Intanto i commentatori dopo ogni suo trionfo hanno smesso di intervistare Pietrangeli, che rosica talmente che francamente non si sopporta più, qualcuno ironicamente sottolineando che Sinner è il più grande tennista italiano "dell'era Open", mentre Pietrangeli resta e resterà per sempre il più grande dell'era precedente. Ma con Panatta hanno continuato, ricevendo immancabile in risposta qualcosa come "non vedo l'ora che vinca l'undicesimo così mi supera e non mi rompete più le scatole", aggiungendo che dal canto suo si sente già superato, essendo l'altoatesino talmente giovane che chissà quanto vincerà ancora prima dei ventisette anni, età in cui un italiano medio raggiunge la piena maturità agonistica e infatti in cui egli stesso visse il suo periodo d'oro.
Panatta, oltre che sinceramente felice di vedere finalmente un italiano in grado di superare i suoi risultati, è così intelligente da capire tutto ciò, e da sottrarsi all'ulteriore approfondimento che viene naturale e qualcuno infatti ha già fatto: tra lui e Jannik ogni paragone è decisamente impossibile, e non tanto per via delle epoche, quanto perché come persone sono evidentemente agli antipodi, ai poli opposti di un continuum dimensionale filosofico su cui potrebbe collocarsi ciascuno di noi, dentro e fuori dal campo da tennis: si gioca tutti per vincere, così come nessuno vuole morire, ma detto questo come giochi? come vivi? Avendo come punto fermo il risultato, o la bellezza?
Cerco di dirla meglio. Atteso che tutti quanti dobbiamo morire, è meglio sopravvivere più a lungo possibile ad ogni costo, compreso quello di deliberatamente impedirsi di godere delle cose belle della vita, o è meglio vivere meglio che si può? Se ci si pensa, ognuno di noi si è dato una risposta, e talvolta l'ha persino cambiata nel tempo. Nella vita in genere come nella carriera. O magari nella vita amorosa come nella carriera sportiva. E non c'è una risposta giusta o una sbagliata: ognuno è fatto a modo suo, ed è libero di scegliere della propria vita, e persino di essere incoerente.
Pietrangeli giocava con scarpette che oggi noi a stento ci cammineremmo, a farci un'ora di tennis poi ricorreremmo al podologo, e per premi che non si possono nemmeno paragonare agli attuali, diciamo simbolici vah. Ma era sempre meglio che lavorare, e poi qualcuno un circuito professionistico lo creò e lui decise di non andarci, restando tra i "dilettanti" fino al loro ritorno, o meglio al passaggio al professionismo del circuito mondiale, quando lui era oramai alle soglie del ritiro.
Ai tempi di Panatta già soldi ne giravano di più, abbastanza per garantire ai più forti al mondo la cosiddetta bella vita. Era un mondo già in crisi, se ti trovavi tra i privilegiati e non te la godevi in qualche modo offendevi tutti quelli che non avevano avuto la tua possibilità. I tennisti di vertice, allora, se la godevano tutti, o quasi. Di Adriano, si vedeva (anche in campo: quando gli andava di allenarsi, batteva chiunque, quando non gli andava, perdeva con chiunque, a Budapest contro l'Ungheria in Davis perse dal barista dell'aeroporto, secondo giocatore nazionale dopo l'unico professionista, tale Taróczy che poi ebbe una buona carriera di allenatore) e si sapeva, anche se in fondo bastava guardarlo, bello com'era. Ma di Borg, a vederlo giocare nessuno lo avrebbe mai detto, invece era proprio così e a noi lo ha raccontato proprio Panatta, che gli passava le ragazze e una di queste se lo è pure sposato (si, la conoscete tutti). Gerulaitis, Noah, persino Wilander, il decennio dopo. Ma il più bello e amato restava sempre lui, fuori e dentro il campo, e questo record nessuno glielo toglierà.
E Jannik Sinner lo sa. E non gli importa. Lui è uno che vuole vincere. Ma ha capito che introdurre "bellezza" nel gioco, se padroneggi la cosa (cioè non fai come Bublik, e fino a ora Musetti), alla fine ti consente pure di aumentare le probabilità di vincere. Quindi ha "studiato", ha aggiunto frecce al suo arco, e, come dimostrano le due ultime vittorie, opposte per impostazione, in finale sul russo Medvedev, praticamente un muro, sa quando tirarle e sa anche quando riporle e accettare lo scambio. Per i soldi è tutta un'altra epoca, uno come lui è già apposto fino alla settima generazione anche se smette domani, anche se fosse uno che sciala che a occhio non sembra proprio. Il problema del tennis è un altro: a fronte degli iperguadagni dei top player, maschi e femmine ormai apprezzabilmente simili (e se non uguali si protesta, ma non c'è niente di più odioso delle proteste sindacali dei ricchi), la dura realtà è che dati i costi riescono a camparsi al massimo un paio di centinaia di giocatori al mondo, e gli altri ci rimettono finché possono e poi rinunciano. Niente a che vedere con gli sport veramente ricchi, per intenderci. Ma questa cosa ad usare la sua eco mediatica per dirla è, ancora un volta, il solo Djokovic, e quel paio di accoliti della sua PTPA un minimo conosciuti, come Pospisil e la tunisina Jabeur. La quale ha avuto persino il coraggio di spendere qualche parola per i palestinesi.
Tornando al tema iniziale, Panatta ha vinto forse un decimo di quello che avrebbe potuto facendo un'altra vita, ma se lo avesse fatto forse avrebbe perso il gusto di spargere per il mondo tutta quella bellezza che ancora oggi possiamo apprezzare guardando Una squadra e altri filmati di repertorio. Chi pratica "lo sport del diavolo", anche a livello di circolo senza nessuna classifica federale, lo sa, che nel nostro piccolo anche noi ci dividiamo tra coloro che cercano (quasi mai filmati, per fortuna) la giocata per vincere il punto e quelli che cercano di farlo non facendoti giocare. Ai nostri livelli, vincono quasi sempre questi ultimi, ma tu stai li te li guardi e pensi: "ma che gusto c'è? ti pagassero qualcosa se vinci, ancora ancora, ma così! hai pagato per giocare, cerca di divertirti". Ma è inutile: loro, si divertono, così...
Nessun commento:
Posta un commento