martedì 22 ottobre 2013

ESPROPRIO PROPRIETARIO

Prendo la cronistoria dal Corriere, non dalla Pravda: si noti!
C'era una volta... Un re! diranno subito i miei pochi lettori! No, ragazzi, avete sbagliato: c'era una volta uno Stato sovrano...
Parafraso non a caso questo incipit piuttosto noto: chi ci racconta da decenni che "privato è meglio" se fosse Pinocchio avrebbe un naso lungo chilometri. In statistica quella tra privatizzazione e correttezza di gestione è quella che si dice una correlazione falsa, come il caso italiano ha ampiamente dimostrato: ovunque si sia privatizzato qualcosa in Italia, il grado di corruzione e cattiva amministrazione è aumentato assieme ai costi per l'utenza mentre diminuiva specularmente la qualità dei servizi corrispondenti, col risultato che l'alimentazione dell'economia sommersa e/o delinquenziale è aumentata mentre lo Stato veniva man mano spogliato dei suoi averi.
Mi autocito, un po' per pigrizia un po' perché non saprei riscriverlo meglio:
Gli Stati liberali nascono per iniziativa della borghesia, che toglie a re e aristocratici la proprietà della Cosa Pubblica sostituendo al suo libero uso, che ne costituiva il contrappeso negli Stati assoluti, il concetto di bene demaniale. In altri termini, prima tutto era del re e dei suoi vassalli, che concedevano gentilmente in uso al popolo quello che loro serviva per vivere, poi tutto diventa recintabile e attribuibile a proprietà privata, salvo un elenco più o meno rigido di beni che restavano allo Stato e quindi a disposizione della collettività. Secondo questo modello, con le tasse di chi poteva pagarle, e quindi pian piano anche dei nostri bisnonni e nonni e padri, si è faticosamente creato nel corpo dello Stato un sistema nervoso di uffici postali telegrafi e linee telefoniche, un sistema circolatorio di strade e ferrovie e stazioni, un sistema linfatico di acquedotti e cavi elettrici, eccetera eccetera. Tutte queste cose sono costate e costano un patrimonio, da costruire e mantenere. Un patrimonio di soldi nostri, che provengono dai nostri padri e dovrebbero andare ai nostri figli.
E ora ve la ridico più brutale: sono più di vent'anni che il termine privatizzazione viene utilizzato intendendo "efficientazione". E' una colossale balla, fatta per compiere una ruberia peggiore di quelle che venivano commesse nei settori già pubblici (quindi inefficienti, quindi da privatizzare), spesso peraltro dagli stessi ladri di prima o da loro sodali. Il capitalismo non è intrinsecamente capace di creare ricchezza. Non l'hai mai fatto, dico mai, nella storia. La ricchezza viene tutta "dalla terra", la tecnologia può moltiplicarla, il capitalismo solo spostarla. E tende a farlo nelle mani di pochi: la vulgata è "i soldi chiamano soldi". E quindi non inizia nemmeno a funzionare se non c'è prima un'accumulazione iniziale, la quale (cito Marx) è teoricamente possibile e storicamente avvenuta con violenza (furto, guerra, malavita, ecc.). Il capitalismo italiano, come molti altri di Paesi che non avevano a disposizione né ricchezze naturali sul proprio territorio né sufficienti colonie da sfruttare, si è sviluppato per una decisione dello Stato. Negli anni 30. Decisione non a caso parallela a un patetico tentativo coloniale e a una disastrosa avventura bellica. Ed è durato finché chi ci ha sconfitto in quella guerra ha deciso che gli conveniva tenerci buoni: avevamo il più grande Partito Comunista dell'Occidente, del cui Impero eravamo praticamente il confine orientale, hanno lasciato che continuassimo ad accumulare ricchezza grazie all'intervento pubblico (ma guai a esagerare, vero Mattei?) e che questa si distribuisse secondo il modello consumistico (cioè in modo da moltiplicarsi prima di tornare nelle mani giuste, avendo però consentito uno sviluppo delle condizioni materiali e conseguentemente spirituali di tutti). Nel 1989 la pacchia è finita. E dai primi anni 90 è iniziato il processo inverso: derubare scientificamente la ricchezza pubblica accumulata nei decenni precedenti, fregandosene del degrado conseguente del tessuto industriale e delle condizioni di vita dei cittadini (in una spirale che l'enorme prevalenza delle piccole e medie imprese, fin li punto di forza del nostro sistema, ha ovviamente accelerato: sono le prime a chiudere se girano meno soldi, e con l'aumento di disoccupazione conseguente girano ancora meno soldi eccetera). Questo è stato: un furto deliberato (chi vuole farsi il sangue acqua legga questo sommario "resoconto dei regali"). E chi ha tentato di presentarci la faccenda come un processo positivo di modernizzazione, quindi tutto l'arco politico con in testa il centrosinistra, o era complice o peggio era idiota.
Il caso Telecom è paradigmatico, ma ci si potrebbe dilungare con tutti gli altri. Prima però una precisazione: abbiamo vissuto sotto il teorema
"carrozzone pubblico = inefficienza e corruzione
invece
impresa privata = efficienza e redditività
"
ma quello che si è dimostrato è un altro:
"carrozzone privato = inefficienza e corruzione senza controlli, a ricchezza regalata a chissachì"
laddove c'erano tutti gli strumenti legislativi e organizzativi (dunque è mancata solo la volontà politica di attuarli) per inverare un'altra equazione:
"inefficienza e corruzione? controlli e azione della magistratura, quindi efficienza e correttezza". 
Tra parentesi, questo stessa sintassi è stata applicata anche al pubblico impiego: avevamo un modello gerarchico con tutti gli strumenti per correggere eventuali sprechi e inefficienze, si è deciso invece di cambiare il modello in uno di stampo privatistico che ha risolto poco o nulla, salvo diminuire l'occupazione (e non abbiamo ancora visto nulla...), quindi alimentare la spirale di impoverimento di cui sopra, e alla fine peggiorare i servizi (con esclusione dei soli che si autoremunerano: per un esempio vedi l'alta velocità e l'abbandono delle tratte periferiche - e l'AD di Trenitalia dichiara "prendano l'auto": forse si crede Maria Antonietta con le brioche, e si scorda che fine ha fatto l'asburgica...).
Dalla vicenda Telecom (qui riassunta da Il fatto) si evince che abbiamo ricavato la miseria di 13 miliardi di euro per una compagnia monopolista più la rete fisica deposta capillarmente su tutto il territorio nazionale a spese dei contribuenti più una caterva di immobili acquisiti sempre a spese nostre, e che ogni due e tre si presentano difficoltà di gestione che portano a passaggi di mano. Non vi si evincono alcune verità neanche tanto nascoste (ma tanto per cambiare è solo Grillo che le denuncia da anni, anche da molto prima che entrasse in politica):
  • regalare la rete ha creato di fatto un monopolista privato, che in quanto tale si comporta ovviamente peggio del monopolista pubblico;
  • infatti, le compagnie che hanno tentato di concorrere sul mercato telefonico, nell'era si noti bene dell'impennata dei collegamenti Internet casalinghi, hanno dovuto pagare il pizzo al monopolista privato, scaricandolo tutto o in parte, direttamente o meno, sul consumatore;
  • neanche con questo indubbio enorme vantaggio chi l'ha via via controllata è riuscito a farla funzionare economicamente: tutti incapaci, o con altri obiettivi?
  • ci risponde Tronchetti Provera, che fa un bel pacco con Pirelli, crea un'immobiliare apposita, le conferisce il patrimonio Telecom, e quando cede la telefonia se lo tiene;
  • oggi che a Internet ci si collega in tanti modi e la rete fissa perde importanza, si inscena la manfrina della vendita agli spagnoli solo per poter gridare alla difesa della Patria e poter riacquistare, pagando, dai privati quella rete che all'inizio delle danze lo Stato ha regalato ai privati.
Ma appunto, come ben spiega qui Geopolitica, Telecom non è che uno degli episodi di una telenovela (tanti e tutti uguali, vedi ad esempio Alitalia) che scrive forse oggi le ultime puntate, visto che il governo Letta, al di là delle commedie messe in atto con tanto di finti colpi di scena, è lì solo (basta saper leggere le righe piccole) per completare il latrocinio: Eni, Enel, e magari Cassa Depositi e Prestiti. Poi non ci resterà che il patrimonio naturale (ma con le spiagge ci sono quasi) e culturale, enorme quanto anch'esso pessimamente gestito. In questa commedia, i soldi non ci sono per la sanità o per abbassare significativamente (e non la presa per i fondelli che hanno fatto) il cuneo fiscale, ma ci sono per le grandi opere pozzo-senza-fondo (come la TAV e la metro C di Roma), non ci sono per l'istruzione pubblica o il reddito di cittadinanza, ma ci sono per gli F35 e le missioni di guerra dette di pace (ora se ne inventano un'altra "per" gli immigrati). E si continua con le privatizzazioni (quando si dovrebbe tornare a parlare seriamente di nazionalizzazioni, certo con in parallelo un serio rilancio dell'azione della magistratura) mentre un viceministro gioca a fare il keynesiano nel governo più liberista della storia patria (gioca, si, altrimenti dovrebbe essersi già dimesso o non aver accettato l'incarico) che ha portato i livelli di occupazione al minimo storico.
Una recita che può avere solo una via di salvezza, ma qui dobbiamo tornare a parlare di Europa e di moneta. E' una promessa, e una minaccia.

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