Dicono che non bisognerebbe giudicare prima di avere visto, e questo è uno dei motivi per cui alla fine ci sono stato, all'Expo. Altri, in ordine sparso, la presenza dei lavori di molti archistar avendo sposato un architetto e sapendo che tutta la storia della bellezza è fatta da committenti con armadi pieni di scheletri, la curiosità, e l'avere beccato un'offerta particolarmente conveniente. Fine delle excusatio non paetite, apro una parente.
I pregiudizi già nel termine che li definisce hanno una connotazione negativa che però non sempre è giustificata. Il senso letterale scevrato da questa connotazione infatti dovrebbe suggerire che almeno in tutti quei casi in cui il pregiudizio ci piglia, cioè ogni volta che il post-giudizio non sarebbe stato diverso, ci ha fatto perlomeno risparmiare un sacco di tempo. Corollario di questo teorema sarebbe che piuttosto che rinunciare ai pregiudizi bisognerebbe trovare un modo per costruirsene di buoni, in modo da spostare dal 50 e 50 teorico ad almeno un 70 e 30 il rapporto tra i casi di risparmio di tempo e denaro suddetti e i casi opposti, in cui il pregiudizio ci impedisce di raggiungere una visione corretta o perlomeno ci rende più lento e costoso farlo. E un modo per costruirsi buoni pregiudizi è quello di scegliersi con cura fonti sicure e abbondanti, e consultarle con costanza e pazienza. Che poi è il lavoro che il vostro blogger svolge, "per diletto" appunto, per se stesso e per chi di voi apprezza il "servizio"... Chiusa parente.
Che l'Expo 2015 fosse un enorme spreco di soldi, dunque, lo sapevo già, e non mi serviva la conferma che ne ho avuto: le esposizioni universali sono nate con la rivoluzione industriale e servono da sempre a fare da vetrina a un Paese nel momento in cui si trova a guidare il capitalismo mondiale o a tentare di ramparne la gerarchia, è dunque questa edizione la prima organizzata da un Paese in fortissimo declino senza più alcun apparato industriale e produttivo, col solo scopo di rastrellare un altro po' di soldi da parte di una casta di politicanti e affaristi ad essi collaterali, prima che non ci sia più niente da rastrellare per nessuno. Quello che non sapevo, e che senza andarci non potevo sperare di capire, è che cosa riuscivano a inventarsi da mostrare, di sostanziale intendo, avendo per mestiere la capacità di individuare e scartare a priori la fuffa comunicazionale, e che cosa ci trovava la gente, se mai ci fosse andata. La risposta alla prima domanda è: niente. Il padiglione con più sostanza (ma il giapponese non l'ho visto, troppa fila) è - manco a dirlo - quello tedesco, il più sincero l'uruguaiano, il più ingenuo il turkmeno, ma quasi tutti gli altri sono pura forma, poco più che sofisticate versioni di spot turistici, e il peggiore di tutti da questo punto di vista (perchè l'edificio è invece bellissimo) è ovviamente proprio quello italiano. La risposta alla seconda invece ti viene sussurrata all'orecchio dalla gente in coda ovunque (nonostante l'affluenza al di sotto delle attese, e meno male altrimenti ci scappava il morto), poi suggerita dai ristoranti e dal merchandising, infine sbattuta in faccia quando ti ritrovi col naso in su e la bocca aperta sotto l'Albero della vita coi suoi giochi d'acqua musicali assieme ad altra miglialia di bambinoni: è un luna park. E alla gente puoi togliere tutto, diritti soldi salute dignità, ma non i luna park, che anzi nella storia sono presenti in concentrazione inversamente proporzionale alla diffusione del benessere.
Venghino siòri, e buon divertimento. Occhio al portafogli, che tanto a svuotarvelo ci pensiamo noi. Di quello che c'è ancora....
domenica 16 agosto 2015
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