sabato 29 marzo 2025

LA SERBIA SERVE

Sempre della serie "i democratici siamo noi a prescindere", per citare una battuta di Totò a seguire immediatamente quella del titolo, dopo la Romania giova ricordare cosa abbiamo combinato e stiamo ancora combinando in Serbia.

Tra parentesi, della serie "la lingua ha sempre implicazioni nel pensiero", il gioco di parole è agevolato dalla radice comune dello Stato balcanico e del sostantivo/aggettivo "servo", come d'altronde pure tra "slavo" e "schiavo" ("slave" in inglese...): si possono assoggettare "gli altri", e gli altri più vicini erano loro, prima di andarli a cercare in Africa per portarli in America.

La Jugoslavia di Tito era considerata un'anomalia nel mondo comunista, al punto da farne partner commerciale e industriale dell'Occidente (con tanto di fabbriche di automobili di progettazione nostrana). Il "dittatore" (per noi, per loro era colui che li aveva liberati dalla morsa nazifascista: nelle foibe i nostri ci sono finiti dopo, prima ci buttavamo noi loro, ma non è di moda ricordarlo) teneva uniti popoli di etnia e religioni diverse, localizzando le varie attività produttive, da buon collettivista, dove era più conveniente per lo Stato: le fabbriche al nord, vicino ai grandi porti e le direttrici europee, l'agricoltura al sud, per dire. Morto lui, e caduto il Muro, se l'Occidente fosse stato una frazione di quello che si riempie la bocca di essere, avrebbe dovuto scoraggiare le naturali istanze divisive, e se no indirizzarle a una transizione il più possibile indolore. Invece, quando Slovenia e Croazia, con i vecchi fiancheggiatori dei nazifascisti tornati a galla, dichiararono l'indipendenza da Belgrado, Germania e Città del Vaticano non attesero neanche l'alba del giorno dopo per riconoscere i nuovi Stati, seguiti a ruota da tutti gli altri. Innescando una guerra tra le più feroci mai viste in Europa, alla faccia di chi ce l'ha così di tolla da continuare a ripetere a pappagallo che l'Europa ci ha regalato 80 anni di pace.

Pochi anno dopo, per giunta, non si perse l'occasione di indebolire ulteriormente i serbi cavalcando le pretese di indipendenza del Kosovo, guidato peraltro da personaggi destrorsi nonché di dubbia moralità, arrivando a bombardare Belgrado, destituire e processare un leader democraticamente eletto, e lasciare che i serbi di quella regione venissero vessati da lì in poi, fino ad oggi compreso, sia mai si ribellino, riescano a fare intervenire in soccorso la madre patria, e possa quindi ripetersi il paradigma visto in Ucraina con le regioni russofone e Putin da li in poi chiamato invasore.

La storia nei dettagli ve la racconta meglio di me il vecchio Fulvio Grimaldi. Ricordarla, serve, anche se purtroppo ancora solo a quei pochi che si ostinano a ragionare con la propria testa. E che sorridono increduli alla notizia, rimbalzata un po' ovunque in questi giorni, della distribuzione di un kit UE di resistenza per 72 ore, in caso di guerra. Sembra una battuta di Crozza, ma la dicono seri, come se avesse senso dotarsene (e se l'attacco dura 4 o 5 giorni anziché 3?) e come se non fosse un rischio creare allarmismi (pensa se la gente ci cascasse - per ora per fortuna pare di no - gli assalti ai supermercati per fare le scorte per 3 mesi, le scene di isteria collettiva, e alla fine gli scaffali vuoti) e una precipua responsabilità di un buon governante invece evitarli finché si può. Poi smetti di ridere, perché pensi che questa cosa l'hai già vista, purtroppo, di recente, nome e cognome Terrorismo di Stato.

E' un classico della criminologia: chi è che può prevedere con maggior esattezza tempi e modi di un assassinio? Esatto: l'assassino. Quindi aumenta la probabilità che gli annunci di improvvido esagerato e iniquo riarmo dell'Unione non siano, come a molti di noi era sembrato in un primo momento, il patetico tentativo di un governo non democratico di un'entità che conta come il due di coppe quando la briscola è a denari di darsi un tono mentre le briscole fanno la Storia, leggi la pace, ma piuttosto il prodotto di una precisa e ferma volontà politica: quella di trascinarci in guerra, fosse anche solo per il più classico degli obiettivi di qualsiasi guerra, insabbiare le magagne (gli impicci coi bilanci vanno in cenere con tutto il resto, e poi c'è da ricostruire, che diamine, vorrai mica fare il disfattista).

E subito la mente va a quando Guglielmino Cancelli "predisse" una pandemia che puntualmente si verificò. Oggi, leggendo le sue profezie a proposito di Intelligenza Artificiale, non si può non rabbrividire.

sabato 22 marzo 2025

ROMANI RUMENI ROM

La Romania fornisce un buon esempio di che cos'è l'Europa, fin dal nome, che deriva da quell'impero che per primo unificò il continente. Non voglio googleare, mi affido alle memorie scolastiche: la storia è quella di una delle ultime grandi espansioni attuate dagli antichi Romani, che dopo dovettero arrendersi all'idea che il massimo che potevano sperare era il consolidamento, e dopo ancora affrontare il declino. Ed è ancora oggi sotto gli occhi di tutti, romani e turisti a milioni, immortalata su una colonna in un bassorilievo a spirale giustamente considerato il primo antenato degli albi a fumetti. I Daci, questo il nome di quel popolo che oggi vi ricorda una sottomarca automobilistica della Renault, erano talmente fieri da risultare tostissimi da sconfiggere, e da rendere necessario dopo il genocidio e la pulizia etnica mediante sostituzione con coloni latinofoni. Della serie: non ci si inventa mai niente, vero Bibi? Ecco perché laggiù si parla oggi una lingua neolatina...

Se oggi qualche razzistucolo associa il popolo rumeno al popolo Rom, dunque, è per una mera assonanza, dato che i Rom invece vengono dall'India e la parola significa più o meno qualcosa come "uomo libero". Che poi è il motivo per cui li sto mettendo in mezzo io adesso...

Chi ha la mia età dovrebbe ricordare di quando l'ineffabile Ceausescu era benvoluto in Occidente, un po' come in Jugoslavia Tito, proprio per essere un comunista eterodosso, interfacciarsi col quale era comunque un modo per dare fastidio all'URSS e al suo blocco. Salvo poi "scoprire" quanto fosse un autocrate senza scrupoli quando l'URSS era crollata e lui non ci faceva più comodo.

La Romania di li a poco sarebbe stata una delle frontiere a Est dell'Unione Europea, buona sia a spostare l'area di influenza occidentale ai confini con la Russia (al momento ko, ma si sapeva già che con tutte quelle ricchezze naturali prima o poi si sarebbe rialzata), sia a rimpolpare quell'esercito industriale di riserva che come aveva compreso Marx doveva servire a demolire una a una tutte le conquiste economiche e sociali dei cittadini dell'Europa occidentale. Non sapevamo ancora che era solo una tappa, che il grosso dell'esercito, quelli in condizioni più disperate, veniva da Sud, ma lo avremmo scoperto presto, anche se ancora non lo abbiamo capito bene e continuiamo a blaterare di razzismo (categoria nella fattispecie serve soltanto alle levate di scudi moraliste finalizzate ad abbattere ogni resistenza). Ed è singolare che dietro a questa strategia globalista, dominante gli ultimi decenni e minacciata per la prima volta (e direi finalmente) da Trump e i suoi, ci sia proprio un miliardario di origini rumene... 

Ma eccoci in cronaca, e al perché e percome la Romania torna a essere un paradigma. La filosofia di fondo è stata dimostrata negli anni da talmente tanti esempi che sarebbe troppo lungo elencarli, dall'Algeria alla Russia, dalla Libia all'Ucraina, passando per mezzo medio Oriente, ma l'esempio rumeno in cronaca è sufficiente a chiarirla, e si può sintetizzarla così: il concetto di democrazia che si è imposto in Occidente oggi è diciamo così piuttosto elastico. Etimologicamente sarebbe il "governo del popolo", in pratica quando chi detiene il Potere è stato "deputato" a farlo a maggioranza in libere elezioni, ma invece in estrema sintesi il concetto applicato è "democrazia è quando chi governa piace a noi". Quando chi piace a noi non ha vinto un cazzo di elezioni, come Zelensky in Ucraina o il direttorio UE che decide di strozzarci o indebitarci a suo piacimento senza nemmeno interpellarci, è democratico, anzi è un baluardo della democrazia; quando chi non ci piace ha avuto il voto e ha l'appoggio della stragrande maggioranza dei suoi cittadini è un autocrate come Putin o come Maduro. E viene imposto ai media di ripetere questi concetti fino a farli diventare luogo comune, come propaganda insegna. Ma in Romania si poteva fare di peggio, ed è stato fatto: uno che non ci piace vince libere elezioni e vengono annullate, poi siccome la cosa gli procura popolarità e rischia di rivincerle viene arrestato poi siccome non lo possono tenere dentro comunque estromesso. Sia mai ci ritroviamo un'altra Ungheria in casa, meglio un'altra Ucraina!

Seguite i link, poi approfondite con Fulvio Grimaldi: un uomo libero ("rom") è (anche) chi non si fa dire dall'alto a cosa credere.

sabato 15 marzo 2025

URSULA E SERRA VANNO ALLA GUERRA

Ach! Certen che dopo anni che non si poteva assolutamenten
parlaren di eurobond, sentire di 800 miliarden di spese
militaren
da keuelli che piuttosten che aprire nuovi ospedalen
dikiaravano zone rossen a più non posso, ci vuole proprien
la faccia come il kulen di Ursula Vondertruppen...
A chi è cresciuto col diario di Sturmtruppen non sembra vero, risentire parlare di guerra in Europa: ci sembrava che la dissacrazione satirica fosse la pietra tombale di ogni bellicismo, più efficacemente di ogni levata di scudi moralista e benintenzionata. Ma ci avevano avvisati Arbore e Frassica: con Quelli della notte e soprattutto con Indietro tutta sembrava avessero reso impossibile fare televisione-spazzatura, e invece non solo si è continuato a farla, ma molto peggio di prima.

Eppure, a seguire l'informazione mainstream, la parola d'ordine è adesso imbracciare il moschetto e ubbidir tacendo, pronunciata con estrema disinvoltura non dico dai capibastone della UE, che si sa il Potere ha di serie l'automantenimento oltre ogni limite, ma anche dai tanti commentatori che di fronte alle continue e reiterate prove dell'ademocraticità e illiberalità dell'Europa si trinceravano dietro il "però ha dato settant'anni di pace a popoli che per secoli non avevano fatto altro che combattersi". E ora, siccome i Nostri Sacri Valori sarebbero sotto l'attacco del Nemico Esterno, si prodigano in appelli alle armi, come se questa scusa non fosse storicamente la più usata della Storia, e come se loro non lo sapessero.

Tra essi, si distingue per attivismo uno che da giovane avrebbe smerdato il se stesso anziano di oggi. Michele Serra, infatti, per la mia generazione era il capitano di un manipolo di combattenti si, ma della satira contro il Potere, e va bene che nella vita è normale essere incendiari a vent'anni ma pompieri a cinquanta, ma lui esagera, e non è la prima volta, trasformandosi nel megafono del Potere nel convocare una manifestazione di sostegno all'interventismo europeo in Ucraina, mascherato come "difesa della Democrazia". Cioè, sarebbe democrazia salire al potere dopo un golpe e iniziare ad angariare e massacrare una parte dei tuoi sudditi perché di altra etnia e lingua? E sarebbe democrazia essere nominati da un direttorio anziché eletti dai cittadini, e da li imporre a piacimento politiche restrittive sulle spese sanitarie o sociali (a cittadini che magari nel loro Paese avevano pure eletto un governo che facesse l'opposto) e politiche espansive sulle spese militari? E quand'anche sei così ottuso a risponderti di si, che Zelenskij e i vertici UE sono democratici punto e basta mentre il Nemico per definizione non lo è, sarebbe democratico andare a imporre la democrazia con le armi? Ai tempi di Cuore, se non ricordo male, l'esportazione della democrazia era un bersaglio... Ah già, ma quelli erano gli Ammericani, oggi la carta si potrebbe rigiocare se lo facesse Trump, che disgraziatamente sta cercando invece (eh si, a modo suo e per gli interessi suoi, si capisce, ma anche sticazzi) di imporre la pace.

Volendo cercare il lato buono della faccenda, è nel fatto che (oserei dire, finalmente: per la cosiddetta pandemia non era capitato...) la presa di posizione di Serra & co. è talmente di destra (e si: come molte altre del centrosinistra, specie in campo economico, ma evidentemente in modo più lampante) che sta spaccando la sinistra. A iniziare dal PD stesso e a finire nelle piazze: fioriscono levate di scudi (qui Peacelink, Sbilanciamoci, Leonardo), e per oggi 15 marzo stesso è prevista anche una contromanifestazione (di Potere al popolo, con molti aderenti), e non che si possa oramai più dare peso politico alle iniziative di piazza, ma insomma se quella pro-UE si rivelasse un flop non sarebbe male, quindi ben venga qualsiasi cosa che gli tolga il terreno da sotto.

In cronaca c'è questo, alla Storia invece passerà cosa succede da ora in poi. Putin non è un fesso e sa che una tregua senza garanzie di pace duratura a valle di un ridisegno dei confini ucraini (arbitrariamente tracciati in seno all'URSS, non dimentichiamolo mai) che rispetti le etnie residenti si tradurrebbe solo in una perdita di tempo a favorire le iniziative di riarmo occidentali, ma nemmeno Trump lo è e capisce da solo che a Putin bisogna offrire quello che gli spetta altrimenti niente pace (e si, niente terre rare) ed è in questa ottica che bisogna leggere le strigliate e gli avvertimenti all'attorucolo ucraino. Quindi lo scenario più probabile è ancora che la pace venga fatta (lo spiraglio c'è, eccome, anche nella storia della diplomazia), l'Ucraina ridimensionata e tenuta fuori da Nato e UE, e il riarmo europeo resti li da un lato a dimostrare che gli Eurobond allora si possono fare cavolo, e dall'altro a consentire agli autocrati finanzieri di rimetterci sotto torchio per ripianare il deficit stavolta da spese militari chiudendo la fase fintamente espansiva del PNRR. Ma se invece si avverasse lo scenario meno probabile, che cioè la UE riesca in qualche modo ad attuare il suo piano controproducente, a riarmarsi in fretta, a sabotare gli accordi di pace, e ad avviare una escalation, mi piacerebbe vedere Michelino e gli altri della sua piazza mandati al fronte a combattere per la democrazia, ma temo invece che per limiti di età ci vedremo i nostri figli. E figlie, sia mai una discriminazione di genere. Quattro gatti che prima hanno fatto in modo che ci costasse un occhio della testa crescerli, e poi ce li fanno far fuori manco fossero carne da cannone come i figli dei nostri trisavoli (che però erano tipo otto a coppia, tirati su con un solo stipendio quando andava bene, e pazienza se ne morivano un paio).

Ed ora un po' di link di approfondimento, che ci servono (ma stanno qui solo perché non sono riuscito a inserirli nel filo del discorso del testo: vi invito invece a seguire anche quelli inseriti nel testo, che sono la stessa cosa):

sabato 8 marzo 2025

LA CONVINZIONE DI GINEVRA

Chi mi segue lo sa, che Ginevra Di Marco è una delle mie artiste preferite: guardate quanti post restituisce una semplice ricerca per "ginevra", tra cui uno antologico/divulgativo, un reportage dal suo mitico concerto con Margherita Hack accanto, e uno analogo a questo, di adesione al crowdfunding per il disco nuovo e invito ad imitarmi.

Il nuovo album si chiama Kaleidoscope, qui potete leggere la presentazione e in fondo al post potete vedere e sentire la stessa Ginevra parlarne, in un modo che si può solo sottoscrivere, appunto. Io ribadisco soltanto che l'autoproduzione è quasi una scelta obbligata in un mondo musicale dominato da politiche editoriali miopi e ripetitive, l'unica che consente di mantenere la libertà di scelta del proprio percorso artistico, tenendosi convintamente fuori dai canali mainstream della promozione e dai canoni che questa corrispettivamente impone. Difficile che vedrete mai Ginevra a Sanremo, più facile beccarla a casa Bollani in via dei Matti numero zero (titolo non a caso preso da Sergio Endrigo...).

E si lo so che oramai nessuno di noi ha il lettore CD in macchina o il tempo di scartare un vinile e metterlo sul giradischi, ammesso di avere ancora il giradischi funzionante (ma arreda, si...). Ma si può anche solo preacquistare le tracce digitali, con o senza il supporto fisico nel formato voluto e altri gadget. E si può andare a sentirla cantare dal vivo, qui a Roma il 28 marzo all'Angelo Mai, a un prezzo giusto (andateci voi ai concerti a 80 euro al cranio, se vi va, io ho chiuso), sicuramente ripagato con margine da una offerta in termini di voce passione qualità che oramai purtroppo non si trova più facilmente in giro. Non sarà eroico come in quel concerto a Messina, a inizio della sua carriera solista, in cui eravamo io il mio amico Massimo e un'altra trentina di spettatori, ma ci vediamo lì.

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