giovedì 7 aprile 2011

ABBATTI QUEL MURO



Ho una fotocamera digitale da poche decine di euro, non una videocamera nemmeno amatoriale: otto minuti di filmato mi consente, scelgo l'inizio e la fine, e vi racconto quello che c'è stato in mezzo. Ma non la cronaca del concerto (per quella leggetevi questo pezzo, io non potrei fare di meglio): le cose che venivano a riempirti l'anima la sera del 4 aprile 2011 ad Assago, Milano.
L'animo ancora tormentato di un quasi settantenne che quasi trent'anni fa scelse di abbandonare un carrozzone miliardario (e va beh, se lo poteva permettere, ma quanti fanno l'esatto opposto, e continuano a vendere l'icona di se stessi con l'unico scopo di moltiplicare gli introiti!...) per la coerenza di una carriera solista che dal 1984 ad oggi ha prodotto appena tre album di inediti più un'opera sulla rivoluzione francese, roba misconosciuta salvo che ai fan strettissimi e tutto sommato di livello non eccelso, con poche eccezioni. Uno che però già quarant'anni fa avvertiva sulla sua pelle la contraddizione di essere il leader idolatrato di una band dinosaurica, tanto da concepire il suo canto del cigno in questo The Wall che alla fine l'ha uccisa, col colpo di grazia rappresentato da quel The final cut che di fatto è il suo primo disco da solista e non piace ai pinkfloydiani puri (ma a me si: ne conosco a memoria quasi tutti i pezzi, eppoi i puri e duri non amano nemmeno The wall). Uno che mentre gli altri tre scempiavano Venezia e Cinecittà per riproporre il simulacro di loro stessi, aiutati da due album di inediti quelli si decisamente imbarazzanti (A momentary lapse of reason e The division bell stanno ai Pink Floyd come gli Audio2 a Mogol/Battisti), si continuava a contorcere nelle sue ossessioni producendo la sua cosa migliore in una colonna sonora di un film piccolissimo a cartoni animati: When the wind blows, argomento la follia nucleare (c'erano gli Scud e gli Euromissili, ma quant'è attuale oggi!...). Uno che poteva continuare a rappresentare il suo "Natale in casa Cupiello" senza soluzione di continuità, e invece giurò di non inscenarlo più fino alla caduta del Muro di Berlino, non immaginando di doverlo fare così presto e in quella occasione organizzando un evento memorabile, e poi basta fino a quando non si trovò dalle parti del nuovo Muro, quello eretto in Palestina, alla vista del quale annullò un concerto a Tel Aviv spostandolo in una comunità agricola interreligiosa (la cosa è raccontata in questa lettera autografa dal titolo "dove i governi si rifiutano di agire, deve farlo la gente") e pensò che era ora di riportarlo in giro. Insomma uno che ancora ci crede, 'sto Roger Waters.
E allora eccolo che ci delizia per due ore e passa di canzoni che conosciamo tutti e meraviglie per gli occhi e il cuore, in cima a tutte:
  • gli aerei che sganciano bombe a forma di croci, stelle di David, mezzelune, falci-e-martello, dollari, conchiglie della Shell e stelle della Mercedes;
  • le foto con scheda biografica dei caduti di tutte le guerre a campeggiare a rotazione per tutto l'intervallo sul muro finito;
  • la bellissima versione stiracchiata di Bring the boys back home con le immagini sovrastate dalle parole scritte di un noto aforisma di Eisenhower:
    «Ogni ordigno prodotto, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato significa un furto ai danni di coloro che sono affamati e non sono nutriti, di coloro che sono nudi ed hanno freddo.».
Anche se il mio momento preferito, amplificato in questa release grazie alla trasformazione dell'intero muro in un enorme e multiplo teleschermo che va in frantumi, è quando Pink prima di Another brick in the wall part 3 distrugge urlando il televisore. Che è ciò che ci ha trasformati nelle bestie che avallano i misfatti del Potere, rinchiusi ciascuno di noi nel nostro muro personale per non vedere quello che altrimenti sarebbe evidente quanto intollerabile: che siamo noi i cattivi e che stiamo distruggendo il mondo.

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