Stiamo parlando di una cittadina di una regione "meridionale" piena di problemi, e quindi in quanto reggino ventenne ai tempi della storica promozione in serie A della Cestistica Piero Viola (era il 1983, la "rosa" titolò a nove colonne "benvenuta Calabria!"), posso perfettamente capire cosa prova un ragazzo sassarese oggi: orgoglio, senso di rivincita, speranze (forse indebitamente, ma a volta anche le speranze infondate hanno effetti concreti) di riscatto per tutta una realtà economico-sociale altrimenti depressa.
La Dinamo Sassari si è affacciata sul palcoscenico del "basket che conta" dopo che la mia Viola lo aveva lasciato dopo 24 anni di presenza consecutiva, durante i quali ha sfiorato ma mai raggiunto (per demeriti, sfortuna, ma anche diciamo cosi per scarso peso politico) obiettivi importanti, eppure ha già rischiato anch'essa il fallimento: sono anni duri per gli sport "minori", che in Italia poi sono tutti dal secondo in poi, che hanno visto vittime illustri da Pesaro a Bologna 1 e 2 per arrivare alla stessa Treviso. E forse non è un caso che i sardi ne siano venuti fuori grazie anch'essi a una banca, battendo in finale proprio quella Montepaschi Siena che deve proprio alle finanze allegre del colosso cittadino un ciclo di vittorie forse non ripetibile e che già si è prolungato oltre la "scadenza naturale" costituita dai noti problemi della "casa madre".
Ma appunto questo non diminuisce i meriti dei ragazzi del Banco Sardegna, tra l'altro guidati da uno che di palla a spicchi ne capisce da quando faceva l'allenatore pure quando giocava, il campione europeo e argento olimpico Meo Sacchetti. Non siamo ancora al Cagliari di Giggirriva, ma la Dinamo Sassari ha scritto una pagina importante della storia della Sardegna e dello sport. In attesa dello scudetto degli stessi sardi o della più quotata Enel Brindisi, e magari di un ritorno della Viola in A, oggi gioiamo. Magari con un inno sacro del più laico dei poeti della musica, un inno alla sua Sardegna...
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