Ho un pensiero complicato e non riesco a trovare una metafora semplice per esternarlo. Forse é il caso allora di darvi qualche informazione di contesto: scrivo durante un concerto jazz, forse solo perché seguendo i miei pensieri riesco a non addormentarmi.
Dice ma allora che ci sei andato a fare? Beh, intanto perché nella stessa kermesse poco fa ha finito di deliziarci un meraviglioso Daniele Sepe, e poi perché del jazz non solo comprendo l'enorme importanza per tutta la musica ma riesco persino a goderne la fruizione, quando non esagera in una dimensione precisa. Ma per dire quale devo allargare il discorso.
Negli ultimi cento anni tutte le arti hanno avuto nella destrutturazione la frontiera da varcare per continuare a innovare, ad esempio la poesia con l'ermetismo e la pittura con l'astrattismo, ma mentre le generazioni che hanno creato la rottura degli schemi prima li conoscevano, troppi di coloro che sono arrivati dopo si sono potuto permettere il lusso di nemmeno studiarli. Ora, io credo di avere il minimo di strumenti culturali per capire se uno che scrive una poesia senza metrica sarebbe capace di scriverla con, per cui se dico che tra i 50 maggiori poeti degli ultimi 50 anni 45 sono cantautori lo faccio ad iperbole ma forse a ragion veduta, invece con la musica sto messo peggio: non sono in grado di dire se dei musicisti stanno jazzando superbamente o invece solo suonando a cazzo.
Sto dicendo, per carità, che é un mio limite, ma credo che in futuro eviterò jazzisti troppo free. Poi per fortuna, infatti, é il turno di una band marocchina che punta più che sull'arditezza delle variazioni sul calore e su un paio di genialate strumentali (uno strano liuto etnico e soprattutto la linea tenuta da un basso tuba al posto del contrabbasso), ed ecco che io e il jazz facciamo pace.
Officia Paolo Conte...:
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