D'altronde, stiamo parlando di un album dei più visionari, della messa in partitura e testi (e poi in scena e su pellicola) dell'ossessione intima di una delle rockstar più autentiche della storia della musica, uno che per come si presenta e come ragiona ancora ora che ha superato la settantina è rimasto uno dei pochi che può spiegare appieno cosa significa "rock" in senso culturale: essere sempre "contro", mettere in discussione il Potere, iniziando da dentro se stessi. A prescindere se suoni rock in senso di struttura musicale e ritmica.
Un album che molti adorano come un feticcio, e che però molti cultori dei Pink Floyd reputano già molto lontano dai primi o primissimi album: una specie di premessa alla fine della band, consumata col successivo The final cut (si: anche se dopo una battaglia legale gli altri tre continuarono ad usarne il nome, lo spirito della band se andò con Waters, e gli altri continuarono per anni e anni ad incidere ed esibirsi con tanta perfezione formale quanto poca intimità, come una specie di tribute band di stralusso), che però come vi ho già raccontato è proprio l'album da cui io stesso diciannovenne cominciai la scoperta archeologica dei tesori precedenti.Un album infine fondato su una metafora così potente da essere stata stiracchiata di qua e di la a coprire qualsiasi cosa: il muro dentro se stessi, il muro della società, il muro di Berlino o quello di Gaza, il muro attorno a noi e tra di noi edificato con la scusa della pandemia. E si, anche il muro costruito tra il pubblico e la band mentre questa suona e poi abbattuto fragorosamente al termine del processo. Ovviamente non ho qui Roger Waters in persona, ma se lui è Dio chiedo a uno dei suoi profeti, Diego Lombardi: cosa è The Wall? Ce ne parli un pochino, fornendoci magari degli spunti di riflessione mentre snoccioli la playlist (e intanto chi ci legge fa partire il tube del full album che embeddo in coda al post, perché se c'è un disco che va ascoltato tutto assieme dall'inizio alla fine è questo, mentre del film sono riuscito a trovare solo tube spezzetati, buoni però ad invogliarli a procurarsi l'intero)?
---
I Pink sono importanti nel mio mondo musicale, ma non sono al centro. Credo che questo in qualche modo mi avvantaggi, perché ho potuto assorbire la loro musica in più vesti ed occasioni, abbastanza diverse tra loro e non acritiche: bambino ignaro sottoposto dal fratello più grande ad un ascolto ad alto volume per impressionarlo; appassionato ed esteta del Progressive rock; cantante ed attore dilettante. E’ quest’ultimo, ritengo, il punto di osservazione chiave per poter dare dei significati all’opera d’arte in sé.
Come amante della musica posso dire solo che l’album è originale e suggestivo, che funziona, e che mi piace. D’altra parte è un ottimo “concept”, quindi ha un potente e credibile filo conduttore che non ti permette di uscire dallo scenario per un tempo paragonabile a quello che passiamo in una sala di cinema!
Quando, invece, devi essere tu il veicolo di quello che un artista voleva comunicare, qualsiasi sia la tua conoscenza dell’opera devi studiare e capire ancora. In questo caso si tratta di guardare la gente al concerto, o dire le cose, come Pink lo farebbe. Sentirsi come lui, anche, direi… per rendere il tutto più genuino.
Fare questo tipo di lavoro ripaga molto l’attore-cantante, perché diventa esperienza vissuta in altri panni e situazioni impensabili per la vita che conduce normalmente; perché ci si attacca all’opera ancora di più e, infine, perché si riescono finalmente a far materializzare i personaggi della storia e a comprendere le loro frasi.
The Wall è un dramma, nel quale si possono trovare anche risvolti odiosi e sgradevoli, come può accadere anche in Les Miserables o Jesus Christ Superstar. Però queste storie hanno il merito di avvicinarci alla comprensione di qualcosa che non potrà mai essere pienamente e precisamente rappresentato: la complessità e l’intensità dell’esperienza umana.
Parlando di scaletta devo dire che, pur avendo le mie preferenze, trovo che ogni brano del disco sia importante e adatto al proprio ruolo. Musicalmente sono attratto dalla spavalda energia espressa in “Run Like Hell”, “In The Flesh”, “Another Brick In The Wall Part 3”; però il bello è che ci sono tanti colori da godersi sia come attori che come spettatori: momenti di riflessione e di disperazione (“Mother”, “Hey You”, “Goodbye Cruel World”, “Don’t Leave Me Now”), e momenti di mistero ed inquietudine (“Is There Anybody Out There”, “Goodbye Blue Sky”, “Empty Spaces”, “The Happiest Days Of Our Lives”).
Per fortuna, ci sono anche alcune cose di carattere meno oscuro, per garantire un’alternanza che renda il tutto più efficace. Questo mi fa venire in mente anche il fatto che l’armonia è importante per rendere bene quest’album: ci sono delle belle parti corali che richiedono voci affiatate, e per me è stato un piacere sperimentare in questo senso con gli UFO Club, il gruppo nel quale ho militato per anni e che sapeva rendere molto bene anche questo aspetto.
Come osservazione conclusiva sulla terna “Pink Floyd, The Wall, Platea”, devo dire che nonostante il suo potenziale questa Opera Rock non è mai stata messa in scena in modo adeguato (no, neanche ai concerti con muri titanici e maiali grossi come dirigibili). I PF non hanno mai realizzato a sufficienza quanto si sia perso a causa della loro scarsa propensione, come persone, alla teatralità e a una comunicativa stretta con il pubblico.
Per fortuna ci ha pensato il film a colmare questo vuoto, così come delle rappresentazioni in forma di musical potrebbero raggiungere il bersaglio pieno, con l’aiuto di artisti di discipline diverse.
Viene qualcuno a vestire i panni di Pink (e della moglie, la madre, il dottore, il maestro, il giudice…) sul palco con la giusta autorevolezza, o dobbiamo accontentarci di Waters che si fa scorgere da lontano mentre si trova al sicuro in una finestra più alta di quella del Papa?
Nessun commento:
Posta un commento