mercoledì 4 dicembre 2019

RADIOCIXD 8: LOVE OVER GOLD

Cinque pezzi cinque. E' il quarto album, e per un gruppo dove c'è un leader assoluto chi ne capisce sa che ognuno può essere l'ultimo. Specie se tra gli altri c'è chi non gli riconosce la leadership. Infatti i Dire Straits dureranno ancora pochi anni, fatto salvo una reunion di un decennio dopo (che una reunion non si nega a nessuno e i soldi piacciono a tutti), e avevano iniziato a morire già durante la realizzazione del mitico Making movies (che sicuramente prima o poi troverete recensito in questa rubrica), quando David Knopfler, fratello del dio-della-chitarra Mark, lasciò la band per intraprendere una carriera solista che finirà prestissimo, per quello che se ne sa (quindi si).

Quando uscì questo Love over gold io avevo vent'anni. Lo so, non ho meriti in questo, ma non è la stessa cosa se quando hai vent'anni esce il quarto album dei Dire Straits oppure il secondo di Sferaebbasta. L'album precedente, il succitato Making movies, lo avevo in radio, dove mettevo su un piatto il 33 giri sull'altro il 45 per mixando allungare all'infinito l'assolo di coda di Tunnel of love, e i due ancora precedenti me li andai a comprare usati al mercatino di Portobello a Londra, assieme alla colonna sonora di Local hero. Invece questo mi pare di ricordare che fu il mio amico (nonché anch'egli per breve tempo dj) Saverio a comprarlo appena uscito, e subito me lo prestò per registrarmelo (la cosa si usava, ma magari non così subito), quindi corsi a casa prima ancora di averlo mai ascoltato altrove. E' una emozione che vi ho già forse raccontato a proposito di altri dischi, e per altri ancora lo farò. Ma qui stiamo parlando di uno degli attacchi più strepitosi dell'intera storia del rock.
Non te lo scordi più, perché è a tradimento: le prime note sono dolci, accoglienti, sembra introducano un brano romantico, ma poi... Poi, entra uno strappo di chitarra elettrica che ti eviscera come un pescatore un'alice, istantaneamente e con indifferenza passando avanti, specialmente se come al solito hai messo lo stereo al massimo e ti sei seduto di fronte alle casse a tre uscite sapientemente orientate, nel buio della tua cameretta. Ma anche se lo sentite come si usa oggi, in bassa qualità e a basso volume, potete capire: è di un tipo mai sentito, come molti dei passaggi di questo straordinario musicista. E non si può descrivere. Ecco quindi come al solito il link al full album su youtube (ma attenzione che stranamente le canzoni vi sono presentate in ordine inverso, dovete sentirle da sotto in su), e poi la tracklist commentata ad accompagnare l'ascolto:
  1. Telegraph Road - Non è una canzone, è un romanzo. Racconta la fondazione di una città (once upon a time in the west?), il suo sviluppo, la sua decadenza. Ma parla di tutte le civiltà, quindi anche della nostra, da un punto di vista così privato da risultare palpabile, così che il testo finisce per essere molto più politico di tanti altri che forse ne avevano più intenzione. Il tutto, sottolineato da un accompagnamento sempre cangiante, sempre perfettamente adeguato al testo, con assoli a volte strazianti e a volte travolgenti, come quello finale in cui chitarra piano e batteria si accavallano in un modo che non puoi stare fermo nemmeno legato. Uno di sola chitarra avrebbe portato i fan a pensare: "si, ma quello di Tunnel of love...". Questo no. Il brano dura quasi tutta una facciata del vinile, ma il tempo ti vola. E poi la rimetti dacapo. Provare per credere. Io la so tutta a memoria, e intendo non solo il testo, direi ogni singolo suono. Poteste aprirmi la testa, ne avreste la prova.
  2. Private Investigations - Sfiniti dall'ascolto ripetuto del primo brano, niente altro avrebbe potuto indurci ad andare avanti. Se non quello che arriva: un capolavoro di pochi minuti, lento lento, in cui una chitarra diversa, forse country, metallica, accompagna un testo introspettivo di livello assoluto. Le schitarrate strappaviscere ci sono pure qui, arrivano alla fine quando non te le aspetti più. Tranquilli, non è spoiler: vi sorprenderanno lo stesso.
  3. Industrial Disease - Un brano minore, di quelli che avercene oggi qualcuno capace di scriverli, ma in questo disco quasi sparisce, compresso tra capolavori.
  4. Love over Gold - Un'altra eroina, dopo le tante dell'album precedente. La title track è breve breve, ma giganteggia tra le altre due del lato B. Verso del secolo: "le cose che possiedi possono... scivolarti tra le dita come polvere...". Ma nella mia testa basta pensarla e mi suona tutta, anche questa.
  5. It Never Rains - Vale quanto detto per Industrial disease, ma quello è un rock troppo eighties, questo almeno suona più knopfleriano, compreso l'assolo finale che sfuma. E subito ti riviene voglia di ripartire con Telegraph road...

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