Il titolo di questo racconto evoca, forse non per caso, quello di una vecchia canzone del Maestrone, in cui un nonno mostra al nipote il paesaggio post disastro nucleare cercando di sovrapporgli a parole il paesaggio precedente, che il piccolo non ha mai visto. Ebbene, molti di voi ricorderanno come finisce la canzone: col bimbo che, affatato ma non convinto, risponde all'avo "mi piaccion le fiabe, raccontane altre".
Ecco, io vi invito a imitare PasBass, mandandomi in posta i vostri racconti. All'inizio, sarà un modo per sfangare il coprifuoco, ma poi magari ci prendete gusto e continuate. La rubrica si chiamerà YOSS, Your Own Short Stories, le vostre storie brevi, perché l'inglese negli acronimi è meno ridicolo dell'italiano, con cui ho forse dato il massimo per l'altra rubrica, RADIOCIXD.
Ogni racconto sarà introdotto da un mio breve corsivo, prometto più breve di questo primo, al termine del quale, a proposito di narrativa, vi ricorderò che ancora potete procurarvi il mio Sushi marina, e che chi lo ha per le mani può partecipare alla sfida a chi indovina per primo qual'è il nesso tra i titoli dei capitoli.
Ed ora, buona lettura, e poi fatevi sotto...
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Cerasari, "a faddha randi": da qualche parte anche quassù c'era una casupola. L'immagine è tratta dal sito dell'azienda agricola Tenuta Surace, visitatelo... |
La vecchia e il bambino
di PasBas“Ecco, ma cos'è? Ma si è una casetta bassa bassa, ai confini del bosco. La vedo in lontananza, di profilo che lavora, è tutta vestita di nero, lo stesso nero del bosco; ha un fazzoletto sul capo, con colori molto molto vivaci, direi sgargianti; come risaltano sul vestito nero, in questo primo sole primaverile! Sembra molto molto vecchia ma sicuramente in forma e piena di energie. Chi sa la sua vita come è stata, com'è e come sarà. Quasi quasi la chiamo e le chiedo aiuto, sono piccolo, capirà!”
E Piero, il piccolo Piero, si avvicina emozionato alla casupola. “Che tetto basso e che porta bassa, come farà la povera vecchina a vivere lì dentro? Io comunque mi avvicino, mi faccio vedere e la chiamo forte forte da qui, sono un piccolo bambino impaurito, sono sicuro che capirà.”
Così ragionando il piccolo Piero, il Piero piccolo e confuso ragionava; passo dopo passo, cautamente, una gamba avanti e l’altra dietro, percorre l’ultima parte del sentiero, si ferma e saluta sventolando il fiocco bianco che si è sfilato dal colletto del grembiule. E si perché come avrete capito, il nostro Piero è uno scolaro appena uscito dalla scuola col suo grembiule azzurro, il fiocco candido e profumato di bucato, la cartella a zaino regalo della tanto amata nonna e che tanto lo riama.
Preso di nuovo dallo sconforto, tra le lacrime che gli rigano il volto, tra sé e sé pensa: “dove sei adesso nonna cara, adesso che ho tanto bisogno di te, adesso che ho smarrito la strada di casa? Tu si che sapresti risolvere l’enigma che mi angoscia, hai sempre la soluzione per tutto tu!” La invoca e la cerca collo sguardo ma la dolce e affettuosa nonna è lontana, troppo lontana. Preso da una cupa angoscia grida forte verso la vecchietta la sua richiesta disperata d’aiuto; “ora si girerà verso di me – si dice – si girerà verso di me e mi farà segno di avvicinarmi e mi accoglierà nella sua casetta; c’è un bel sole ma ho tanto freddo, non capisco è come se fosse pieno inverno; ma dove sono? questo strano luogo mai visto, come ci sono finito?”
La vecchietta lascia l’aia e apre il cancello col solito grosso pulsante, ormai consunto dal tempo.Piero, il piccolo, supera il cancello e... “ma che accade? Tutto è cambiato! E i colori, quei colori?! Esistono gli alberi blu, i prati di questo rosa intenso e gli uccellini a strisce bianche e nere, esattamente come le zebre nei documentari? Davvero non capisco...”
Noi abbiamo lasciato la vecchina che armeggiava col pulsante, ma adesso esce dalla piccola nuvola (la porta) e torna ad occuparsi della legna.
“È primavera, a cosa le servirà tutta quella legna?” Ragiona così il piccolo Piero (il diminutivo Pierino sarebbe fuorviante, non trovate?) avanzando nel giardino in direzione della casupola dipinta con i colori dell’arcobaleno. La vecchina, sempre affaccendata con la legna, e dando le spalle al bimbo, con una voce calda e tenue lo accoglie così: “che succede piccolo mio, Piero ti sei forse perduto nel Bosco Nero?” “Si gentile signora – risponde – era tutto buio e tetro e ho smarrito la direzione di casa.” Poi il dubbio arriva: “come fa a conoscere il mio nome? E poi mi ha parlato stando di spalle... Ah ora si! Lei mi ricorda quella favola che papà mi raccontava sempre per farmi addormentare. Il titolo era... umh... forse ‘La piccola casa nel b...’ no no assolutamente no. Eh già. Ora ho capito, la memoria mi ha aiutato: ‘La vecchia e il bambino’".
Così ragionando Piero si rende conto, il bambino Piero – ma sarebbe più giusto dire: il Piero bambino, capirete perché – si rende conto che d’un colpo angoscia, paura ed ansia sono sparite. Guarda ancora la casa arcobaleno, la porta a forma di nuvola, immersa in un cielo di un azzurro così intenso da far girar la testa ed ecco il ricordo affiora, sempre più chiaro di fronte ai suoi occhi, proiettato come in un film,esattamente come il documentario sulle zebre! Ricorda improvvisamente la Gita, quella Gita bellissima e unica, quando la nonna lo condusse su in montagna, tra i verdi boschi a cercar funghi. Il colore del cielo, la forma incredibilmente bella di quella nuvola che osservava sdraiato su quella soffice erba. “Come è mai possibile? – pensava tra sé e sé – e poi quella voce morbida e melodiosa cosa chi mi ricorda?”
“Entra caro, scaldati al fuoco e rifocillati, senza cibo non si va lontano.” Ancora qualcosa di familiare, ma cosa? Quella ultima frase che suona come un proverbio dove l’ha già sentita? Apre la porta-nuvola e entra nella casetta, tutto pulito, tutto in perfetto ordine; “caspita somiglia alla casetta dei sette nani; i loro nomi... mmmhh... ah si, Eolo, Brontolo e poi il piccolino, quello con le orecchione... dai devo ricordarlo, devo. Ah, già Mongolo ecco il nome, no no non così... Mamma aiutami, Mammalo ecco il nome... no no, quasi, ma è diverso. Mammolo, siii, è lui! E gli altri quattro? Non riesco a ricordare". Il Piero piccolo sorride, certo papà glielo diceva spesso “invecchiando la memoria si indebolisce .vedrai!” Ma lui non è certo vecchio, ha solo 9 anni.
Così ragionando prende dal fuoco la minestra calda e profumata e la versa nella ciotola di legno d’ulivo. Prende il pane dalla madia, profuma ed è ancora caldo. È davvero affamato, mangia avidamente ma...ancora quella vocina: “Mi raccomando mangia tutto, in Africa i bimbi come te muoiono di fame. Ricorda il cibo non va mai sciupato!” Quella voce, quelle frasi che somigliano a proverbi antichi, fuori dal tempo, dove li ha già uditi?
Pian piano i pensieri si appannano, svaniscono e sazio e sereno si addormenta sulla piccola sedia. “Quanto tempo è trascorso, un’ora forse due, un giorno, non so. So solo che devo correre a casa, mamma e papà saranno in ansia; chiederò la strada alla vecchina.” Esce e la chiama più volte, e niente! Dove sarà andata? Il bosco, ricordate vero quella selva spaventosa e oscura, quasi dantesca, nella quale Piero si è smarrito? Bene, il Bosco Nero è sparito di colpo, non è più lì eppure... ma ecco appare la strada di casa, larga e rassicurante. “Cosa sta accadendo, dove mi trovo?” D’istinto si gira indietro: “la casupola dov'è, dov'è finita?” urla, vuole capire, vuole sapere.
La nuvola! È esattamente la nuvola che aveva visto prima sulla porta; quella c’è ancora, al centro una piccola e fragile figura: ne è certo, si tratta della vecchina che lo ha accolto. Questa volta lei si gira lentamente e... noo non può essere, è la cara nonna! Allora risente quei profumi delicati e familiari, adesso li può identificare e poi quel tepore così magico da scaldare il cuore. “Caro Piero sono venuta per aiutarti, ho sentito le tue richieste disperate e sono accorsa; piccolo Piero io ero qui accanto a te ma eri troppo scosso e agitato per riconoscermi. Mi raccomando caro, non ti perdere ancora è molto, molto pericoloso! Ti mando un bacio e ti prego, segui sempre la direzione che il tuo cuore ti indica. Ti amo nipote mio, con te e solo grazie a te ho capito cosa voglia dire felicità. Ogni volta che avrai bisogno io sarò lì accanto a te, non avere paura. Addio”. Corre verso la nonna il piccolo Piero (o forse sarebbe più giusto dire, Piero il piccolo?!), ma la fragile figura sta pian piano svanendo; quando la raggiunge è scomparsa, resta solo la nuvola nel cielo di un azzurro intenso, tanto intenso da far girare la testa.
Piero si incammina verso casa chiedendosi se non stia sognando, ragiona e rimette in ordine i fatti accaduti, uno dietro l’altro come perle nella preziosa collana del tempo. “Ma si, è stato un sogno, cos'altro sennò?”
Sulla strada del ritorno, la strada che conosce così bene, c’è adesso una sbarra mai vista, di uno strano giallo. “Ah questa poi, qui fino a stamattina non c’era alcuna sbarra, cos'è uno scherzo forse? E poi il metallo brilla come fosse d’oro – si avvicina ancora – ma è, d’oro! Oro, legno, ferro io comunque devo superarla in un modo o nell'altro, devo tornare da papà e mamma, saranno in pensiero”. Adesso ha paura, non sa cosa l’attenda al di là dell’insolito ostacolo, il sole si è già abbassato sotto l’orizzonte e sta anche per diventare buio. Facendo appello a tutto il suo coraggio, lancia la cartella oltre la sbarra e la supera quasi strisciando. La tensione, le intense emozioni della giornata, la stanchezza accumulata gli procurano un crescente torpore; prosegue per un po' ma è esausto, è costretto a fermarsi sotto una grande quercia, compagna di giochi sua e dei suoi amichetti di scuola. È esattamente lì sotto che si fermava a pensare e fantasticare in giornate con un cielo azzurro così intenso come oggi. Così rassicurato dalla grande e accogliente pianta, si accovaccia vicino al tronco di questa grande mamma-quercia, poggia la testa su una grossa radice affiorante e si addormenta profondamente.
Sognando (?) riconosce la sua cameretta ma con colori e mobili assai diversi, direbbe ‘da grandi’, una luce abbagliante che filtra dal finestrone. C’è un uomo giovane e ben vestito, seduto alla sua scrivania (questa si è rimasta la stessa) e che scrive qualcosa su un quaderno a righe, scrive continuamente senza fermarsi ma il foglio continua a rimanere bianco! Piero si sforza di leggere la prima riga, l’unica con caratteri leggibili e capisce che si tratta del titolo: “La vita”. Il giovane continua a scrivere ma il foglio rimane bianco, sempre bianco. L’uomo all'improvviso, sognando ad occhi aperti, vede l’immagine di una casetta ai margini del bosco; tenta di catturare questa immagine descrivendola sul foglio ma niente, il foglio continua a rimanere bianco, invariabilmente bianco, solo il titolo, sempre lo stesso titolo: “La vita”. Si trova allora a camminare verso la sbarra d’oro quando si imbatte in qualcosa di familiare, una cartella di cuoio che gli sembra di riconoscere, apparentemente abbandonata sul ciglio della strada.
Ecco che, accanto al tronco della grande mamma-quercia scorge un bimbo addormentato che sorride soddisfatto nel sonno. “Chissà cosa avrà da sorridere e cosa stia sognando il piccolo Piero? Ma perché lo chiamo così se neanche lo conosco?” si chiede, mentre si avvicina mezzo addormentato. “Chissà che il bimbo non stia fantasticando sulla sua vita, ma credo che ci sia solo un titolo sul foglio bianco che sta riempendo nel sogno, immagino qualcosa come 'La vita'”.
Ad un tratto il suono del cellulare fa trasalire Piero che, ancora scosso ed emozionato per il sogno (?) ad occhi aperti cerca di far tacere quel ben-mal-edetto cellulare che, come ogni giorno, cade sul pavimento ronzando come un minaccioso calabrone impazzito. È iniziata così un’altra giornata come tante, accenderà il fornello sotto la Bialetti tre tazze, farà le sue solite abluzioni mattutine e si vestirà; berrà poi il caffè e mangerà due fette biscottate, bacerà i due gemellini Ludovica (il nome della cara nonna) e Marco e poi la moglie Lucia e quindi diritto al lavoro.
Ma uscendo dal portone ha un ripensamento, tira fuori la chiave, le due mandate per riaprire, di corsa verso la stanzetta dei gemellini, prende Ludovica tra le braccia e la bacia, la bacia come mai aveva fatto. Esce, richiude il portone di casa con due mandate e si avvia diritto al lavoro come ogni giorno, solo più pimpante e allegro, come non lo era stato da tempo. Una giornata come le altre, sempre la stessa da sempre ma...
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