mercoledì 22 maggio 2013

NON MI SOMIGLIA PE NIENTE

Mettete degli adolescenti a guardare Il capo dei capi, spiateli,
e osservate per chi fanno il tifo. Poi notate su che canale siete.
Su Cadoinpiedi oggi c'é Oliviero Beha che chiede agli elettori di Berlusconi, dati addirittura in crescita da sondaggi forse compiacenti, come fanno ancora a votarlo malgrado tutto. Credo che sia una domanda retorica, perché Beha è troppo intelligente per non sapere la risposta: chi vota Berlusconi non lo fa nonostante sia quello che è (intrallazzista, contiguo alla mafia, bugiardo, puttaniere, evasore, eccetera), ma proprio perché è quello che è. Come dimostrano i testi sacri, infatti, gli uomini si creano il proprio dio/padre a immagine e somiglianza di se stessi, o almeno di quello che vorrebbero essere. Chi si affanna a dimostrare logicamente o comprovare empiricamente le colpe del cavaliere, dunque, deve sapere che la sua fatica è al minimo inutile, perché i suoi argomenti possono essere recepiti solo da persone che decidono sulla base di un'analisi razionale quindi già probabilmente non (o non più) berlusconiane, e magari controproducente, perché alle orecchie di quelli che invece decidono per altre logiche la dimostrazione di colpevolezza non fa che accrescere il fascino del divo Silvio. Non c'è niente di male, si intende, a continuare ad argomentare, purché siamo consapevoli che ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi.
Ora, siccome però ogni religione ha i suoi riti, e alcuni vanno cantati e suonati per essere celebrati, eccoci alle soglie del primo dell'accoppiata di anniversari, che quest'anno celebriamo per la ventunesima volta, del martirio dei maggiori dei santi laici del culto della legalità. Prego, fedeli: in piedi, in alto i cuori, in mano l'innario, che il 23 maggio è la ricorrenza dell'attentatuni.
I più curiosi e attivi, volendo, possono scaricare qui e leggere con calma come e perché l'efferato atto di guerra (perché tale può definirsi, a partire dal tipo di esplosivo usato) con cui fu ucciso il giudice Falcone con  moglie e scorta sia da considerarsi come il suggello di un vero e proprio colpo di Stato. Ma per capirlo bene occorre prima riflettere bene su cos'è questa cavolo di Mafia, e da dove deriva una fama capace di fare assurgere il termine ad antonomasia di "criminalità organizzata".
In effetti se ci pensiamo bene non è che le varie mafie italiane, a caratterizzazione talmente regionale da potersi dire che hanno inventato loro - da sud - il federalismo, siano particolarmente più efferate di quelle appartenenti ad altre tradizioni, e magari nemmeno più pervasive, almeno a fidarsi di quello che sentiamo dire di quelle cinese, giapponese, russa, statunitense o colombiana, e immagino sia lo stesso che so per quella brasiliana, filippina, slava, o turca. Qual'è allora questo tratto distintivo? La criminalità organizzata si può dire che a un livello fisiologico più o meno elevato esiste ovunque, nei Paesi democratici come in quelli autoritari, in quelli cosiddetti sviluppati come in quelli in via di sviluppo o peggio. In questa tabella a doppia entrata, ecco il punto, l'Italia è l'unico Paese sviluppato a democrazia avanzata in cui la criminalità organizzata sia così patologicamente intrecciata con il potere politico ed economico ai più alti livelli. Questa cosa, se accade in altre democrazie, è all'interno di limiti decisamente più accettabili, e dove invece la situazione è simile alla nostra non si tratta di Paesi sedicenti sviluppati e democratici come il nostro.
Quando si dice essere originali ad ogni costo...
Si vede bene, allora, che la questione della "trattativa tra Stato e Mafia" travalica ampiamente la figura politica di un Berlusconi. Che è stato probabilmente solo lo strumento utilizzato per il cambio di registro, dal momento che gli equilibri precedenti, sorti con l'occupazione americana (che notoriamente utilizzò Cosa nostra come testa di ponte) e perfezionati con la dottrina Andreotti tanto da reggere 40 anni, erano stati travolti a valle della caduta degli equilibri internazionali conseguente a quella del blocco sovietico. La democrazia è sempre stata un concetto ideologico, cioè una rappresentazione falsata della realtà a fregare chi ci crede, laddove la realtà e il Potere detenuto dai pochi ai danni dei molti (era lo stesso per il Socialismo reale, beninteso...). Ma in Italia questa verità implica, tra le altre cose, che se ad esempio un magistrato crede davvero alla legalità come precondizione per il funzionamento della democrazia, al punto da fare della lotta alla mafia la sua ragione di vita, nello scontro tra l'ideale (ideologico) in cui crede e la realtà del Potere quella vita rischi di perderla.
Questo è ciò che ha fregato Giovanni Falcone, prima che il 23 maggio di 21 anni fa un dito sul telecomando sancisse la cosa. Questo è ciò che aveva capito Paolo Borsellino, tentando persino di spiegarlo a vari livelli istituzionali e comunicazionali e forse scrivendolo nella sua agenda rossa, nei pochi giorni che separarono quella data dal suo appuntamento analogo, il 19 luglio. A noi non resta ormai che satireggiarci sopra, alle uscite senza pudore di gente che vuole apertamente smontare quel poco che resta in piedi del lavoro di questi due eroi. Perché anche piangerli ancora è come prenderli in giro, così diversi com'erano dal Paese che amavano al punto che si può dire, come sempre accade per chi ama davvero, che amassero una loro rappresentazione personale e non il Paese reale, che non gli somiglia per niente.

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