sabato 25 ottobre 2025

LO SPORT DEL DIAVOLO

Non so chi abbia definito per primo il tennis come "lo sport del diavolo", ma la definizione piace ad Adriano Panatta tanto che la cita ricorrentemente, e io che ho iniziato a giocare per emulare lui (e tra l'altro l'aspetto migliore del fenomeno Sinner è la torma di ragazzini che ha preso ad invadere i circoli di tennis per la stessa ragione) non posso non farla mia, visto che i suoi commenti tennistici e sportivi in generale mi trovano quasi sempre d'accordo.

La ragione principale per cui la definizione è calzante risiede nel sistema di punteggio. Ce ne sono altre, ma sono comuni ad altri sport individuali "di situazione", come la boxe o la scherma, in cui l'azione è un continuo e veloce miscelarsi di azioni fisiche e pensiero (fin qui come molti altri sport) che però deve adattarsi di continuo e rapidamente alla risposta di un altro che usa lo stesso mix per batterti. Non corri contro un cronometro, non devi centrare un bersaglio, lanciare qualcosa più lontano o resistere in qualcosa a lungo e facendo prima di altri, eccetera eccetera, no: devi "fare punti" contro un altro che deve "fare punti" contro di te, nessuna azione è uguale all'altra, la situazione è in continuo cambiamento, ed è solo tua la responsabilità della lunga serie di scelte giuste o sbagliate che prendi durante un incontro. Gli sport a squadre hanno altri pregi, e anzi anche tutti gli altri tipi di sport hanno ciascuno il suo, non sto facendo a chi ce l'ha più lungo. Ma gli sport "a duello" hanno questo pregio, ed il tennis lo è. Poi però c'è il punteggio.

Ho visto in TV una partita in cui una professionista vinceva 6-0 5-0 e match point, e poi ha perso la partita. E non è che si è fatta male, no. E' che il sistema di punteggio, che non si sa nemmeno bene chi e quando lo abbia introdotto (gli antenati del tennis sono antichissimi, dalla pallacorda indietro, ma il punteggio a 15 potrebbe essere conseguente all'invenzione degli orologi a quadrante), è congegnato in modo che tu non sia mai sicuro di aver vinto finché non hai vinto l'ultimo punto. In altri sport non è così: a pallone se sei 4 a 0 avanti e mancano pochi minuti hai vinto, a basket già è più incerto ma fino a un certo punto (se sei avanti di venti, man mano che si avvicina la fine puoi far giocare i ragazzini), a boxe se sei nettamente sotto ai punti puoi solo sperare di mettere KO il tuo avversario ed è già qualcosa, perché a scherma invece devi rimontare non puoi infilzarlo. A tennis invece... Roger Federer a fine carriera ebbe a dichiarare: "Ho vinto quasi l'80% delle partite di singolare... Ma ho vinto solo il 54% dei punti.". E stiamo parlando di uno dei giocatori più vincenti di ogni tempo, per altri grandi campioni si può dire che i punti vinti restino attorno alla metà, mentre le partite vinte non sono quante Federer ma sempre molte di più della metà. E tutto ciò grazie al fatto che i "quindici" non sono tutti uguali, conta vincere quelli che contano. Infatti, spesso nelle statistiche di fine partita mostrano anche il totale dei punti vinti, e nelle partite combattute molto spesso capita che chi ha vinto il match non sia quello che ha vinto più punti. Faccio un esempio non estremo (che si può capire: se vinco 0-6 7-6 7-6 ho vinto due tiebreak ma solo 12 game su 18, quindi facile che ho fatto meno punti): ho vinto 6-4 6-4, ma i miei game li ho vinti sempre con due vantaggi (quindi 6 punti a 4) e quelli che ho perso li ho persi sempre a zero; come minimo, il mio avversario ha perso facendo 80 punti, mentre io ho vinto essendomi fermato a 72. Non so voi, ma io la vedo come una efficacissima metafora della vita, una cosa che apprenderla sul campo mentre ragazzino ti confronti impietosamente con te stesso prima che coi tuoi avversari non può che far bene.

Sinner dunque sta facendo un grande servizio ai ragazzi italiani. E lo fa anche se ogni tanto salta una convocazione in Davis. Chi ne approfitta per fare polemiche, come l'ineffabile Vespa, dimentica che il paragone non va fatto con le "mezze pippe" per cui la convocazione in nazionale è il massimo della vita, ma coi grandissimi della storia del tennis, cui il nostro roscio appartiene di diritto; ebbene, Federer su 45 convocazioni ha risposto si in 27 occasioni (vincendo peraltro il trofeo solo una volta) e no in 18, Djokovic sta solo un filo più su (37 si e 20 no) e Nadal molto dietro (24 si e 32 no). Sinner, se ancora non cambia idea, è solo al suo secondo no, di una serie lunga si spera quanto quella di titoli slam e settimane al numero uno, i conti li faremo alla fine. Queste semplici considerazioni razionali non impediscono al tifoso di essere deluso e magari sperare in un dietrofront. Magari dettato dalla semplice considerazione razionale che uno sforzo di una settimana in più stavolta non è richiesto quando dopo hai altri tornei importanti, ma esattamente prima delle ferie, che per carità anche vista la giovane nuova fidanzata è pure comprensibile volersele godere un minimo prima di iniziare la preparazione per la nuova lunga stagione, ma insomma non credo che la vittoria all'Australian open (e meno che meno nei tornei successivi) dipenda da qualche giorno di differenza nell'inizio dello "stacco". Diciamo così, ancora con Panatta: io tutto sommato uno sforzo lo avrei fatto.

Ma torniamo a noi. C'è almeno un altro senso per cui vale accostare questo sport a Belszebù, e ha a che fare col dottor Faust. Il tennis, infatti, a differenza di altri sport, si può praticare fino ad età avanzata, come sa bene chi ha continuato a frequentare i circoli nei decenni tra l'era Adriano e l'era Yannik, o ci si affaccia di mattina, gustandosi lo spettacolo di fieri vegliardi che si sfidano e sfottono in doppietti improbabili. Ora, nella mia testa ogni tanto lampeggia il desiderio che se proprio devo morire che sia dopo un punto fortunoso ottenuto con una volée in tuffo, e ancora sono solo un ultrasessantenne (ho conosciuto e conosco molti over 70 80 e oltre che ancora giocano): non so se capita anche ad altri, ma suppongo di si. La vecchiaia, come spiega il grande Massimo Fini in questo articolo, è un pessimo affare, ma avere la fortuna di poterla trascorrere su un campo da tennis la rende meno dura. E più invecchio più capisco mia madre, il cui tennis si chiamava "campagna", che ha continuato a zappare la terra irrigarla seminarla e coglierne i frutti fino a oltre 85 anni, e ha iniziato a morire solo quando un incidente le ha tolto la condizione fisica minima necessaria a poter proseguire.

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