mercoledì 8 aprile 2020

I WENT DOWN TO THE CROSSROAD

Trattandosi di epoca alquanto remota, il disco raccoglie tutte
e 29 le registrazioni esistenti di questo pioniere (l'ho letto qui)
Come forse qualcuno di voi si sarà accorto, e se no andateci a guardare, lo scorso post è uno dei pochi di questo blog ad avere ricevuto commenti. Gli è che Pasbas, come forse si intuisce dal nickname, suona, e siccome se io ci ho una certa lui ci ha una certa e un tot, le sue radici musicali affondano un po' più in la delle mie, che già sembrano astruse ai quarantenni di oggi figurarsi ai ragazzi, meno male che non dovrebbero rappresentare una quota significativa dei miei lettori. La cosa mi ha intrigato, e visto che lui giustamente ha ricordato che Zucchero col blues non c'entra una beneamata ceppa (e perché, io che avevo detto? vabbè...), mi sono fatto mandare un suo pezzullo sul blues, che non metto in radiocixd se non in tag, ma pubblico molto volentieri, sottotitolo "da Blue's al Blues". E occhio che c'è da imparare...
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I went down to the Crossroad, fell down on my knees”. Questo è l’incipit di uno degli standard blues più famosi, scritto ed eseguito da quello che si può considerare il più grande bluesman degli anni della Grande Depressione negli USA: Robert Johnson, nato a Hazelhurst, Mississippi, l'8 Marzo 1911.
R. Johnson - The complete recordings” rappresenta una delle più belle ed emozionanti raccolte relative al blues di quegli anni, musica esclusivamente nera tanto sconosciuta ai bianchi del nord quanto odiata dai bianchi razzisti del sud. Tra le composizioni più belle e note (assolutamente da ascoltare nella sua versione, voce chitarra e ‘tap’ del piede quale percussioni) cito:


Per tutti coloro, me compreso, che hanno ascoltato per anni e con passione i vari gruppi bianchi britannici e statunitensi quali Allman Brothers, Canned Heat, Derek and the Dominos, Cream, Led Zeppelin e chitarristi del calibro di Jeff Beck, Eric Clapton, Keith Richard, Jimmy Page e via elencando: bene, buona parte di quello che hanno suonato e registrato negli anni 60/70, facendo soldi a palate (i bianchi), proviene dall'immenso patrimonio culturale degli afroamericani. E cosa dire dell’unica vera band di R&R, che dai primi anni ’60 ad ora ancora registra sold out in ogni concerto? I mitici e inossidabili Rolling Stones. Beh, cominciamo dal nome della band: esso proviene da un famoso pezzo blues della Chicago electric blues era, anni ’50 e ’60. E più precisamente Rollin’ Stone del grandissimo Muddy Waters: si proprio così, lui che fu uno dei primi maestri della band britannica e quello che gli donò il nome, battezzandoli re della british invasion. Loro hanno però sempre riconosciuto il valore etnico-musicale del blues e con Clapton e altri hanno promosso molti tour europei dei musicisti neri più in voga in quegli anni.
I tanti bravi e bravissimi bianchi avventuratisi su questo fangosissimo (muddy, appunto) terreno, tutto feeling pancia scale blues e corde vocali distrutte da fumo e alcol, non hanno mai potuto comunicare le sensazioni di allegria sfrenata, tristezza e anche disperazione che gli afroamericani hanno comunicato con la loro musica che viene da lontano, dall'Africa delle grandi deportazioni di schiavi verso le Americhe. Loro, i neri, descrivono l’insieme di queste sensazioni anche contrastanti con la frase “I feel blue”. Ascoltare Key to the Highway nella versione live dell’autore Big Bill Broonzy e poi in quella del bianco Eric Clapton, uno dei più bravi (tra i bianchi), questo è il miglior modo per apprezzare le differenze e comprendere il solco che separa il blues del colored da quello del white. Altro consiglio di ascolto a confronto: la divertente ed esplosiva (ottimamente orchestrata) Sweet Home Chicago eseguita dai Blues Brothers nell'omonimo esilarante film e quella della versione di R. Johnson linkata nell'elenco più su. Può essere plausibile pensare che Dan Akroid e John Belushi siano nati e cresciuti nelle bidonville del profondo Sud e che abbiamo mai raccolto cotone cantando work songs? O che il grande sessionman bassista bianco Donald Duck Dann, onnipresente nelle registrazioni e nei concerti di R&R di tanti artisti, sia mai vissuto o solo entrato nel ghetto di Hazlehurst? Per dirla con McKinley Morganfield (aka Muddy Waters) “the Blues had a babe and they named it Rock & Roll".

P.S.: senza la minima intenzione di offendere alcuno degli eventuali lettori: Zucchero? No grazie, neanche nel caffè!

P.P.S.: bianco per bianco, italiano per italiano, perché non ascoltare il grezzo ma pieno di feeling R&R italiano dei ’60?

Buon ascolto
Pasbas
Post-fazione
Robert imparò a suonare la chitarra da giovanissimo, suoi unici maestri la strada e alcuni bluesmen locali. Intorno ai 20 anni sparì completamente dalla sua città, dove ricomparve solo dopo alcuni anni senza aver dato alcuna notizia di sé. Sentendolo suonare allora, dopo tanto tempo di assenza dalle scene musicali del Delta, e rapiti dal suo stile originalissimo e trascinante, rigorosamente in compagnia soltanto di voce e chitarra acustica (entrambe le sue ovviamente), in quelle sale da ballo per colored rimasero tutti increduli e in balia del suo fascino musicale. A chi gli chiedeva come avesse fatto a diventare quel fenomeno che era diventato rispondeva così: “Una notte tornando a piedi verso casa dopo un lungo concerto, arrivai ad un incrocio sconosciuto, incerto sulla direzione da prendere. Mi fermai a riflettere mentre osservavo una splendida luna piena illuminare gli sterminati campi di cotone; ad un tratto mi sentii chiamare per nome, mi girai e vidi il Diavolo in persona! Senza dire altro e con fare deciso prese la mia chitarra, si sedette e cominciò a insegnarmi come suonare il Blues. Non sono mai più riuscito a ritrovare quel Crossroad, incrocio che mi ha cambiato per sempre la vita."

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