domenica 2 novembre 2025

A CONTI FATTI

Lo vogliamo per sempre così...
La Corte dei Conti ha "bloccato" il Ponte sullo Stretto. Le virgolette sono perché il parere non è vincolante per il governo, ma i rilievi sono concreti ed è difficile che questo abbia la forza politica per ignorarli bellamente. Il wishful thinking è che questo ennesimo stop sia finalmente quello definitivo, ma la torta è talmente grossa che difficilmente i felloni non cercheranno e magari troveranno un'altra strada per cercare di papparsela.

E' perciò utile, anche se l'argomento è uno dei più trattati di questo blog (basta seguire il tag), ricapitolare ancora una volta quali sono tutte le ragioni per cui il Ponte non può e non deve essere fatto, anche perché negli ultimi tempi, grazie anche alla sponsorship governativa (specie di uno a cui del sud non gliene è mai fregato niente, peraltro), gli argomenti a favore, per quanto fallaci, hanno trovato "buona" stampa facendo quindi breccia in una opinione pubblica sempre meno avvezza al pensiero critico.

  1. Fattibilità. Il ponte a campata unica più lungo mai costruito ha una campata lunga la metà di questo progetto. Il doppio più lungo non significa il doppio più difficile, magari: qui parliamo di un fattore difficilmente calcolabile. E certo che i progettisti dicono che si può fare, erano ingegneri, erano scienziati, anche Morandi e quelli del Vajont: non deve decidere chi è interessato. E chi deve decidere deve essere "marcato a uomo" per non essere corrotto.
  2. Terremoti. La resistenza al sisma del progetto attuale è di 7.1 gradi Richter. Ridicola. Nessuno può dire con esattezza quale fu la magnitudo del "big one" del 1908, e quale sarà quella del prossimo. Ma se fosse 7.2 non sarebbe lo zero virgola uno più forte, la scala è logaritmica, si parla di moltiplicare a ogni decimale, un 7.8 sarebbe UNDICI volte più forte del 7.1 per cui il progetto sarebbe tarato. Tutto ciò significa che è praticamente certo che, ammesso che riescano a ultimarlo, al prossimo grande terremoto, in una zona in cui ce n'è uno ogni secolo o due al massimo quindi ci siamo quasi, andrà in macerie (e se anche fosse l'unica struttura a resistere, come si vanta lo stesso Salvini, in assenza di interventi sul patrimonio abitativo dell'area dello Stretto, resterebbe a collegare due cumuli di macerie).
  3. Vento. Ma se un grande terremoto possiamo essere certi che arriverà ma non quando, i venti su quel tratto di mare, a decine di metri di altezza, sono la regola per moltissimi giorni all'anno. Un grattacielo, cioè un oggetto massiccio ancorato a terra e alto centinaia di metri, in cima deve oscillare di metri e metri per non crollare. Il Ponte, una struttura esile coi punti di ancoraggio lontani chilometri, per non crollare deve oscillare tanto da costringere a chiuderlo al transito in ogni giorno di vento. Immaginando che non ci siano più i traghetti, chi deve passare sta fermo agli imbocchi.
  4. Traffico. Si ma chi è che ci deve passare? Per giustificare la costruzione, si ricorre a previsioni di traffico vecchie di venti anni (lo stesso trucco della Torino-Lione), che la stessa CdC ha giudicato irrealistiche visti i tempi. Ma anche fossero giuste, la domanda è: ha senso nel 2025 realizzare una infrastruttura che sposterà ulteriormente i trasporti su gomma (mentre è in corso un'azione concentrica per farci abbandonare le auto, peraltro) da e verso un'isola che logica e ambientalismo vorrebbe fosse invece essere rifornita esclusivamente via mare, semmai investendo su porti commerciali e infrastrutture di trasporto interno?
  5. Tempi e costi di traghettamento. Si parla di un pedaggio di 10 euro a vettura e 20 a mezzo pesante. Ammesso che sia vero, e che si trovi il modo di non creare code agli imbocchi (salvo il vento, rivedi punto 3) risparmiando del tempo, visto che il tempo è denaro e che le code agli imbarchi attualmente si registrano solo per alcuni giorni all'anno (meno di dieci) quanto risparmierebbero gli utenti (escludendo pendolari reggini e messinesi, che se glieli lasciano continueranno a preferire gli aliscafi a 40 chilometri di strada) non ferroviari? 
  6. Treni. Unici mezzi che trarrebbero vantaggio dal ponte, su cui passerebbero dritto anziché fermarsi per essere "smontati" e traghettati. Peccato che anche calcolando, a voler essere generosi, in un'ora o due questo risparmio di tempo, esso deve essere parametrato a lunghe percorrenze col "continente" che includono le ottocentesche tratte siciliane e la tratta Reggio/Salerno per cui è stata appena riesclusa (viene fatto ricorrentemente, ad ogni tentativo di riproporla, perché l'orografia non perdona e costringe a costi altissimi) l'Alta Velocità: un conto è risparmiare un'ora su due, un conto una su dieci, o no? Quanto si accorcerebbero i tempi se si intervenisse sulle tratte a terra? A spanne, molto di più e spendendo molti meno soldi.
  7. Tempi e costi di costruzione finali. C'è mai stata una "grande opera" per cui in Italia alla fine si è speso quanto si era detto e ci si è messi il tempo che si era detto? E perché mai dovremmo credere che in questo caso si sfuggirebbe alla regola della moltiplicazione? Infatti, uno dei rilievi della Corte riguarda proprio la levitazione delle cifre rispetto al progetto in fieri, che non dimentichiamo è di vent'anni fa. E Salvini ha la faccia tosta di parlare di "natura politica" dei rilievi.
  8. Garantito duecento anni!!!! Un'opera che costa quanto una mega-manovra fiscale, e i suoi alfieri si vantano di garantirne una tenuta che magari a loro sembra lunga, a confronto delle loro miserevoli vite, ma che invece andrebbe paragonata non al ponte Morandi ma a ponte Milvio. E la garanzia peraltro è a patto di costi di manutenzione il cui calcolo approssimativo è appunto un altro dei rilievi della magistratura contabile (cosa non si fa, pur di falsare il bilancio costi/benefici!).
  9. Moltiplicatore?  La mistificazione maggiore è il ricatto morale che viene perpetrato ai danni di popolazioni storicamente tagliate fuori da investimenti produttivi (che non convengano a corrotti e corruttori): "retrogradi, osate essere contrari a una pioggia di miliardi che non può non avere enormi effetti moltiplicativi e ricadute sul territorio!" Bugia! Perché agisca, il moltiplicatore keynesiano, occorrono investimenti che insistono, sul territorio dove vengono fatti: piccole opere pubbliche a deficit che diano lavoro stabile a gente del posto o che vi si trasferisce, spendendo i guadagni sul posto e così via fino a che le maggiori entrate fiscali derivate dal maggior reddito non annullino il deficit iniziale. Un circolo virtuoso in cui una megaopera del genere per sua natura non farà sfociare che i rigagnoli, la quasi totalità del flusso ripartendosi tra general contractor, vari livelli di subappaltatori, grandi e piccoli corrotti e corruttori, e maestranze in massima parte straniere che manderanno a casa quasi tutti gli introiti e andranno via appena finito. In altri termini, se gli stessi soldi di questa unica opera gigantesca venissero ripartiti in cento iniziative sul territorio, ci sarebbe si un effetto moltiplicatore enorme; dal ponte, quasi nulla.
  10. Investimenti alternativi. Ferrovie locali, strade, porti, rete idrica, edilizia scolastica, ospedali (basterebbe la riapertura e riqualificazione dei tanti chiusi negli ultimi decenni), salvaguardia idrogeologica di zone a rischio, messa in sicurezza di coste e argini, incentivi diretti alla ristrutturazione edilizia privata (no superbonus in saccoccia alle banche e ai furbi) anche in chiave antisismica, e mi scordo di sicuro qualcosa. In tutta la Calabria, la Sicilia, e perché no il resto del Sud e isole. Con effetti moltiplicatori di molto moltiplicati, ripeto. E resterebbero soldi, rispetto a questo spreco.
  11. Mafia. L'ho lasciata per ultima non per importanza, ma perché è il fattore assieme più indiscusso e meno definibile. Di certo, è quasi impossibile tenerla lontana da pozzi senza fondo come questo. Ma il fatto che sia sul proprio territorio è solo una secondaria facilitazione: la cosa vale per qualsiasi "grande opera" ovunque si faccia. E si, vale anche per le opere più piccole, ma quelle attraggono pesci più piccoli, ed è più facile controllare che vengano ultimate senza eccessive ruberie. Sulla TAV, le privatizzazioni e le megaopere in genere, come diceva Pasolini, io non ho le prove ma so.
  12. Impatto ambientale. Consideriamola un post-scriptum, anche se è una delle carenze più pesanti rilevate dalla Corte. Per chi ama quel territorio, magari perché ci è nato, non è facile digerire lo scempio di due pilastri alti centinaia di metri e larghi decine, poggiati su colline vere o artificiali che siano, più decine di chilometri di raccordi stradali e ferroviari poggiati su altri pilastri non giganteschi ma numerosi, perché l'altezza del ponte (che dovrebbe essere sufficiente al transito delle mega navi, per non fare chiudere il porto di Gioia Tauro) è tale che con le rampe bisogna partire da lontano, coi treni da lontanissimo. Basta questo a chiudere la questione, i dettagli sono tanti ma sono in aggiunta. Tutto questo se lo finiscono e se resta in piedi. Perché visti i punti precedenti la cosa altamente più probabile è che vedremo per decenni un cantiere aperto e poi per secoli i resti di un cantiere chiuso di un qualcosa di mai ultimato o peggio ancora i ruderi di un qualcosa di ultimato e crollato per una delle ragioni di cui sopra, dai terremoti al vento allo scadere dei due secoli di garanzia. Un impatto ambientale colossale, uno scenario che si spera almeno sia da monito all'umanità, ammesso che questa si faccia davvero ammonire da qualcosa a non ripetere i propri errori.

Voglio chiudere con un ricordo personale, perché questo in fondo è un diario e perché spesso l'ultima parola in questioni serie la ottiene la risata. L'ironia, la satira, possono sgretolare il Potere, anzi spesso sono le sole forze a riuscirci o almeno a incrinarlo.

Mio papà Pepè fu protagonista, nel suo piccolo, dell'epopea delle radio libere negli anni 70. Certo, a Reggio Calabria, anzi nella frazione di Gallina, non a Bologna Roma o Milano, ma basta accontentarsi. Io gli andai a rimorchio, e ancora oggi mi vanto di avere nel curriculum di essere stato DJ, anzi come si diceva di avere "trasmesso in radio", dal 1979 al 1984. Ma nel 1976, ero piccolo, mio padre prese a telefonare a Radio Gallina Sound interpretando in diretta una serie di personaggi, figli credo come ancora oggi tanti di Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni ma suoi originali, che gli valsero l'invito a passare dall'altra parte del bancone del mixer (vi sarebbe rimasto per vent'anni). Me ne ricordo bene due, vi giuro esilaranti: Gustavo, un omosessuale appassionato di culinaria col pallino per il pescestocco, e il professore Paolo Missineo, un saccente pieno di prosopopea che chiosava ogni suo intervento, di qualunque argomento si fosse parlato, col suo tormentone: "il ponte sullo stretto sarà fatto!". E raccontava che per sponsorizzarlo si faceva ogni giorno lo Stretto a nuoto andata e ritorno da Cannitello a Ganzirri.

Pontisti, pontofili: una risata vi seppellirà.

2 commenti:

pasqbass ha detto...

caro cugGino hai dimenticato che la radice ponte si declina in tre modi non in due due: pontisti, pontofili e 'pontefici' Da te non me l'aspettavo, stai a invecchià...

cugino ha detto...

e già, e morto un pontefice purtroppo se ne fa sempre un altro...

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