Per chi calca i campi da tennis da quando, bambino asmatico tenuto amorevolmente lontano da ogni attività fisica da genitori troppo premurosi e medici di una volta, ricevette in regalo dalla Befana del Ferroviere una coppia di racchette improbabili (di finto legno, in realtà cartone pressato, che alla prima pallina vera si sarebbe sbriciolato, e con corde di nylon da pesca solo un po' più spesso) iniziando a esercitarsi contro la parete del soggiorno, e poi contro il muro di uno dei sostegni sotto il ponte nuovo sul Calopinace, oramai oltre mezzo secolo fa, è una congiunzione astrale che mai avrebbe sperato si realizzasse, nemmeno nel più fantasioso dei suoi sogni. E so di dire cose che, con più o meno piccole varianti, moltissimi italiani potrebbero sottoscrivere.
Poi anche le ragazze sono andate in finale, mentre invece Sinner no: troppo precaria la condizione fisica per reggere cinque set contro forse l'unico attualmente al suo livello. E poi, e siamo arrivati a domenica, gli italiani hanno perso tutte le finali. Quindi la congiunzione astrale non si è compiuta appieno, ma quel bambino sarebbe ancora orgoglioso, perché quando sfidava il muro per ore impersonando i suoi eroi in veri tabelloni almeno dagli ottavi in poi, imitando lo stile ora dell'uno ora dell'altro nel tirare i colpi, tra quegli eroi di italiano c'era solo Panatta (anche se a "classe" era il migliore) e oggi invece avrebbe l'imbarazzo della scelta. E comunque uno di questi, un ragazzo il cui unico difetto sembra essere quello di dire un po' troppo spesso di essere solo un ragazzo normale, che magari sarà pure vero ma quando smette di dirlo forse diventa imbattibile, da lunedì, da domani, forse l'ho già detto, sarà il numero uno del mondo.
Volevo chiamarlo così, questo post, ma poi mi sono ricordato di averlo già scritto (per un certo Federer) e anzi con alcune cose dentro che erano le stesse che mi venivano in testa di ripetere, per cui andatevelo a rileggere, come pure a maggior ragione si può ancora rileggere per intero e sottoscrivere il post con cui celebravo l'ascesa a numero quattro. Ma la cosa più bella da andarsi a rivedere, perché la dice lunga e insegna qualcosa a ciascuno di noi, è il video di sei anni fa quando a un ragazzino che si era appena affacciato tra i professionisti veniva chiesto quale fosse il suo sogno. Solo un altro prima di lui rispose allo stesso modo con ancora più faccia di tolla, si chiamava Djopkovic. E si, avete indovinato.
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