C'è un'antinomia, nel concetto di tolleranza: come bisogna essere nei confronti degli intolleranti? Intolleranti, esatto. Appunto. Se si tollera che gli intolleranti esercitino la loro intolleranza finirà che loro toglieranno di mezzo la tolleranza e/o chi si ostina a esercitarla.
Col concetto di libertà le cose si fanno più complicate: dal concetto liberale, immediatamente comprensibile da chiunque per quanto già esso difficile da attuare in concreto, per cui la libertà di ciascuno trova il suo limite oggettivo nella libertà altrui, passando per il concetto democratico che presuppone una parità di poteri nell'esercizio della partecipazione (da Rousseau a Gaber), si arriva al concetto di libertà sostanziale che presuppone anche la parità di condizioni di partenza, e cioè ad esempio l'attuazione del famigerato quanto sempre più disatteso articolo 3 della nostra Costituzione, senza cui la libertà dei due concetti precedenti è vana e anzi suona come una colossale presa per il culo.
Nonostante ciò, è sufficiente limitarsi al concetto liberale di libertà per seguire il ragionamento che scaturisce, e forse serve a inquadrare meglio, dall'argomento più seguito della cronaca di questi giorni: il suicidio assistito, per dire pane al pane e eutanasia a eutanasia, di DJ Fabo.
Del caso in questione non dico nulla, perché ne parlano già tutti e perché essenzialmente sono cazzi suoi di cui parlando da fuori della sua testa si possono dire solo minchiate. Ma è proprio il bailamme che ha scatenato, proprio il fatto stesso che una questione essenzialmente privata debba diventare un caso da discutere all'infinito e spesso a pene di segugio (anzi prima ancora debba diventare un caso pubblico anziché poter essere risolta nel suo alveo naturale), a dover essere discusso, perché è dalla distanza tra queste cose come le viviamo e come invece dovrebbero essere vissute che si misura la distanza tra la nostra sedicente democrazia e una effettiva.
Allora io faccio un ulteriore passo avanti. Parlo di suicidio senza attributi, visto che tra l'altro oggi chi aiuta qualcuno a morire con dignità viene imputato di "istigazione al suicidio" tout-court. E parlo con una qualche cognizione di causa, anche se credo che chiunque possa vantare se non un vissuto di tentazioni autodistruttive almeno un tentativo, riuscito o meno, presso la cerchia dei parenti o amici stretti. Per non parlare di certe pratiche - penso al fumo - che altro non sono che un suicidio "a rate". Insomma, sul suicidio ho sempre pensato, fin dall'adolescenza, che fosse indebito qualunque giudizio di valore da parte di chicchessia: chi parla di eroismo parla per se e per il coraggio che gli manca, chi all'estremo opposto di vigliaccheria parla per conto di presunte entità presunte superiori, ma nessuno parla con cognizione di causa.
C'è un modo di dire delle mie parti che descrive invece l'unica posizione secondo me legittima, e lo fa talmente bene da applicarsi peraltro anche a situazioni di segno opposto come l'omicidio, accidentale o meno (e a proposito del mostro giuridico dell'omicidio stradale, la cronaca recente ci fornisce un esempio in cui "o" diventa "e"): "non gabbu e non maravigghia", anche nell'espressione sintetica "fora gabbu". Si deve tradurre così: "non oso prendere in giro o meravigliarmi (stigmatizzare) questo comportamento, perché so che un giorno per chissà quali vie traverse potrebbe essere il mio, anche se al momento è quanto di più lontano immaginabile dalle mie corde". Per questa ragione, penso male di chi osa pensare e dire male (con ciò sottintendendo "a me non potrebbe capitare mai"), ad esempio di quel genitore che ha scordato il figlioletto in auto sotto al sole. Osservo, e mi dico "non gabbu e non maravigghia!".
Con questa lunga premessa, capiamo meglio perché in Italia non abbiamo ancora, e forse (ma spero di essere smentito) non avremo mai, una legge che disciplini il suicidio assistito o in genere l'eutanasia (che non è una parolaccia, significa "buona morte"), e anzi neanche una che regolamenti il testamento biologico, che sarebbe questione molto meno controversa essendo addirittura sancito in Costituzione (e leggetevelo bene, l'articolo 32, prima di fare il coro alla prossima crociata per la vaccinazione obbligatoria universale per conto e negli interessi di Bill Gates e soci!) il diritto a non essere sottoposti a un trattamento sanitario contro la propria volontà. Si preferisce, nel Belpaese, l'ipocrisia di praticare nei fatti (a ogni livello: ricordatevi di Wojtyla) tutte e tre le cose senza averle rese legittime per l'Ordinamento. Perché in Italia nessuno può fare a meno dei voti cattolici, e quindi è difficile che un partito in Italia manifesti posizioni apertamente antitetiche a quelle ufficiali della Chiesa. Ma questa è una spiegazione macro, a me oggi interessa il micro.
Mi interessa prendere le distanze da chiunque ritenga di essere depositario di una Morale superiore, al punto di avere il diritto di imporla anche a chi non la pensa come lui. Perché è la religione, ogni religione monoteista che condivida il primo comandamento di quella ebraica, ad essere empia. E' empio pensare che il tuo dio è l'unico dio, e da questa empietà primigenia derivano tutte le altre. Perché è consequenziale a questa affermazione identitaria il ritenere che gli insegnamenti morali ricevuti siano da imporre a tutti gli altri, anche a chi ne ha ricevuti di diametralmente opposti e anche a chi ci ha tenuto a rifiutare quelli ricevuti in quanto tali per invece costruirsi da sé il proprio impianto valoriale (che magari ne ricomprende alcuni). Si, è il famoso relativismo culturale tanto inviso a Ratzinger, come anche a Wojtyla e Bergoglio che però sono di ben altra furbizia e lo citano meno. E non è vero che la sua conseguenza logica è la paralisi, e la deriva morale della società. Tutt'altro. Perché un criterio c'è: tolleranza con tutti tranne che con gli intolleranti.
Seguendo questo criterio, sarebbe semplicissimo stilare una legge sul testamento biologico, sull'eutanasia, sul suicidio assistito, perché la sintassi sarebbe come per quella sul divorzio e sull'aborto: nessuno in base a quelle leggi ti costringe a divorziare o abortire, chi vuole può farlo secondo legge, chi non vuole può non farlo come se la legge non ci fosse. La mia libertà arriva fino a dove non calpesta la tua, non un millimetro avanti. Ma neanche un millimetro dietro.
mercoledì 1 marzo 2017
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