mercoledì 27 gennaio 2016

FUTURO INTERIORE

Trent'anni fa, con un passato davanti e un futuro dietro
Un mio vecchio e caro amico è convinto da sempre che un uomo debba costruirsi il proprio sistema di valori, col contributo essenziale anche se non esclusivo di quelli che ha ricevuto in eredità dalla famiglia e dal posto in cui gli è toccato nascere, e poi debba subordinare ogni altra cosa al rispetto di quei valori, a cominciare dall'utile immediato anche proprio. La sua biografia testimonia l'aderenza a questa convinzione, e dà al fatto di avere la sua amicizia e la sua stima un valore aggiunto piuttosto rilevante.
A valle di ciò, egli ha dell'attuale crisi una lettura a suo modo elegante e coerente: il mondo non può reggere il modello di sviluppo che infatti sta collassando, e se il modello che lo sta soppiantando prevede che tutti gli esseri umani "normali" (esclusi cioè i pochi padroni del vapore e in misura minore i loro scherani) debbano avere gli stessi scarsissimi mezzi a disposizione per vivere, intanto in fondo è una cosa giusta (il contrario essendo iniquo) e poi alla fin fine è un bene.
Egli infatti rammenta benissimo, come d'altronde capita a me e a quasi tutti quelli che hanno superato i cinquanta, di quanto era inferiore il nostro tenore di vita, o forse meglio il complesso di beni di consumo e desideri, rispetto a quello degli adolescenti di oggi (ma già dei nostri fratelli minori teenager negli anni 80) e come ciò non ci ha impedito di essere a suo tempo felici e insieme capaci di apprezzare le cose come invece i ragazzi dai nostri fratellini in poi non lo sono stati più. Per cui ritiene che tutto sommato non sia proprio del tutto un male, per loro e per il mondo, che i nostri figli debbano imparare a vivere "con meno".
Mentre parla, penso che è difficile dargli torto. Ma mentre con cervello bocca e cuore gli do ragione, dentro di me qualcosa suona dissonante rispetto a questo concerto di consenso, qualcosa che non riesco subito a identificare. Da impasse così se ne esce solo, e forse, scrivendone, ed eccomi qui che mentre lo faccio riesco a mettere a fuoco questi campanelli stonati, e sono un fattore relativo e uno assoluto.
Il primo. Il presente di un quindicenne di oggi forse sarà ancora, e forse ancora con margine sufficiente a far si che lo resti ancora per un po', oggettivamente molto migliore di quello di un quindicenne di quarant'anni fa, tanto che quest'ultimo portato con la DeLorean nel 2016 crederebbe di essere arrivato nel Paese di Bengodi, e viceversa il primo nel 1976 impazzirebbe anche solo per essere offline, per non parlare degli abiti. Ma la macchina del tempo non esiste, e la bestia sociale uomo è felice o meno in rapporto al suo branco di riferimento, in ogni tempo: quindi il confronto tra "presenti", ammesso che ci desse perdenti, non ha senso. La spiegazione è altrove: è che noi, rispetto ai ragazzi di oggi, avevamo una cosa nettamente e oggettivamente migliore. Il futuro. Che non è ciò che poi si è realizzato o si realizzerà, è ciò che noi credevamo si sarebbe realizzato, ciò che potevamo sognare e magari tentare di costruire. E' qui, a futuro interiore, che i nostri discendenti stanno messi davvero male.
Il secondo. Quando tu hai poco ma sai che se imbocchi un certo percorso avrai di più, ciò costituisce per te un forte incentivo per imboccarlo. Quando tu hai lo stesso "poco", ma direi anche oggettivamente di più, e però invece sai che non esiste un percorso in grado di farti crescere, sei viceversa spinto all'inerzia. Figurarsi se poi questa inerzia viene incentivata per comodità, usando i media e la tecnologia, da chi ha interesse a farti pecora. Il punto è, però, che scendendo sotto un certo livello il benessere materiale intacca oggettivamente quello spirituale. In altri termini, non è che se si decresce fino a dare ai ragazzi di oggi niente di più di quello che avevamo noi, loro oggi diventano come noi allora. No, perché bisognerebbe dargli anche le nostre speranze, e questo è impossibile. Senza di quelle, la povertà relativa o assoluta che sia ti toglie ogni spinta a crearti o mantenere un sistema di valori purchessia. O, peggio, ti spinge ad adottare quello del primo che ti dà una qualunque prospettiva: ci siamo già passati, in Europa, ed è in questo humus che attecchisce ogni fondamentalismo.
Quindi, amico mio, il tuo è romanticismo, purtroppo. La decrescita economica per i ragazzi di oggi non comporterà un recupero sul piano dei valori, semmai esattamente il contrario: se tutti alla fine dovranno campare con un reddito da cinesi quando va bene sennò africani, lavorando come schiavi, tutti faranno a meno di leggere, lottare per i propri diritti, rispettare quelli altrui. Lo spirito si può elevare solo quando si è liberi dal bisogno. E se il 99% della popolazione è portato e tenuto al limite della sussistenza, non stupiamoci se in questo bacino predomineranno l'ignoranza, il razzismo, l'oscurantismo religioso, eccetera. E immaginare che tutto ciò sia frutto di una strategia ben precisa (o almeno di tendenze sistemiche del capitalismo che il socialismo si era assunto il compito storico di contrastare e ora infatti agiscono incontrastate), non è dietrologia o complottismo, è solo deduzione logica: la democrazia, la coscienza dei propri diritti, la consapevolezza culturale, eccetera, sarebbero (state) un ostacolo, meglio che i nuovi poveri abbiano sempre l'ultimo smartphone anziché questo patrimonio valoriale capace di elevare potenzialmente ciascuno di loro.
Se quindi la decrescita è un destino ineluttabile, è compito nostro, dell'ultima generazione cresciuta con aspettative crescenti, fare tutto il possibile perché essa non implichi la barbarie. Barbaro, non dimentichiamolo, etimologicamente sta per balbuziente: è così che gli antichi greci indicavano chi venendo da fuori non era in grado di parlare fluentemente la loro lingua. Per cui nostro compito è parlare ai nostri figli, e insegnargli a parlare, quella lingua il cui alfabeto è diritti (alla salute, all'istruzione, al lavoro, alla pensione, alla casa, eccetera), cultura, tolleranza, e soprattutto condizioni economiche minime perché tutto ciò possa sussistere. Solo se l'Europa, e se questa rinuncia (come con l'Euro di fatto è avvenuto) almeno l'Italia, tiene viva questa lingua, essa si continuerà a parlare nel mondo che verrà.

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