venerdì 12 settembre 2025

L'UOMO-CANNONE

Non so se è originale, probabilmente no, ma in questi giorni, alle prese con gli acciacchi dell'anzianitudine che mi mandano continui ultimatum di resa che continuo a fingere di non ascoltare, mi è venuta in mente una metafora dell'esistenza, peraltro collegabile a una vecchia barzelletta.

Se uno viene sparato da un cannone abbastanza potente da assicurargli una parabola lunghissima, in ogni singolo istante in cui questa parabola si svolge può legittimamente sembrargli di stare volando, anzi addirittura può raccontarsi di saper volare. Il suo in effetti è, un volo, solo che la propulsione che glielo consente non sta nei muscoli che gli fanno muovere le ali, o nel carburante che alimenta i suoi motori, ma solo nella spinta iniziale del cannone, che magari lui ha già dimenticato. Fino a che gli effetti di tale spinta durano, in effetti, egli può godersi il viaggio, osservando il paesaggio o facendo capriole poco importa. Ma verso la fine di quegli effetti, comincerà ad avvertire la perdita di velocità e il cambiamento di angolazione; può allora iniziare a pensare alla ineluttabile conclusione della sua traiettoria, l'impatto al suolo, e a come non ci sia assolutamente modo né di evitarla né di minimizzarne le conseguenze, oppure proprio per questo decidere che pensare all'atterraggio avrebbe come unica conseguenza sprecare gli ultimi tratti di volo, concentrandosi sui modi che gli consentono invece di goderseli tutti nel modo che gli sarà possibile.

A questo punto la vecchia barzelletta sarà tornata in mente anche a voi. Per chi non avesse l'età, dato che il politically correct oggi impedisce la circolazione di certe cose, è più o meno questa: a un tizio che si sporge dal parapetto del belvedere di un grattacielo gli urlano di non sporgersi che se cade muore, lui si sporge, cade, e durante la caduta a ogni piano si dice 'visto? sono ancora vivo!'.

L'antifona, per chi non l'avesse ancora capita, è questa: la vita non è quello che sembra. Non è un volo, è una caduta. La morte non è il suo contrario, è il suo indispensabile complemento. E l'unico modo di non conoscerne la parabola discendente è morire prima, durante la fase orizzontale se non nella parabola ascendente. Nascere è, cominciare a morire. Ma questo solo dal punto di vista diciamo così personale e filosofico. Perché la morale di queste storielle ha anche un altro risvolto diciamo così storico e sociale.

Avrete sentito anche voi, impossibile non sia così dato il martellamento mediatico, la storia dei droni russi abbattuti sui cieli della Polonia e del conseguente appello all'articolo tot della NATO nonché ammassamento di truppe al confine con Russia e Bielorussia. Puzza di false flag lontano un miglio, di quelli che prima o poi la Storia gli rende giustizia, come l'11 settembre per intenderci, o Tonchino. Come ha ricordato Barbero alla festa de Il fatto quotidiano, nella storia ogni volta che c'è stato un riarmo prima o poi un pretesto per fare scoppiare una guerra lo si è trovato. Pretesto falso, perché in ogni guerra la prima vittima, perché comincia a morire prima ancora che inizi la guerra stessa, è la verità. Falso, e noi in Italia dovremmo saperlo benissimo, pieni come siamo nel recente passato di stragi e attentati raccontati in un modo che invece avevano tutt'altra genesi e natura.

Ebbene, stiamo precipitando verso la guerra, guidati da una classe dirigente europea che se c'è una giustizia passerà alla storia come l'accozzaglia di criminali che è, eppure non ci crediamo, non ci possiamo credere, e anzi continuiamo a credere alle storielle che ci raccontano su quanto è cattivo Putin. Ogni passo che viene compiuto verso il baratro, ci sembra una conferma che forse allora non arriverà mai. E invece.

Invece o chiudiamo questo baraccone chiamato UE con annessi e connessi, o ci precipiterà verso la povertà con tutti gli strumenti a sua disposizione, compresa una bella nuova guerra mondiale. Magari non riusciremo a impedirla, questa guerra, ma almeno come sottolinea Cardini in questa sua lodevole iniziativa, facciamo che non sia in nostro nome.

sabato 6 settembre 2025

PRO-METEO

I miti greci ci appassionano ancora in tanti per molte ragioni, la più importante delle quali, forse, è che raccontano ancora, incredibilmente per qualcosa scritto 2500 anni fa circa, tutte le sfaccettature dell'animo umano e dell'esperienza di vivere. Quasi come se il fatto che non venga più attribuito il valore religioso al politeismo ne potenzi anzichenò il valore metaforico.

Prendiamo Prometeo (ve la racconto in breve, i dettagli su Wikipedia): già dal nome è "colui che ci pensa prima", e ha un fratello che si chiama Epimeteo ("colui che ci pensa dopo") e fa un sacco di guai, ad esempio donando doti a caso agli animali (ecco che molti sono più forti veloci e resistenti di noi, nuotano meglio e volano) prima che il fratello in corner ci attribuisca le doti rimaste, intelligenza e memoria, a dispetto di Zeus che temeva le avremmo usate contro gli dei. Poi la fa ancora più grossa: ruba il fuoco agli dei e lo consegna agli umani. Ciò gli varrà una punizione orrenda. Mentre gli umani avranno qualcosa da custodire (ancora per i Romani il fuoco sacro aveva un ruolo di fulcro sociale) di simbolico e di utile per affrancarsi dal giogo degli dei. Guaio a cui Zeus rimediò in parte donando a Pandora, moglie di Epitemeo quindi cognata di Prometeo, un vaso con tutti i mali del mondo, che la sciagurata aprì per curiosità lasciando che fatica malattia vecchiaia pazzia passione e morte si propagassero.

Non sembra anche a voi che i migliori sceneggiatori di Hollywood non potrebbero inventarsi qualcosa non dico di meglio, ma anche di un minimo vicino all'efficacia di questa rappresentazione della condizione umana? E infatti, si potrebbe dire che quando trovate una storia efficace scava scava potreste scoprire che "pesca" in un mito greco e che dopo Omero non ci siamo inventati più nulla. Ma senza divagare, tornando a dove volevo andare a parare all'inizio, il mito di Prometeo è simbolo della presa di distanza dell'uomo dagli dei in entrambe le direzioni possibili: nel bene, perché il fuoco rappresenta l'archetipo di tutta la tecnologia via via padroneggiata (moltiplicando ogni volta il rendimento delle risorse naturali quindi la possibilità del pianeta di sostentarci), e nel male, perché ogni volta che saliamo un gradino apriamo un vaso di Pandora da cui fuoriescono e imperversano problemi che non siamo in grado di controllare.

Questo paradigma è in grado di farci comprendere l'odierna "moda" del "cambiamento climatico", mantra ripetuto a ogni piè sospinto per giustificare ogni tipo di politica redistributiva verso l'alto attuata e da attuare nel prossimo futuro. Zeus non si è mai rassegnato al furto del fuoco; allora usa i suoi superpoteri per convincerci a restituirlo, e il bello è che sembra pure che con molti ci stia riuscendo. Quando invece dovremmo usare il fuoco per fare quello che alla specie umana è riuscito meglio sin dai suoi albori e a cui deve il dominio sul pianeta: adattarsi al cambiamento. E, ad esempio, pretendere un piano massiccio di salvataggio del territorio dal rischio idrogeologico, che avrebbe risultati più certi e rapidi che abbassare di un grado le temperature medie riducendo le emissioni di CO2, ammesso che ci si riesca, a costi molto inferiori. O un piano integrato nazionale di riqualificazione degli acquedotti e riduzione al minimo delle enormi perdite della rete idrica, anziché tentare a ogni piè sospinto di annullare i risultati di un referendum popolare privatizzando l'acqua così poi manca solo l'aria. Tra l'altro, entrambi i progetti assieme costerebbero meno del famigerato ponte sullo Stretto, e a differenza di quest'ultimo (che per sua natura non ne avrà, e chi sostiene il contrario o è in malafede o non capisce Keynes) avrebbero fortissimi effetti di moltiplicazione del reddito, tali da azzerare a stretto giro il deficit acceso dagli investimenti (per il ponte invece un vero e proprio buco nero). E non ho citato gli indispensabili, in Italia, interventi di recupero del patrimonio abitativo in chiave antisismica, che costino quello che costino costano sempre meno delle interminabili e mai complete ricostruzioni a posteriori, e che lo stesso Salvini non si accorge di sponsorizzare quando dichiara che se venisse un nuovo terremoto tipo 1908 il ponte sarebbe l'unica cosa a restare in piedi (sic!). Al posto dei quali invece aderiamo agli assurdi diktat europei sulle cosiddette "case green", in pratica un esproprio parziale se non una confisca in quanto a carico dei proprietari. E chi osa protestare, come per la bufala senza mezzi termini delle auto elettriche, viene rintuzzato come antiambientalista che non vuole arginare il cambiamento climatico.

E torniamo a Prometeo, stavolta stravolgendo l'etimo del suo nome, come se fosse "a favore del meteo". Le previsioni, che una volta erano un rito preserale quasi sacro presieduto dal "sacerdote" colonnello Bernacca, oggi sono dovunque e comunque consultate di continuo, senza rendersi conto che: uno, ci pigliano a stento (e nelle 24 ore, quelle a giorni essendo solo probabili, e con forte decrescenza, quelle oltre la settimana equivalenti all'oroscopo); due, sottintendono di continuo il teorema "cambiamento climatico" cavalcando opposti allarmismi con capriole logiche spettacolari per acchiappare click da un lato e dall'altro obbedire al padrone che quel teorema vuole imporre. Così, ogni ondata di caldo è eccezionale, ogni acquazzone evento estremo: le oscillazioni normali del tempo non esistono più. E questi sedicenti scienziati, di una materia così complessa che i loro stessi modelli matematici mostrano (a chi lo vuol vedere, purtroppo anche qui funzionano le trappole mentali dell'oroscopo, per cui ricordiamo solo quando raramente ci piglia e non quando quasi sempre toppa) di non funzionare nelle previsioni, asseriscono di poterli usare per addirittura modificare il clima: riduco la co2 di un tot, diminuiscono le temperature medie di un tot, e rallento o azzero il cambiamento climatico. Altro che Prometeo, qui siamo al dottor Frankenstein, e pure Junior, cui bisogna sempre rammentare che le variabili in gioco sono troppe e con dinamiche troppo complesse per poter tentare di governarle, magari con una battuta: "potrebbe andar peggio, potrebbe piovere!". Erutta il Fuji, ed ecco che le temperature medie del pianeta calano al punto di innescare una mini-glaciazione, altro che riscaldamento globale...

venerdì 29 agosto 2025

IL SANTO

Tra le decine di messaggi di auguri che ho ricevuto per il mio compleanno, su faccialibro molti da sconosciuti, moltissimi da gente che non sento da anni e che si fa viva solo in queste occasioni in cui peraltro è il social network stesso che glielo ricorda, e alcuni da amici e parenti tra cui quelli che ci tenevano mi hanno contattato anche diversamente, il più strano è quello della mia banca, che mi ha mandato una mail con il podcast che vi linko, per cui oltre che il più strano è stato anche il più utile. Spero anche a voi: ascoltatelo, perché è interessante. Tanto che mi ha innescato una serie di ricordi, quindi questo post.

Una delle cose che svela o ricorda Barbero nel podcast, infatti, la riconosco nella mia memoria. Quando ero piccolo io, quindi qualcosa più di 50 anni fa, era da poco che al Sud si era cominciato a festeggiare i compleanni, ma solo dei bambini e coi nonni che erano contenti di avere un'altra occasione per regalare qualcosina ai nipotini ma intanto guardavano perplessi a questa "nuova usanza". Mio nonno, infatti, ci teneva a festeggiare l'onomastico, si, che poi in famiglia era una ricorrenza generale visto che in tre nipoti maschi siamo tutti Luigi come lui e poi il caso ci ha messo il suo aggiungendo mia mamma Luisa, ma il compleanno non gliene fregava niente e anzi a stento sapeva quando era, ammesso che la registrazione all'anagrafe fosse stata effettuata il giorno effettivo della nascita (per mia nonna sapevamo tutti che c'era uno sfrido di giorni, e la cosa era la regola non l'eccezione, figurarsi nei secoli precedenti quando non c'era l'anagrafe e il massimo erano i registri della parrocchia).

Sono certo che in molti vi siete riconosciuti nel primo capoverso, sia in quanto riceventi che in quanto emittenti di auguri social, e se meridionali anche nel secondo, specie se di una certa età come il sottoscritto. Che oggi ha compiuto sessantadue anni, ma mia nonna mi avrebbe detto "trasisti nte sissantatri", sei entrato nei sessantatre, ovvero stai vivendo da oggi il tuo sessantatreesimo anno d'età, che poi sarebbe il modo corretto per contare gli anni, se proprio dobbiamo fare questa cosa che alla fin fine è un pessimo affare.

sabato 23 agosto 2025

ANOTHER BRIC IN THE WORLD

Non mi dite che ci sono cose reali, altre realizzabili e altre ancora soltanto da libro dei sogni. E non lasciatevelo dire, specialmente se siete giovani. La Storia, infatti, non procede di moto uniforme e nemmeno regolare, ma a strappi quasi sempre imprevedibili: non lo capiamo, perché la guardiamo a posteriori, e immersi in una ideologia (sempre: da sempre la Storia la scrivono i vincitori) dedicata a rappresentare ciò che è accaduto come inevitabile e consequenziale successione di eventi. Vale per la vita sul pianeta (dal punto di vista probabilistico una botta di culo pazzesca, eppure gli umani non possono fare a meno di vederci il disegno di un dio) figurarsi per i rigagnoli di quel fiume che chiamiamo eventi storici.

Prendete l'Unione Europea: chi poteva prevedere nel 1944 che nemmeno sette anni dopo sarebbe nata la sua prima incarnazione (la CECA)? Il nazifascismo aveva appena iniziato a perdere la guerra che fino a un paio di anni prima sembrava destinato a stravincere (e se lo avesse fatto, tutta la narrazione che diamo per scontata non esisterebbe, e ne daremmo per scontata un'altra di segno opposto: coi terroristi filoamericani e filosovietici al posto dei partigiani, le plutocrazie a matrice ebraica sconfitte al posto delle democrazie liberali e liberatrici, ben altri Padri della Patria, eccetera), giusto alcuni privilegiati prigionieri politici confinati in un piccolo paradiso potevano immaginare e scrivere il Manifesto di Ventotene, che se fosse andata al contrario sarebbe stato un libercolo dimenticato e invece oggi è universalmente considerato la prima pietra della costruzione europeista (luogo comune rappresentato benissimo in quanto tale da Virzì nel sequel di Ferie d'agosto), e infatti addirittura lo è anche nel senso deteriore, dal momento che anticipa anche quelle infauste cessioni di sovranità che rappresentano il lato oscuro e antidemocratico della UE.

Oggi, chi sostiene che sia ampiamente dimostrato che la parabola politica della UE sia conclusa, viene immediatamente rintuzzato da chi invece è convinto che la sua curva sia una iperbole (sono tutti così, i "fedeli": pensano al loro credo come alla "fine della Storia" riscrivendo quest'ultima come tutta una premessa all'Inevitabile e Definitivo da quel credo rappresentato) come reietto, antistorico, disfattista. Se ci pensate, è esattamente come veniva descritto chi pensava che la parabola politica del fascismo fosse breve e magari lo dava in qualche modo a vedere (memorabile, ed efficace più di mille trattati, la scena di Troisi che cerca di piazzare le sue lozioni contro il dolore e la perdita di capelli...). Ebbene, era breve: vent'anni. Quella di Hitler durò ancora meno. Il socialismo reale, una settantina. La "prima repubblica", meno di cinquant'anni dalla Costituente a tangentopoli. Il grillismo, una decina in tutto dalle promesse di rivoluzione antiEuro all'abbraccio di Ursula a Gigino, calata di braghe pandemica compresa. Persino della mafia, che pure è talmente elastica da riuscire a reincarnarsi sotto qualunque regime (da quello latifondista borbonico ai piemontesi del Gattopardo, dalla dormienza sotto il Prefetto di ferro fascista alla decisiva collaborazione con gli Alleati, dall'andreottismo al berlusconismo passando per la stagione delle stragi e della Trattativa), si può dire come diceva Falcone che essendo un fatto umano ha sicuramente una fine. Perché non si può dire lo stesso dell'Unione Europea? Perché non si può immaginare che nei libri di Storia del futuro ci sia a mo' di lapide il trattato di Roma come nascita e un altro evento settant'anni dopo come morte?

Si perché qui non si tratta di Italexit o meno (cogli araldi del Potere, tra cui i più temibili sono quelli inconsapevoli di esserlo, che già si esercitano con la Brexit a descrivere come disastri i normali problemi intanto dimenticando i benefici), si tratta di distruggerla, l'Unione.

Nata in un contesto in cui l'Europa veniva da secoli di guerre le ultime delle quali immani ed estese a tutto il mondo, anche perché figlie di quel colonialismo che è (anche se molti se la raccontano diversamente) il padre della globalizzazione, l'Unione nelle sue varie incarnazioni deve il suo successo intanto alla promessa iniziale di fare da disinnesco alle ragioni economiche profonde dei conflitti tra gli Stati, poi alla promessa (che lo stesso Prodi ebbe a dichiarare illusoria, in un pentimento tardivo e di facciata) di fare da argine alla globalizzazione consentendo di fare massa critica in grado di difendere il modello di sviluppo europeo (in cui vanno compresi il welfare e i diritti economici, sociali e civili ad esso connessi). Ma già la sua espansione ad est mostrò che la guida era ultraliberista, preoccupandosi dell'unificazione dei mercati di merci e capitali noncurante del fatto che ricardianamente sarebbe conseguita anche quella del mercato del lavoro, con delocalizzazioni (a partire dalla 126 polacca) ed immigrazione interna al continente a fare da volano all'inevitabile livellamento salariale. Molti allora (tra cui, lo ammetto, il sottoscritto) hanno creduto che fosse un prezzo da pagare alla possibilità invece di proteggersi da unificazioni di mercato ben più devastanti, ma è sotto gli occhi di tutti (a Roma basta entrare in un bar, o cercare casa in certi quartieri) che fosse una pia illusione, e innescata da una colossale menzogna. La vera missione della UE è infatti togliere gradatamente ai suoi cittadini quei privilegi che si è dovuto accettare di concedergli come risarcimento ai disastri bellici, perché nell'ottica del capitalismo globale è inaccettabile che permangano, ma non è possibile levarli dall'oggi al domani, bisogna aspettare che muoiano quelli che li detengono e nel frattempo impedire che la democrazia nei singoli Stati costituisca un ostacolo portando al potere partiti o movimenti che intendano opporsi alle politiche economiche decise dalla UE, anzi al di sopra della UE stessa. Solo un artista visionario come De André ebbe la capacità di vedere e il coraggio di esprimere sotto metafora cosa stava succedendo, nel verso de La domenica delle salme che recita: "la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro e noi che eravamo sotto le abbiamo visto tutti il culo", a crollo di Berlino fresco fresco, citando poi quella nuova piramide di Cheope che è il paradigma del Ponte sullo Stretto.

Anche a chi è convinto, o accettando il confronto fattuale si convince, della correttezza di questa analisi, il cosiddetto "vincolo esterno" appare spesso comunque ancora un male necessario, soprattutto vista la radicazione di malcostumi autolesionisti nell'animo italico, che avendo origine in secoli di dominazioni esterne non sono azzerabili con qualche decennio di virtù sempre eteroimposta. A questi, a voi se siete tra questi, è difficile opporre convintamente che ce la possiamo fare da soli, che avevano ragione Mattei e Pasolini, e quando ci ho provato a parole ho dovuto arrendermi. Come a quel webinar cui fui invitato a inizio pandemia in cui, quando citai l'esperienza svedese che intendeva risolvere la faccenda con dissuasioni e convincimenti piuttosto che con divieti e obblighi antidemocratici, mi venne risposto che "purtroppo gli italiani non sono svedesi" (sic!). 

Ma oggi mi imbatto in questo post de L'Antidiplomatico, che mi suggerisce una soluzione: pensiamo di aver ancora bisogno di un vincolo esterno? cambiamo vincolo esterno! Ce n'è uno molto più giovane della UE, che offre rispetto alla stessa tutta una serie di vantaggi:

  • è molto più grande, quindi come massa critica molto maggiore;
  • molti dei suoi Paesi sono destinati a dominare l'economia mondiale prossima ventura;
  • alcuni di essi sarebbero quelli da cui l'UE diceva di volerci difendere, mentendo o comunque fallendo;
  • a differenza della UE, non contempla istituzioni sovranazionali in grado di imporre agli Stati membri di disattendere più o meno completamente il mandato elettorale democraticamente affidato ai rispettivi governi, al punto di consentire, senza particolari problemi, a qualsiasi stato membro di uscire, come ad esempio (per sua disgrazia, ma questa è solo un'opinione) all'Argentina;
  • include lo Stato europeo più ricco di materie prime e risorse naturali, che è meglio avere come alleato che come nemico (in una guerra raccontata quotidianamente con selve di bugie, a cominciare dalla data di inizio che è in realtà quella dell'inizio di una reazione a una offensiva occidentale partita anni prima).

Della serie: meglio essere un altro mattone di un muro nuovo solido e in crescita, che una pietra fondativa di un cumulo di macerie. Come dite? si tratta di una posizione diciamo così largamente minoritaria, senza alcuna speranza? Eh, ma - dicevamo - la Storia non procede di moto uniforme e nemmeno regolare, ma a strappi quasi sempre imprevedibili...

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