L'amico che scrive oggi è un grande giornalista: raccoglie dati, studia, incrocia, e poi scrive - mica un dilettante come me che vomita pensieri di getto dopo essersi fatti gli occhi a pomodoro sui siti di controinformazione. Per questo, come si dice, ricevo e volentieri pubblico questo suo pezzone, che mi sembra un ottimo modo per tornare a parlare di Berlusconi senza ripetermi, come rischiavo di fare non avendo la verve di un Michele Serra o la statura di un Giorgio Bocca. Sono giorni tristi, in cui il Caimano ha inferto forse il colpo di grazia alla democrazia rappresentativa dimostrando che persino un deputato, anzi due, del partito più all'opposizione rimasto in parlamento può essere semplicemente comprato, a dei ragazzi che toccano con mano che se ancora qualcosa possono comprare è coi soldi di papà, quando e quanti ne hanno. Giorni tristi, in cui questi ragazzi vengono privati con astuzia cossighiana anche della voce, del diritto di manifestare tutto il loro scontento, perfino rimbrottati alla fine dal saccente Scrittore Anticamorra nei cui confronti ho sempre nutrito una istintiva diffidenza che mi si fa sempre più chiara.
Allora ben venga uno sguardo da fuori, da oltre il giardino, della Berlusconeide: vista dagli altri - Banca Mondiale, Reporter Senza Frontiere, Transparency International, Fraser Institute, Institute for Economics and Peace e World Economic Forum - questa nostra Italia cialtrona e fascistoide è irrimediabilmente bocciata. Figa a parte, s'intende...
articolo di Stelio Fantani
L’economia, il pil, il deficit e il debito pubblico sono oramai superati, vecchi orpelli che misuravano Paesi che esistevano nelle moltitudini statistiche, ma non sulle tavole delle famiglie. E allora ecco la novità. Il Governo si valuta ora attraverso il Gender Gap, ovvero, osservando le distanze, le disuguaglianze e le differenze che si colmano e si recuperano in corso d’anno nel modo in cui sono trattati i due sessi, uomini e donne. Ecco dove il BerluscTer è da primato. Il perché? E’ un’altra storia.
Sono oramai prossime le celebrazioni per il transito dell’era del Biscione a quella del Drago (plurale). Insomma, è ora di tirar le somme e di rendere l’onore dovuto all’Esecutivo instancabile del fare, non del filosofeggiare o del riflettere, profili in cui si racchiude invece la tipizzazione propria che ha segnato le stagioni del centrosinistra di governo. Dunque, passiamo in rassegna i risultati del fare berlusconiano. Partiamo dall’economia. Un terreno questo dominato, anzi, inquinato dalla stampa malevola, dai commenti di economisti intrisi di pessimismo e, per ultimo, da responsabili istituzionali, per esempio il numero 1 di Bankitalia, zavorrati da ansie numeriche che mascherano e mettono in ombra i successi clamorosi centrati in 2 anni di BerluscTer. Come peraltro ben esplicitato, e ricordato, con ricchezza di reportage, dal MinzulPop, nuova versione in 3.D dell’antico Tg1, l’ammiraglia Rai un tempo votata alla beatificazione del nulla di fatto made in centrosinistralandia.
Dall’Homo Sapiens all’Homo Domesticus
Comunque, torniamo ai numeri. Il
pil, cioè la ricchezza prodotta annualmente dal Paese è immobile, in uno stato di ibernazione. In pratica, l’Italia sta transitando dalla Grande depressione alla Grande recessione, anticamera d’una prossima Grande stagnazione. A suggerirlo sono alcuni indicatori. Innanzitutto, il deficit che danza oramai da tempo intorno all’asticella del 5 per cento, senza mostrare segni di riacquisita tonicità. Andando oltre l’altalena del
deficit c’imbattiamo nel macigno del
debito pubblico, fermo a novembre 2010 a quota 1.844miliardi, in pratica 178miliardi di euro in più rispetto ai 1.665miliardi con i quali s’era chiuso il 2008 che aveva immortalato l’esordio del BerluscTer. Restando ai numeri, quindi non tenendo conto del MinzulPop, in soli 19 mesi in media ogni singolo contribuente, sono all’incirca 40milioni, pensionati inclusi, ha visto riversarsi sul futuro delle proprie tasche 4450 euro di nuovi debiti, non di maggiori risorse né di ambita liquidità, visti i tempi, ma di passività aggiuntive, e persino autocelebrate. E’ forse per ovviare a questa criticità imprevista che, sempre nel corso del 2009, e 2010, il BerluscTer ha fatto in modo di restituire 400mila lavoratori allo stato di
disoccupazione. Su questo capitolo, considerando l’interezza dei mesi di governo dell’attuale esecutivo non è affatto azzardato indicare in mezzo milione di nuovi disoccupati il risultato dell’azione del fare.
Corruptionomy
Ma l’economia, come abbiamo già accennato, è sotto scacco da parte dell’esercito dei pessimisti a oltranza. Quindi, passiamo a considerare altri dati che guardano più alla qualità e ai contenuti piuttosto che alla freddezza d’un pil peraltro ibernato. Per esempio, parliamo del tasso di corruzione che il
Transparency International pubblica ogni anno. Nel corso dell’anno passato, e rispetto al 2009, le posizioni perdute sono state 8. Il Paese, quindi, è scivolato in 63esima posizione. Niente male, un successo.
A sproposito del disfare
Peraltro, bissato dalla 80sima posizione, cioè 4 posti in meno, centrata nella graduatoria del
doing business stilata annualmente dalla Banca Mondiale. Un risultato grottesco questo per un governo che si presenta votato all’impresa e che, nei fatti, sembra sempre più relegarla nell’angolo, tanto da venir bocciato, nel suo fare, dalla stessa Banca Mondiale, non dall’Internazionale socialista. Un non-fare imprenditoriale ed economico segnalato anche dal Fraser Institute, autorevole paladino del conservatorismo economico votato all’antiburocratismo in stile destra anglosassone. In questo caso, l’indice della
libertà economica, diffuso annualmente dall’Istituto, coglie al 68simo posto l’Italia del BerluscTer, ovvero ben 12 gradini più in basso rispetto alla performance del 2008. Ennesima conferma del disfare economico che contraddistingue l’attuale esecutivo? Difficile rispondere, considerando le ripetute congiure dell’Intelligence mondiale ordite ai danni del nostro governo. Lasciamo quindi la camera oscura dell’economia, vera palude, e passiamo a considerare altri ambiti. Del resto, da molti, tra coloro che orpellano l’attuale compagine che guida il Paese, s’è manifestata spesso l’esigenza di valutare indici di qualità, non soltanto economici, per esprimere un giudizio complessivo sullo stato d’un Paese, in particolare sul Belpaese.
….evviva la pace, abbasso la guerra
Allora prendiamo le classifiche dell’Institute for Economics and Peace. In materia non c’è ombra di dubbio, non siamo un Paese in guerra e, soprattutto, non siamo terreno aperto a conflitti civili. Siamo un paese pacifico, anzi, come ci ricorda il Tg1 versione MinzulPop, siamo una società radicalmente pacificata ove regna l’armonia, grazie al BerluscTer naturalmente. Scorriamo fiduciosi la graduatoria del
Global Peace Index e, con sorpresa, scopriamo d’esser raffigurati in 40esima posizione. Anche in questo caso uno scivolone, -16 rispetto al 2008. Meglio di noi fanno, in Europa, Ungheria e Slovacchia, coppia di Stati stranota per il loro ondeggiare istituzionale. Proviamo a uscire dal Vecchio Continente e, questo sì ha un effetto deprimente, sorta di placebo inverso. Il GPI, infatti, ci svela che sono considerati più stabili e armonici, oltreché pacifici, dell’Italia berlusconiana e legaiola, in ordine, il Botswana, la Malesia e….il Vietnam. E’ qui che sull’orlo della depressione il lettore si ferma e volta pagina.
Intima comunicazione
Infatti, si passa in fretta a osservare le classifiche di
Reporter Senza Frontiere. Su questo terreno non dovremmo avere rivali, grazie all’esordio del Tg1 versione MinzulPop, campione di libertà di stampa ed esempio massimo di informazione salutista che non s’inchina. E invece, giù di 5 posizioni, dal 2008. Oggi, quindi, siamo in 49esima, a braccetto con il Burkina Faso ma, evviva, un gradino sopra El Salvador.
Ce l’hanno con B
Com’è possibile? Scivoliamo ovunque. E’ ovvio, l’indicatore sull’armonia e la pace italiana è monopolio della sinistra estrema. Sbagliato. L’Istituto che lo cura elabora le indicazioni provenienti dal mondo accademico internazionale e dai think tank più spostati nell’area del conservatorismo. Per di più le somme finali sono tirate sotto la supervisione dell’
Economist Intelligence Unit, braccio operativo dell’Economist, a sua volta Bibbia della conservazione anglosassone.
Eppur si muove
Ritorniamo allora all'economia, al
World Economic Forum, per osservare che in tema di
gender gap, cioè di ineguaglianza tra i sessi, abbiamo guadagnato ben 17 posizioni. Finalmente, siamo in decisa rimonta. Ecco un segno evidente della politica del fare. Stiamo scalando le posizioni nella piramide delle differenze tra i sessi, colmando le distanze che per decenni, anzi, secoli hanno relegato in coda il nostro Paese. Come stiamo ottenendo questi risultati? Chissà, forse candidando decine di giovani letterine, modelle, letteronze, donne immagine ed ex-escort, alcune per la verità in azione permanente, nelle liste destinate, alternativamente, ad aprire le porte, e i seggi, dei consigli comunali, provinciali e regionali, delle aule parlamentari, con l’allegato del Parlamento europeo, ecc…..Chissà.