giovedì 12 marzo 2020

RADIOCIXD 14: NERO A METÀ

Le parabole artistiche sono molto diverse l'una dall'altra: c'è chi parte con un capolavoro e non si ripete più, chi continua a crescere per tutta la carriera, chi fa alti e bassi tutta la vita, chi ripete se stesso per sfruttare il più possibile il perduto estro giovanile, chi ha invece il coraggio di abbandonare una strada redditizia per sperimentare, chi dopo un disco o due di immaturo rodaggio trova la sua chiave espressiva.
La curva di Pino Daniele è sui generis: il vertice lo tocca subito, ma lo mantiene almeno per sette anni, in cui sforna un capolavoro dietro l'altro. Il resto della carriera è controverso: per alcuni è troppo commerciale, per altri troppo italiano, per altri ancora troppo "methenyzzante"; l'unica cosa certa è che non ha mai smesso di migliorare nel suonare la chitarra. Ma dover scegliere uno dei primi album come prima recensione di questa rubrica che lo riguardi, è dura davvero. Me la cavo come al solito ricorrendo al privato: nel 1981 facevo il quinto liceo, e alla "gita d'istruzione", sul treno da Reggio a Firenze, io e i miei amici abbiamo passato ore a cantare a squarciagola, con Sergio alla chitarra, le canzoni di Pino Daniele, e soprattutto dell'allora ultimo LP.
Come i due album precedenti, Nero a metà è composto per intero di canzoni memorabili, e infatti le so ancora tutte a memoria, e so di essere in nutrita compagnia. Forse, rispetto soprattutto al disco d'esordio, non c'è più la dirompente novità. Ma se quello era stato uno squarcio nella scena musicale italiana, e questo invece la trova già pronta, il merito è soprattutto suo. D'altro canto, questa terza prova non risente assolutamente di cali dì ispirazione, in più offrendo qualche grado di maturità artistica in più e qualche ingenuità in meno.
Il livello è talmente alto da reggere alle perfezione persino allo sfottò: si ascolta quello amorevole ma spietato di Lillo e Greg al loro meglio, si ride (probabilmente ne rise anche Pino) di gusto, ma poi si rimette sul piatto il vinile per riascoltarlo per la milionesima volta.
Questo è il link alla playlist completa (la versione originale, perché i remix degli anni duemila hanno tolto qualcosa, fidatevi), i miei commenti pezzo per pezzo li faccio lo stesso, ma brevi: so già che per molti di voi sono superflui.

1. I Say i' sto ccà
Fin dal titolo è il manifesto della pinodanielità: mezzo americano mezzo napoletano. D'altronde il disco è dedicato a un "nero a metà" vero, Mario Musella, e dentro ce ne suona un altro, nei cui Napoli centrale peraltro Pino aveva iniziato: James Senese...
2. Musica musica
Un testo che è un manifesto, su una musica che già dal vinile si capiva cosa sarebbe diventata nelle esecuzioni live: se con la precedente non si poteva non urlare a "cu tutte stu burdell ca ce stà" qui non si può non farlo a "è tutto quel che ho..."
3. Quanno chiove
La conoscete tutti. Ed è una delle ragioni per cui fuggo dai karaoke: prima o poi arriva qualcuno che la vuole cantare... Ma è solo mia. E ciascuno di voi pensa la stessa cosa, legittimamente.
4. Puozze passà nu guaio
Le espressioni dialettali sono da manuale, come pure il loro essere a tratti inframezzate da brani in italiano, come capita a tutti noi che parliamo dialetto quando ci incavoliamo. Ma la chitarra sotto, quella l'hanno capita in tutto il mondo...
5. Voglio di più
Non ho trovato evidenze in Rete, ma mi pare di ricordare che questo brano lo cantò prima la Bertè. E' un lento struggente, anche questo da cantare, e infatti tutte le volte cantato, a squarciagola, con effetto catartico.
6. Appocundria
Prima ho parlato di dialetto: scusatemi. La lingua napoletana, qui si presenta con un falso sinonimo: non ipocondria, ma noia esistenziale... No, non è preciso, tocca sentire la canzone, che lo spiega così bene che scopro sia andata (giustamente) a finire nella Treccani!
7. A me me piace 'o blues
Vale quanto detto sopra sia per il mix italiano/napoletano, che per l'impossibilità di non urlarla tutta a squarciagola quando l'ascoltavi dal vivo. 
8. E so cuntento 'e stà
Siamo sui livelli di Quando chiove, e di Putesse essere allero del disco precedente. Qualcuno potrebbe dire che se non parlasse così bene d'amore non sarebbe napoletano...
9. Nun me scuccià
A proposito di canzoni catartiche, questa mi è capitata anche di farla coi Ristrittizzi, per cui posso affermare a ragion veduta che fa effetto pure da questa parte del palco. A che serve stà accussì....
10. Alleria
E qui sale la voglia di gridare, saglie a voglia 'e alluccà. Come quasi mai capita di solito con canzoni così lente. Forse è il vero gioiellino dell'album. 
11. A testa in giù
Questa invece è la title-track, o quasi: è il brano che contiene il testo che dà il titolo all'album. Ma che vuoooo cchiù?
12. Sotto 'o sole
Sembra quasi un'appendice, ma contiene già i semi di quello che diventerà Pino da grande: un chitarrista latin jazz di livello mondiale, qui su base samba. Con quattro versi quattro, ma lapidari, e in più di un senso: Pino maledizione non c'è più, e saglie sulamente a voglia 'e jastemmà, e nun ne parlamme chhiù!

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