No, gli anni Ottanta non sono stati solo quelli del Riflusso, del Disimpegno, della superficialità, della Milano da bere, del technopop, della batteria elettronica, delle giacche a un bottone con le spalline e dei capelli cotonati. Sono stati anche gli anni di Peter Gabriel.
L'ex frontman dei Genesis, che con loro aveva inventato un certo modo di stare sul palco (pare sia stato peraltro uno dei motivi di dissidio nella band), aveva già negli anni Settanta iniziato la carriera da solista con una serie di album senza titolo, subito disseminati di pezzi che dimostravano il suo avere qualcosa da dire. Ma fu a inizio del nuovo decennio che si spaccò la schiena a Sanremo cantando Shock the monkey appeso a una corda, che spiegò a Mister Fantasy come usava il neonato home computing per mettere nuovi suoni al servizio della sua musica, e che fece uscire quello che forse è il suo capolavoro.
Come lo traduciamo "So" in italiano? Messo in mezzo a una frase sarebbe "così", ma all'inizio, o peggio ancora da solo? Allora? Dunque? Ordunque? Comunque in inglese suona meglio, e Gabriel passa da niente titoli a titoli brevissimi, che non abbandonerà quasi mai (di lui e di altri suoi dischi abbiamo spesso parlato su queste pagine), a partire da questo album che inizia un discorso già appunto dal titolo e a finire con quello in arrivo, se venisse confermato il provvisorio "I/O".Ordunque, stiamo parlando di un album senza quasi "cali di livello" nella qualità dei singoli brani. Tanto che, come spesso in questi casi, se ne consiglia l'ascolto integrale e consecutivo (peraltro, proposto sia nella tournée dell'epoca che in quella celebrativa di due decenni dopo). In alternativa, ogni titolo della consueta tracklist commentata apre in pop-up il tube corrispondente, che così potete ascoltare leggendo. Con una eccezione finale, decisamente motivata.
- Red Rain - Un attacco così, con la batteria di Stewart Copeland dei Police a svegliare pure i morti, valeva da solo il prezzo del disco, pensavi subito. Il testo onirico e ipnotico fa la sua parte, alla fine hai "tutti i muscoli del corpo pronti per" l'ascolto del resto del disco.
- Sledgehammer - Ed ecco infatti che subito arriva come sfogare l'energia accumulata. Vorresti essere una mazza da demolizione, e lo diventi. Il brano fu una hit clamorosa, grazie anche al video, autentico spartiacque in questa che allora era una nuova arte: plastilina e stop-motion, a sprizzare genialità da tutti i fotogrammi. Ve lo metto bello grosso in fondo a tutto, se l'avete visto lo sapete già, che merita, se no lo imparate adesso.
- Don't Give Up - Di questo autentico capolavoro, il cui testo è un atto di accusa al thatcherismo e un inno all'amore e al sostegno reciproco, esistono decine di versioni diverse cantate da Peter con partner differenti, e decine di cover di altri artisti, ma nessuna si avvicina neanche lontanamente a questa versione originale con l'immensa Kate Bush, sia per la sua interpretazione che per il meraviglioso video con oltre 6 minuti di abbraccio.
- That Voice Again - Per anni la fruizione di questo brano si è fermata alla superficie, e il fatto che si tratti di un altro brano musicalmente travolgente fa da attenuante. Poi ho scoperto che il testo parla della voce dei genitori che introiettiamo in noi e ci accompagna per tutta la vita, nel bene e nel male, neanche fosse un testo di analisi transazionale.
- In Your Eyes - Canzone d'amore come poche, adattissima a sottolineare un momento topico, che so il taglio della torta al matrimonio, in cui due si guardano negli occhi. Con Youssou N'Dour al controcanto: eh si, questo disco è tra l'altro uno degli atti di nascita della world music (il primo, secondo quanto affermato dallo stesso Gabriel, è Creuza de ma di De Andrè).
- Mercy Street - Intimo passaggio ispirato a un quasi omonimo libro di poesie. Ma è solo una pausa per prendere fiato.
- Big Time - Arriva infatti questo potentissimo brano, accompagnato da un bel video, con un testo che è una satira/invettiva proprio a quegli anni 80 di cui parlavamo all'inizio.
- We Do What We're Told (Milgram's 37) - Il sottotitolo fa riferimento a un famosissimo esperimento di psicologia sociale, e il titolo alla giustificazione principe dei nazisti al processo di Norimberga ("eseguivamo gli ordini"). Tutta roba così insita nella natura umana da essere destinata a tornare ciclicamente di moda, come ad esempio da ultimo nelle vicende della pandemia. Inutile dire che il testo stringatissimo e ripetitivo e il tessuto della base musicale fanno la loro parte nel passare il significato.
- This Is the Picture (Excellent Birds) - La chiusura è affidata a un duetto con Laurie Anderson, la geniale performer di O Superman! nonché moglie di Lou Reed. Il testo sembra presagire l'era degli smartphone, scusate se è poco.
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