giovedì 19 gennaio 2023

TIATRU

Sono giorni ormai che ci fracassano i santissimi con la mirabolante impresa dell'arresto del Capo dei Capi in carica, quasi sempre con annessa retorica della lotta del Bene-Stato contro il Male-Mafia col primo che finalmente trionfa, qualche volta (i più furbi) dando voce ad alcuni dei tanti dubbi così lampanti da non aver nemmeno bisogno di accendere il cervello per coglierli (com'è che ci hanno impiegato trent'anni visto che viveva tranquillamente in zona? quale Dio della sincronia è così efficiente da farglielo ritrovare trent'anni esatti dopo la cattura del Capo dei Capi precedente, mentre in Rai danno la nuova fiction su Dalla Chiesa?) stando però ben attenti che le risposte non arrivino o se si vengano annegate nella consueta caciara dei programmi TV di questo genere o alla peggio incasellate nell'etichetta "complottismo" o peggio ancora "disfattismo" (per una volta che lo Stato ne fa una giusta, stai li con le solite tiritere anziché festeggiare, disfattista! si, so tutti d'accordo come sempre, qualunquista e complottista che non sei altro!).

Ho usato apposta l'aggettivo "disfattista" perché era uno di quelli maggiormente in vigore ai "bei tempi", come meravigliosamente ci ricorda Troisi ne Le vie del Signore sono finite, il primo stadio di un attacco a chi osava pensare diverso, che poi se insisteva venivano gli altri (prigione, confino - non dimenticherò mai la meraviglia di me adolescente nel leggere di Pavese a Brancaleone - e se non bastava eccetera). L'ho fatto perché ragionare in termini di fascismo o antifascismo, laddove su altri è volutamente fuorviante, su temi come questo ancora può venire utile proprio per via delle radici storiche della mafia moderna, spesso dimenticate e quindi che è dovere civico ricordare ogni volta che si può.

Nella retorica di destra, infatti, il primo Prefetto di Ferro in Sicilia lo mandò Mussolini ad estirpare la mafia antica, quella che nei secoli aveva costituito quella continuità anche culturale nell'amministrazione spicciola del potere prosperando nei vasti interstizi che lasciava il passare da una dominazione all'altra. No, non sto adottando l'altra retorica fintomeridionalista che arriva a sfiorare le lodi alla "mafia di una volta", sto semplicemente usando la formula reale del Potere (quella che l'umanità si porta appresso dalle scimmie e che vuole che ci sia sempre una minoranza al numeratore e gli altri al denominatore) per inquadrare correttamente le cose. E quindi smontare la retorica prima di una parte poi dell'altra. Semplicemente, il fascismo, ambendo ad occupare senza veli ideologici il numeratore come ogni dittatura che si possa chiamare tale, non poteva tollerare che da qualche parte ci fosse qualcun altro nella stessa casella. Quindi no, Mussolini non era un cattivo che nella questione mafia stava dalla parte dei buoni, la combatté per necessità intrinseca. E fu parimenti per una questione di necessità intrinseca che chi voleva strappare l'Italia al nazifascismo prima e tenerla lontana dalle grinfie del comunismo poi utilizzò il potere mafioso, che era così capillare e permeato (anche nella mentalità, o se preferite nel sistema di valori) da poter sopportare potature anche ampie sopravvivendo silente.

Come spesso capita, a distanza di decenni si può dirlo liberamente pure nei film, ma i primi che osarono svelare che la trattativa Stato-Mafia era iniziata durante la seconda guerra mondiale e cioè prima ancora della nascita del nuovo Stato democratico italiano, e che la conquista dell'estremo sud da parte degli Alleati poté avvenire in modo così rapido e relativamente incruento solo grazie all'apporto della Mafia reclutata grazie alle sue vaste ramificazioni americane, furono bollati come complottisti (con altre parole: il termine non era ancora di moda) e variamente emarginati quando non eliminati. La retorica fascista fu soppiantata da quella democrista, e questa prevedeva la negazione dell'evidenza come pratica mantenuta con zelo e tenacia fino ai più alti livelli. Noi ragazzi degli anni 70 lo leggemmo dallo Sciascia degli anni 60, che in Parlamento la verità ufficiale era che "la mafia non esiste". Erano anni in cui la diffusione della cultura in strati sempre più ampi della popolazione favoriva lo svelamento delle ideologie, e infatti sarà fatto di tutto nei decenni a seguire, dal riflusso agli smartphone passando per la TV, per ridurre al massimo il nocciolo duro di chi continua a pensare con la sua testa. Ma i primi colpi bisogna darli forti, ed ecco che parallelamente iniziò la lunga stagione delle stragi, a compattare il gregge con la paura. La distinzione tra quelle "di Stato" e quelle "di Mafia" è ancora una volta soltanto ideologica, c'è bisogno di dirlo?

Con i morti per strada, però, la retorica della negazione non può più funzionare, e viene soppiantata da quella, ancora in auge, della contrapposizione di cui a inizio post. E che terrorismo e mafia siano solo etichette è drammaticamente dimostrato dal fatto che uno dei pochi che credeva davvero che quella retorica fosse una rappresentazione reale e non ideologica, e quindi credeva sul serio di rappresentare lo Stato nella lotta contro il Male, fu mandato ("disarmato") sul fronte prima contro il primo poi contro la seconda senza quasi soluzione di continuità. I bookmakers non avrebbero accettato scommesse, su come sarebbe (ed infatti è) finita. Per lui e per tutti quelli che come lui ci credevano, su su fino ai due Grandi Martiri della Trattativa, che ogni anno da trent'anni piangiamo nel rito catartico che la retorica imperante vuole, per farci dimenticare che su quelle stragi fu edificata l'Italia dei decenni successivi, a cominciare da un premier che senza la mafia sarebbe rimasto un piccolo palazzinaro milanese, anzi manco quello: il figlio fimminaro di un piccolo banchiere. E che ancora oggi fa da architrave a una maggioranza di governo, come la vignetta mostra (ma il denaro non è, non è mai stato, davvero suo), e lo ha fatto anche quando non compariva nelle vignette (o pensate davvero che si sia fatto disarcionare ogni volta a gratis, senza restare in qualche modo comunque al numeratore?).

Chi era consapevole di queste dinamiche già trent'anni fa non poteva stupirsi del fatto che a un certo punto nell'ambito della trattativa entrasse anche la consegna del vecchio boss fino a un minuto prima per decenni detto introvabile nonostante gli si muovesse sotto il naso. E nemmeno che ci si dimenticasse di presidiare il covo cosicché le carte segrete, che chissà potevano sputtanare qualche attore della trattativa stessa, fossero trafugate liberamente: è storia, non è un'aggiunta fantasiosa da due soldi degli sceneggiatori scarsi di una fiction. Quindi oggi, ditemelo, come si fa ancora a credere alle favole? Non hanno catturato nessuno, ma la trattativa continua ha previsto la consegna di un vecchio boss malato perché quelli operativi possano lavorare meglio, e per non ripetere lo stesso copione (che poi magari poteva sgamarli pure qualcuno meno sveglio) stavolta le carte pare che le abbiano trovate, ma state pur certi che se qualcuno finisce sputtanato, foss'anche il vecchio puttaniere di cui sopra (col bonus che tolta l'architrave magari crolla la volta), è perché è stato classificato come sacrificabile e non più utile. Come diceva PPP (che infatti è finito male), io so, non ho le prove ma so. Godetevi la fiction, o come direbbe Montalbano 'u tiatru. Oppure fate come me, che, come in questi ultimi anni quando il TG attaccava la litania prima della pandemia poi della guerra, quando attaccano questa recita cambio canale o spengo.

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