Siete tanto scettici da non riuscire a concepire un posto così? Avete l’immaginario rovinato da anni di Visitors e alieni malintenzionati? Allora Il Pianeta Verde è il film che fa per voi. Non è una novità cinematografica – la pellicola è del 1996 – eppure il messaggio è attualissimo e vale la pena recuperarlo.
Sul Pianeta Verde, infatti, la natura è intatta; gli abitanti, del tutto simili a noi, non hanno bisogno di case e dormono fra l’erba. Le giornate sono scandite da bagni nel lago, da giochi che fortificano, dallo studio: lezioni di telepatia, di intuizione del futuro, di viaggi interstellari, di matematica dello spazio, di archeologia. Non ci sono gerarchie: il pianeta è governato da tutti e da nessuno. Una volta all’anno c’è un’assemblea coi delegati del pianeta che si ritrovano in cima a una montagna perché quando si cammina due ore in salita si è più intelligenti. In quell’occasione, si decidono quanti matrimoni fare e quanti bambini far nascere a seconda del raccolto; si ricordano quelli che non ci sono più, tutti morti felici e saggi oltre i 250 anni; si offrono cibo e servizi e, soprattutto, si decidono i viaggi: i pianeti sui quali andare per osservare, informarsi, studiarne l’evoluzione. Sono duecento anni che nessuno vuole andare sulla Terra. Del resto, lì non c’è niente da imparare, gli abitanti sono arretrati, il livello evolutivo è incredibilmente basso. Vi sono Paesi dove le donne portano un velo sul viso e non hanno diritto di guidare la macchina. Eh già, perchè - pensate - hanno ancora le automobili! Sono ancora in piena era industriale, quella che il Pianeta Verde ha vissuto tremila anni prima: un’epoca di competizione, contabilità, produzione in massa di oggetti inutili; la guerra, il nucleare, la distruzione della natura, le malattie senza rimedio. La preistoria, insomma. Inoltre, sulla Terra la gerarchia è in qualunque cosa: tutti si credono capi, gli uomini si credono superiori alle donne, la gente di città a quella di campagna, gli umani agli animali e alle piante. E poi ci sono le razze, specie umane molto diverse. Il giorno che si sono incontrate, le più degenerate si sono sentite superiori ed è stato un massacro. Adesso sono i degenerati che comandano.
Per queste ragioni anche durante l’ultima assemblea sembrano mancare i volontari, ma finalmente si offre Mila, la cui madre era una terrestre. Desiderosa di conoscere il pianeta materno, la donna arriva sulla Terra, nella Parigi di fine anni Novanta dove, grazie ai programmi di "sconnessione" di cui è dotata, riuscirà, semplicemente parlando, a mettere in moto il livello di coscienza delle persone che incontra. Queste sono tutte piuttosto sgarbate, corrono senza curarsi di niente e di nessuno; l’aria è inquinata, c’è tanto traffico e tutto è ricoperto di cemento e asfalto. Il mondo che Mila vede è un posto dove vivere è difficilissimo, dove si usa ancora la moneta senza la quale non si può avere nulla, neppure il cibo benché mangiare sia una necessità perché si muore, se non si mangia. Così, la donna si trova costretta più volte a dover usare la sconnessione – il sistema che fa avanzare più in fretta le persone - grazie alla quale assistiamo a scene davvero divertenti come quella dello stadio dove i calciatori, nel mezzo di una partita importante, smettono di inseguire la palla e iniziano a danzare tutti insieme, l’arbitro si mette a cantare ‘O sole mio e i due portieri prendono a baciarsi appassionatamente.
Anche i figli maggiori di Mila arrivano sulla Terra attratti da due ragazze viste telepaticamente in compagnia della loro madre ma, nel tentativo di raggiungerla, finiscono per errore nel deserto australiano dove incontrano gli aborigeni che vivono in questo Paese da 40.000 anni e non hanno rovinato assolutamente nulla qui, sono molto belli, tutti neri, hanno le nostre stesse medicine e il cibo è ottimo. E, inoltre, sono fortissimi in telepatia. Sono avanzati quanto noi.
Si chiarisce così ulteriormente il punto di vista degli abitanti del Pianeta Verde – punto di vista che diventa il nostro ed è questo il vero obiettivo della narrazione - per i quali ciò che noi consideriamo progresso è preistoria; il nostro presente è il loro passato, quello che hanno superato per arrivare allo stadio evolutivo avanzato in cui si trovano ora. Dopo l’era industriale, da noi ci sono stati i grandi processi. Chi fabbricava prodotti nocivi per la salute degli umani, degli animali e delle piante, è stato accusato di genocidio e crimini contro il pianeta: le industrie agroalimentari e chimiche, i fabbricanti di armi, tabacco e alcool, le industrie farmaceutiche e nucleari, i costruttori di automobili, gli architetti, i medici, e i politici che si erano arricchiti lasciando fare. E’ stata la guerra civile e poi il boicottaggio: tutto quello che era stato nocivo per la salute non si comprava più o si buttava. Fu l’arma vincente: senza vendite niente potere, l’esercito e la polizia erano impotenti… Quell’epoca fu chiamata “caos pre-rinascimento”.
La visione di questo film è un salto e un ritorno nel futuro arcaico. E’ la possibilità che ci viene offerta di guardare la Terra da lontano, con gli occhi di chi ha capito che la vera evoluzione non ha nulla a che fare con la nostra idea di progresso, che non è lo sfruttamento indiscriminato delle risorse, non è il dominio di un popolo su un altro popolo o degli uomini sulle donne, non è il petrolio che inquina il mare e distrugge le coste, non è l’arroganza di quanti si credono migliori solo perché sono nati e vivono in una parte di mondo industrializzato e ricco. E’ lo spunto per riflettere sulla condizione di quanti, convinti di essere dei privilegiati, sono in realtà da commiserare: poveri di spirito, incapaci di ascoltare, di esprimere sentimenti ed emozioni, vittime del proprio egoismo e della propria superbia, costretti a respirare, bere e mangiare veleni.
Non importa se la storia, seppure – o proprio perché - narrata con l’artificio della comicità, risulta a tratti inverosimile e un po’ ingenua. La sua forza sta nella capacità di non lasciarci indifferenti, di metterci davanti a interrogativi ai quali non si può più sfuggire: in che modo e in che mondo vogliamo vivere? Siamo certi che è solo dallo sviluppo industriale che possiamo ricavare il necessario per stare bene ed essere felici? Siamo disposti a valutare l’idea che per evolvere dobbiamo tornare a uno stadio primordiale del sentire e del vivere la vita nel pieno rispetto della natura e degli altri esseri viventi?
Forse è il caso di riflettere e se non siamo ancora convinti ricordiamoci delle parole di Orso in Piedi, uno degli ultimi capi indiani Sioux:
Quando l'ultimo alberoDopo aver visto questo film potrebbe persino capitarvi, intercettando una stella cadente, di ritrovarvi a canticchiare il vostro desiderio: “extra terrestre vienimi a cercare, voglio un pianeta su cui ricominciare…”
Sarà stato abbattuto,
L'ultimo fiume avvelenato,
L'ultimo pesce pescato,
L'ultimo animale libero ucciso,
Vi accorgerete
Che non si può mangiare il denaro
Gemma Serena
...E brava Gemma, sei andata a recuperare dalla cineteca questo film francese divertente e leggero (quasi un ossimoro), che non è piaciuto affatto a certa critica ma a me si: poter andare a vedere al cinema titoli che in altre città non arrivano è una delle ragioni per cui amo vivere a Roma. Perchè i film si vedono al cinema, punto e basta. Ma questo deve essere talmente fuori dai circuiti commerciali, ormai, che c'è in visione integrale su Google video, per cui credo sia da un lato legale e dall'altro opportuno farvelo vedere da qui. Godetevelo: vale la pena proprio per le riflessioni che attiva, come giustamente sottolinea Gemma che però chiude con un verso di Finardi estrapolato da un testo che finisce ben diversamente da come comincia, come vedrete se avrete la pazienza di leggervelo tutto o riascoltarvi il pezzo.
Questo per dirvi: andate in uno dei posti consigliati dagli esperti in una delle prossime notti o almeno nel posto vicino a voi più lontano dalle luci di città, a guardare le stelle sdraiati per terra, ma appunto mentre la vista è incantata dal firmamento non dimenticate di lasciare una parte dei vostri meccanismi dell'attenzione attivata sul tatto, a sentire dove avete poggiato il culo.
1 commento:
Un post bellissimo. Complimenti all'autrice! Mi sento di sottoscrivere dalla prima all'ultima riga, in particolare laddove si sottolinea che l'idea di progresso in un mondo retto da logiche di mercato è folle e caratteristica di un'epoca che forse un futuro più fortunato e più umano non esiterà a classificare come preistorica.
Un'ultima cosa. A differenza di Gino, non amo affatto vivere a Roma e ora che mi trovo in un agriturismo sperso tra le colline della Maremma provo ancora più struggente la nostalgia per una dimensione di vita non cittadina, per il contatto diretto con la natura. Oggi ho potuto mangiare dei fichi meravigliosi, che a Roma è assolutamente impossibile trovare. Qui la sera posso davvero stendermi a terra e vedere un cielo salvo dall'inquinamento luminoso, con miriadi di stelle visibili nitidamente non appena l'occhio si sia abituato all'oscurità. Si vede distintamente la striscia lattiginosa della Via Lattea (ecco un nome azzeccato...), si vedono le sette stelle del Carro che gli anglosassoni chiamano Big Dipper (il Grande Mestolo), si vede Arturo, si vede chiarissimo il Triangolo estivo formato da Vega, Deneb e Altair. Si vede la rossa Antares. Non voglio fare una lezione di astronomia: voglio solo ricordare che nessun cinema vale neanche lontanamente lo spettacolo del cielo stellato, di cui gli abitanti di Roma ed altre grandi città sono privati, con conseguenze che a lungo andare non possono non isterilire l'animo. È qualcosa che sentivo doveroso ricordare a corollario di un post in cui si magnifica la saggezza degli abitanti del Pianeta Verde.
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