mercoledì 20 gennaio 2021

YOSS 4: TROPPO TARDI?

Quando la nostra Costituzione era ancora fresca, quasi quasi veniva da crederci, che l'Italia era impegnata a rimuovere tutti gli ostacoli all'uguaglianza di fatto tra i suoi cittadini, come prescriveva l'articolo 3. Anche perché poteva capitare di accendere la TV e trovarvi un tipo bonario e originale che, in un programma dal titolo che non si sa più bene se era già un proverbio o lo è diventato grazie ad esso, cercava di alfabetizzare una platea di cittadini che l'italiano lo parlavano al massimo come lingua straniera, quella natìa restando i dialetti. Se sia stato più merito suo oppure di Mike Bongiorno poco importa, più interessante è ricordare che con l'era televisiva berlusconiana il processo si invertì, avviando il Paese verso quell'analfabetismo di ritorno il cui completamento è stato compito degli smartphone e della comunicazione via social: giusto in tempo per poter instaurare una dittatura con la scusa di un virus, se si pensa che senza il 4G sarebbe stato impossibile tenere la gente reclusa in casa (d'altronde senza reclusione forse non si spalancherebbero le porte al 5G liquidando come complottismo le perplessità senza nemmeno un minimo approfondire) e senza semplificazione del pensiero non sarebbe facile imporre narrazioni propagandistiche. La storia di questa rimpianta trasmissione televisiva e del suo straordinario conduttore ce la racconta Pasbas in soggettiva, con un taglio così evidentemente letterario che d'autorità la rubrico come "short story", iscrivendola all'apposita e un po' dimenticata rubrica YOSS. Buona lettura. E poi buon ascolto, perché l'argomento mi da l'occasione per riproporvi un'altra perla dimenticata di Claudio Lolli, che trovate in fondo.


Non è mai troppo tardi

di Pasbas

Dovete credermi, mamma mi diceva sempre “Alberto c’è la guerra e vuoi prendere due diplomi? Ma pensa a salvarti la vita piuttosto." Certo tutto sano di mente non ero né sono mai stato, tant’è che entro in marina nel ’43 e intanto ero iscritto a scienze naturali alla Sapienza. Faccio parte prima dei sommergibilisti e poi del Battaglione S. Marco, insieme con gli alleati.

In Rai pensate ci sono entrato per puro caso: “Direttore perché mi manda a fare questo inutile provino?” e lui “vai vai caro Alberto che qui di gatte da pelare ne ho già abbastanza”. Dopo una lunga attesa mi chiama il regista e mi chiede “vorrebbe fare un programma Rai nella qualità di maestro?”. Ci penso su e rispondo che si lo farei ma utilizzando il mio metodo d’insegnamento e null’altro, e tranquillamente mi avvio all’uscita; ma una voce quasi gridata esclama “fermatelo: è lui il prescelto, mandate a casa gli altri candidati!". E fu così che la Rai mi assunse, era il 1960, bei tempi.

Cavolo, e pensare che avevo iniziato la mia carriera all'Istituto di Rieducazione e Pena per minori ”Aristide Gabelli“ di Roma. E lì, appena arrivato, i ragazzi detenuti mi sfidano ad uno strano gioco: il capo mi dice “se vinci provi a insegnarci qualcosina, se vinco io ti siedi all’ultimo banco e per quattr’ore leggi ogni giorno il giornale”. E quale era la gara lo volete sapere? prenderci a cazzotti finché uno dei due cadeva a terra; ovviamente, ben preparato dalla attività militare, lo stesi in poco tempo e divenni così il loro capo, riconosciuto anche dal povero malcapitato.

Viaggiai in Sudamerica per insegnare ai nativi; negli anni ’50 avevo preso due lauree, una in pedagogia e l’altra in psicologia; mia madre sempre più preoccupata “figlio mio pensa a farti una posizione, cosa ci fai con questi pezzi di carta?”. Nell’ambiente della scuola molti mi ricordano per la frase detta al giudice che mi chiedeva di scrivere questi benedetti giudizi, altrimenti mi sarebbero capitati guai seri. La mia risposta? “D’accordo darò valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro; il giudizio sarà 'fa quel che può, quel che non può non fa'. Lo darò usando un timbro apposito” e lui di rimando “ma non può dare giudizi agli alunni usando un timbro, non è accettabile!”. “Bene allora non c'è problema, posso scriverlo anche a penna”. Che volete, nessuno può stravolgere la propria natura. Chi sono? Scusate se non mi sono presentato, il mio nome è Alberto Manzi, il maestro Manzi.

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