La notizia delle morte di Enzo Jannacci mi ha raggiunto (purtroppo senza sorprendermi) in una breve vacanza, ma mi è dispiaciuto tanto che non ho potuto fare a meno di postare col cellulare un rigo di saluto, ripromettendomi di tornarci su: infatti eccomi. Avrete senz'altro letto e/o sentito in questi giorni biografie più o meno complete e aneddoti relativi al grande cantautore/chirurgo scomparso, al suo talento e alla sua umanità, al suo stare sempre dalla parte degli ultimi, per cui io posso aggiungere qualcosa solo da un punto di vista del tutto personale.
Diversamente da tanti altri artisti, scoperti e approfonditi in età adulta o in gioventù, Jannacci mi ha colpito da bambino, con la sua fisicità straniata e straniante e i suoi nonsense indimenticabili. Di lui ho tanti LP in vinile, e il 45 giri ereditato da mio padre con Ho visto un re sul lato A e Bobo merenda sul B. Ma conosco l'intera discografia, peraltro in buona misura disponibile su youtube, per cui posso permettermi di fornire ai miei affezionati lettori una ragionata antologia di pezzi, molti dei quali poco noti, fondamentali per comprendere come e perché questo milanese di origini terrone, che poteva vantarsi di avere lavorato con Barnard ai primi trapianti cardiaci, con tre quarti delle parole che gli restavano tra i denti mentre il quarto te lo sputava contro, mentre sembrava sempre che scherzasse scriveva delle melodie bellissime e stranissime e dei testi di una profondità assoluta. Ascoltateli tutti, vi prometto che ciascuno di voi sarà sorpreso da qualcosa che non si aspettava proprio.
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Cominciamo dalla arcinota Vengo anch'io no tu no, di cui inserisco un filmato d'epoca per mostrare la fisicità bizzarra di cui parlavo prima. Qui le affianco il brano da cui evidentemente è presa la melodia (il ritornello no), uno standard latino degli anni 50 "coverizzato" forse decine di volte in ambiente salsero: Moliendo cafè. La versione è quella di Mina, perché qualche anno dopo la stessa realizzò un'intero album di pezzi di Jannacci, tra cui ascoltiamo l'unico "leggero": Saxophone.
Dal mondo televisivo pesco anche tre sigle, due della domenica pomeriggio una serale (del mitico programma di Cochi e Renato Il poeta e il contadino): vi prego di notare quante cose serissime si nascondono dietro il tono scanzonato, dato che quasi sicuramente le conoscete già tutte.
Quasi sicuramente invece non conoscete almeno la prima e l'ultima di questo trittico di meravigliose canzoni d'amore (la seconda forse si, almeno qualcuno di voi): Il gruista, di cui non si capisce nemmeno se finisce in tragedia o in gloria, la struggente Io e te, e la tristissima Si vede, in cui si racconta in soggettiva una storia che finisce.
Tematica sociale, sottotema "giovani": La fotografia, che Enzo ebbe il coraggio di portare a Sanremo, è il pianto di un padre che ha perso il figlio per essersi fatto seguire da lui nella sua vita di piccolo delinquente, E allora concerto è quasi una bestemmia laica a "quel padreterno che dite che c'è che permette che un ragazzo butti giù un'overdose o ci ha un tumore alle ossa", e Se me lo dicevi prima una ironica ("iniettarsi morte è ormai anche fuori moda") profezia sulla spaccatura intergenerazionale in tema di occupazione. Di Cosa importa, tragica storia di un ragazzo tossicodipendente, non ho trovato on-line né video né testo, provateci voi ne vale la pena.
Tematica sociale, sottotema "solo ed emarginato": l'immensa Mario ("io faccio il cantante e grido, e canto solo idee, ma chi l'ha detto che è giusto o sbagliato tagliarsi un colpo qui sulla testa? lascia fare alla vita la sua vecchia fatica, siamo feriti quanto basta", la misconosciuta Quello che canta Onliù, e l'ironica Il dritto in duetto con Milva (anche lei ha fatto un album tutto di canzoni di Jannacci...). E non ho messo Il ragazzo padre....
Tematica sociale, sottotema "rivoluzione": sentire Prete Liprando e il giudizio di Dio è come vedere un film ambientato nel medio evo, Bobo merenda è un kamikaze antimilitarista e innamorato (più rivoluzione di così...), Son sciopàa è un mendicante che si ribella ("hai presente un canotto morsicato da un dobermann? son scoppiato così e così!". Non ho messo Ho visto un re (scritta con Dario Fo, come Liprando ma vent'anni prima) perché arcinota, né Il bonzo perché protagonista a suo tempo di un post tutto suo.
Sempre in tema sociale, ancora giovanissimo Jannacci ha tracciato una serie di efficacissimi ritratti umani della periferia milanese, in cui il nostro guarda con la stessa pietà le vittime come il protagonista di El purtava i scarp del tennis (omessa per troppa notorietà), e i carnefici come L'Armando, i ladri della banda dell'Ortica protagonisti di Faceva il palo e le puttane dal cuore d'oro come Veronica ("il primo amor di tutta via Canonica").
Ma se il suo approccio particolare alla vita, pieno di tanta ironia quanta sacralità, è arcinoto, molto meno lo sono i brani in cui questo aspetto appare con la massima evidenza. Vivere è una cover di un brano degli anni 30 che insieme a Rido dà il titolo e la cifra stilistica a un album del 1976 (Vivere o ridere, appunto) da cui il titolo di questo post, mentre Parliamone è forse il capolavoro assoluto dello Jannacci "recente", con due strofe che mettono in parallelo (e sullo stesso piano di dignità, meravigliosamente) le tragedie "di un figlio che soffre la prima volta d'amore e di un amico che si sta spegnendo per via del cuore".
Per chiudere (ma solo per non andare troppo lunghi, dato che la produzione di Jannacci avrebbe meritato altro spazio), parliamo di musica. Ci vuole orecchio l'abbiamo canticchiata tutti, senza pensare alla critica feroce, a un certo modo di fare musica (senza avere "il pacco intinto dentro al secchio", tanto per capirci...) che ai tempi stava prendendo piede e poi è purtroppo dilagato, che conteneva; Musical è esplicitamente dedicata all'amico Paolo Conte (ai tempi ancora uno sconosciuto avvocato astigiano, autore tra l'altro di Azzurro e Genova per noi, che timidamente provava a fare il cantautore) di cui aveva già cantato Bartali e Messico e nuvole; Via del campo "forse non tutti sanno che" è testo di De André e musica di Jannacci (da una base medioevale: una vicenda rocambolesca che i due appianarono in amicizia, tanto che poi il brano fu cantato proprio da Jannacci nella commemorazione di Faber, e ai funerali di Enzo non è mancata Dori Ghezzi), e d'altronde a sentire musica e parole sembra proprio che sia stata scritta a quattro mani dai due.
Spero proprio che tutto il mondo della musica italiana riconosca quanto deve a Enzo Jannacci, e che veda presto la luce un disco di tributi ai più alti livelli, magari registrato in un evento dal vivo (sperabilmente senza Fabio Fazio, per carità) come per De André o anche solo in studio. Se si fa, prenoto il vinile.
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