domenica 6 novembre 2022

RADIOCIXD 64 - TITANIC

Francesco De Gregori è uno di quegli artisti per cui è difficile individuare uno o due album/capolavoro, avendo invece disseminato canzoni bellissime lungo tutta la sua ormai enorme produzione. Se però mi mettete spalle al muro col solito giochino dell'isola deserta, forse dovendo portarmecene solo uno sceglierei questo Titanic del 1982, e non solo perché si tratta di un semi-concept destinato a rimanere attuale per sempre (ci sarà sempre una società che si sente inaffondabile e poi invece affonda mentre i musicisti continuano a suonare, toccherà anche a quella che soppianterà l'Occidente di cui parla il Nostro), ma anche per il livello medio elevatissimo dei singoli brani, anche oltre quei due o tre capolavori che conoscono tutti, anche quelli che quarant'anni fa non erano manco nati.

Profetico come molti veri artisti sono, il "Principe" se ne uscì con questo disco agli albori dell'epoca in cui la sua metafora di fondo si sarebbe realizzata, quegli sciagurati anni 80 che in Italia sarebbero coincisi con il craxismo (ai tempi non si poteva sapere che poi avremmo avuto qualcosa da rimpiangere, ebbene si,  anche in quello...) e l'incubazione del berlusconismo, dopo ben tre anni dalla trionfale tournée con Dalla con cui aveva ritrovato la voglia di cantare dopo che i settantasettini gliel'avevano levata altri due anni prima. Insomma, quando si cominciava a temere una nuova eclissi, eccolo qui a risplendere come il sole.

Per le tracce ho trovato un video unico, che vi embeddo in fondo così lo potete far partire per ascoltare l'album completo (peraltro, dura meno di 40 minuti: eravamo ai tempi del vinile...), che però in commento riportava anche il minuto d'inizio dei vari brani, così nella tracklist commentata accanto al titolo trovate un link per ascoltare in popup il singolo brano:

  1. Belli capelli (00:00) - Eppure questo album così "impegnato" (come si diceva una volta) inizia con una canzone d'amore. Anche se capace, come altre sue, di vette come quella della strofa conclusiva, con la sua rima tra vino e mattino.
  2. Caterina (03:29) - Ai tempi per amarla mi era bastato il verso "e la vita Caterina lo sai non è comoda per nessuno", e credevo che con le sue cinquecento catenelle citasse Reginella di Vecchioni, poi ho scoperto che era dedicata a una folksinger, Caterina Bueno, e ho cercato le sue canzoni popolari (alcune riprese poi anche da Ginevra Di Marco e Nada, per dire).
  3. La leva calcistica della classe '68 (07:32) - E questa è la prima hit intergenerazionale, forse per via della metafora calcistica. Se pensiamo che Nino, ammesso che sia davvero riuscito a fare il calciatore, al massimo avrà giocato ad Italia 90 ed oggi farebbe l'allenatore, e manco dei più giovani, abbiamo la misura dell'età di questa canzone, che ad ascoltarla senza sapere il titolo sembra invece scritta ieri.
  4. L'abbigliamento di un fuochista (11:48) - La trilogia del Titanic inizia con questo magnifico (e quasi altrettanto noto del precedente) pezzo di stampo folk (infatti ci canta anche Giovanna Marini, con cui Francesco qualche anno dopo farà addirittura un album con tanto di annessa tournée, a dimostrare che la dedica a Caterina non era una cosa a se stante), in cui il Nostro con pochi colpi di pennello ci racconta la povertà, l'emigrazione e la speranza, mentre la tragedia resta fuori (però la sappiamo noi, come nella migliore letteratura).
  5. Titanic (16:07) - Secondo brano della trilogia, rappresenta un mirabile affresco della popolazione di varia estrazione che stipava il transatlantico, con un efficacia che nemmeno Cameron riuscirà ad avvicinare. 
  6. I muscoli del capitano (20:26) - Ma l'apoteosi si tocca col brano conclusivo, anche se è il meno noto dei tre. Strumentalmente coverizza proprio la Bueno di un altro naufragio, prima di evocare la marcia inarrestabile della nave verso la fine. Ma è il testo a sfiorare il capolavoro, con echi di futurismo ad evocare quel movimento che faceva da contorno a quella fede nel progresso e nella tecnica che presto si sarebbe andata a infrangere contro le due guerre mondiali e tra di loro la grande depressione e i fascismi. 
  7. Centocinquanta stelle (24:29) - Erano gli anni dell'escalation degli euromissili, e tutti noi vivevamo nel timore che davvero a qualcuno scappasse di pigiare un bottone e ciao. Di opere letterarie, visive e musicali sul tema ce n'è a bizzeffe, De Gregori ci mette la sua, non a caso in questo album e in questo punto, partendo dall'ultima novità di cui si parlava sui media, la bomba al neutrone, che pare potesse uccidere le persone lasciando intatte le cose (gli scoiattoli, non so...). Speriamo davvero non torni d'attualità questa tematica, siamo lì lì...
  8. Rollo & His Jets (27:52) - Intermezzo rocchettaro legato apparentemente legato al concept soltanto col verso "le nere vele di una nave a vapore da consegnare alla posterità", che poi è una citazione per via metaforica (quali vele se no?) del mito di Egeo, suicida nel mare che prenderà il suo nome perché il figlio Teseo dopo aver ucciso il minotauro era troppo impegnato a scaricare Arianna (in Nasso, da cui l'espressione "piantare in asso") per ricordarsi di cambiare le vele. Poi uno ci pensa un attimo, ed ecco che la rock band evoca l'orchestra che continuava a suonare mentre...
  9. San Lorenzo (30:21) - La chiusura è riservata a un pezzo meraviglioso, che riparla di bombe ma non di quelle ipotetiche che verranno ma di quelle grevi e reali che il 19 luglio del 43 rasero praticamente al suolo il quartiere attorno allo scalo merci più importante di Roma: in tempi in cui quasi tutto arrivava via treno, era un obiettivo militarmente logico, se volevi minare la resistenza del nemico. Ma gli americani, si sa, quando c'è da bombardare non stanno mica li a fare i micragnosi, così oltre allo scalo distrussero tutti i quartieri civili limitrofi facendo migliaia di vittime. Quando i "danni collaterali" li fanno gli altri, invece, la velina dice di raccontarli uno a uno, come potete riscontrare seguendo qualsiasi TG sulla guerra in Ucraina. Agli occhi di chi vuole vedere le cose come stanno, anzi, l'attenzione che stanno mettendo i russi a limitare ogni danno non indispensabile a un popolo fratello è talmente alta che forse da sola (no, assieme agli improvvidi aiuti occidentali) spiega la durata del conflitto: gli americani al loro posto avrebbero risolto tutto con qualche bombardamento a tappeto (se non volete arrivare a Hiroshima chiedete a Dresda, che Roma in confronto è stato uno scherzetto) o al napalm (ma i film che raccontano la verità arriveranno non in tempo reale come per il Vietnam, ma decenni dopo come per il genocidio dei pellerossa o il caso Kennedy). Ecco, non so se era intenzione di De Gregori, ma a me ascoltare questa canzone mi fa questo effetto: a ripensare come gli angloamericani ci hanno "liberati", per poi toglierci la libertà in cambio di qualche decennio di crescita economica, mi metto a cantare "cadevano le bombe come neve il diciannove luglio a San Lorenzo", oppure Uh mammà di Mimmo Cavallo...

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