato a questo caso, volendo far tesoro della lezione andreottiana, alla fin fine agevola (al punto di parere fatto apposta) la causa degli integralisti "pro-vita" (dove le virgolette stanno a significare che l'etichetta che si sono dati è grottescamente fuori luogo, perché si fonda su un concetto scarsamente condivisibile di "vita", inoltre eterodonata e pertanto indisponibile), il cui massimo esponente infatti non ha tardato a pontificare (d'altronde, se non lo fa lui...) pro domo sua.
Stiamo quindi osservando il purtroppo ennesimo caso di sciacallaggio da parte di quel mainstream che sempre più oramai lavora solo "a tesi", partendo cioè dagli obiettivi di chi paga e piegando a loro favore gli avvenimenti, anzi selezionando tra questi i meritevoli di attenzione in base alla potenziale utilità agli obiettivi suddetti. Il piano generale è quello di appiattimento verso il basso del livello di vita del 99% dell'umanità. Quindi la progressiva rinuncia da parte di quella parte di essa ha ottenuto negli ultimi decenni dei significativi scostamenti da quel livello, di tutto ciò che lo ha consentito, sia a livello di redditi che di diritti (le due cose sono strettamente connesse, ma ovviamente fanno di tutto per farci credere che non sia così, concedendoci sempre di più ma solo di quei diritti che non hanno ricadute sull'altro piano). In questo quadro, ogni concessione diventa sospetta: anche quelle sul genere, e anche quelle sul fine-vita, si. Ci daranno tutto quello ci serve, giuridicamente e praticamente, per toglierci di mezzo, vedrete, tranne quello che ci serve per capire davvero, quindi essere davvero liberi, se e quando riteniamo giusto farlo.

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