martedì 19 luglio 2016

L'ESTREMA JASTIMA

Il titolo mezzo in riggitano (jastìma, letteralmente bestemmia, usato
spesso per imprecazione) è giustificato anche dalla somiglianza della
Promenade des anglais col lungomare Falcomatà (che però è più bello)
La narrazione retorica è "l'Isis è riuscita tramite il terrorismo a portare la guerra in Europa", e viene sussunta, intimamente o esplicitamente che sia, senza nemmeno rendersi conto di ciò che comporta: se siamo in guerra, dobbiamo combattere. Cioè, esattamente quello che volevano sia i terroristi, sia chi li manda, o anche semplicemente approfitta della loro attività dopo averli magari armati, forse creati, sicuramente creato i presupposti per la loro esistenza. In altre parole, arrendersi alla logica della guerra e apprestarsi a combatterla equivale a darla vinta a tutti coloro che volevano la guerra, quindi ai terroristi e purtroppo non solo a loro. E' comprensibile, certo, ad ogni nuovo attentato percepire sempre più evanescente ogni altra strategia. Ma è comprensibile anche, anche se con meno immediatezza, che da sempre è esattamente questo lo scopo degli attentati: convincere i popoli dell'ineluttabilità del conflitto. E che quindi l'unico modo di sconfiggere i terroristi è svincolarsi da questo imbuto logico.
Poi, certo, potrebbe anche darsi che ciò non sia sufficiente a impedire la deflagrazione del conflitto in guerra aperta. E in quel caso non resta che combattere, ciascuno come può, dal lato che corrisponde al proprio sistema di valori e di vita. Ma compiere il proprio dovere di "patriota" non toglie che si possa nello stesso tempo mantenere la propria dignità e libertà di giudizio. Faccio un esempio che proprio Nizza evoca, essendo stata assieme alla Savoia uno dei pretesti della propaganda fascista per l'entrata in guerra accanto a Hitler contro la Francia, 76 (non 760, 76: stiamo parlando dei nostri nonni) anni fa. A Mussolini servivano "un pugno di morti da gettare sul tavolo dei vincitori", e invece ne causò milioni, e forse pure (ma questo è incidentale, solo tragicomicamente incidentale) la sconfitta militare dell'alleato germanico (che è dovuto accorrere in nostro aiuto nei disastrosi fronti greco e africano). Il fenomeno partigiano era ancora molto al di là da venire, e senza cambi di alleati e fronti interni forse non sarebbe arrivato mai, ma c'è da scommetterci che fin dall'inizio, sia tra i combattenti che tra i loro cari a casa, già prima che la guerra arrivasse nel nostro suolo e la casa magari andasse giù per le bombe, serpeggiasse il sentimento profondo, in alcuni più sordo in altri già consapevole, di chi fosse la responsabilità di quella guerra. Nella misura della sua consistenza, è la sussistenza di questo sentimento che salva l'anima di quel combattente che mentre compie il suo dovere patrio NON dimentica di stramaledire chi ha la vera responsabilità del conflitto. Mussolini e Hitler allora, i governanti guerrafondai occidentali oggi (a cominciare dalla famiglia Bush, petrolieri compromessi con i signori della guerra sin dai tempi delle industrie che armarono Hitler) e chi gli regge il gioco della propaganda. Se non ne eravate ancora convinti, la dinamica dei fatti di Nizza lo conferma: non esiste livello di sicurezza (compatibile con la democrazia, ma a prescindere) che possa prevenire il gesto di un folle (fomentato o meno, armato o meno, spalleggiato o meno) che lancia il suo camion "a bomba contro l'ingiustizia" (si, anche l'eroe gucciniano cantato a squarciagola da generazioni di progressisti voleva uccidere "un treno pieno di signori" innocenti - e si, i morti sono tutti innocenti, e il saldo tra i "danni collaterali" dell'occidente e le vittime del terrorismo mediorentale è così sbilanciato che non potrà pareggiarsi mai). Quando toccherà a noi, morire di una cosa del genere, facciamo che il nostro ultimo pensiero, la nostra estrema jastìma (che magari arriva) vada, piuttosto che a un dio che non esiste e al poveraccio che crede di andare in paradiso uccidendo e morendo in nome suo, marionetta inconsapevole di una recita che nemmeno capisce, a chi di quel teatrino tiene le fila.
...
Fin qui il ragionamento liscio liscio. Da qui in poi, per chi abbia bisogno e voglia di convincersi, e fantasia di leggere, alcune delle considerazioni che ci stanno dietro, assieme ad alcuni link di approfondimento:
  • se persino Repubblica, il più allineato alla narrazione standard dei quotidiani, parla dell'attentatore della promenade come di un emarginato con tanti problemi che non ha trovato altra via di redenzione a quella suggerita dal califfato (e non è l'unica incongurenza, vedi anche qui il Fatto), allora vuol dire che si tratta di una ipotesi con davvero molte probabilità di essere la più aderente alla realtà, e quindi il folle franco-tunisino sarebbe maggiormente comprensibile con le categorie di pensiero con cui si analizzano i suoi omologhi statunitensi che con quelle del terrorismo islamico (e chi usa queste ultime da subito e a prescindere, magari per rinfocolare il razzismo e/o l'interventismo bellico in medio oriente, non è che un ignobile sciacallo);
  • ad esempio, questo esperto di terrorismo intervistato dal Fatto quotidiano, nell'incasellare l'eccidio in una strategia volta a trasformare l'Europa in una grande Israele, dove i cittadini hanno imparato a convivere con il rischio quotidiano di morire vittima di un attentato e quindi immersi nella loro normalità in un apparato di sicurezza estremamente pervasivo, non si accorge che il parallelo funziona fin troppo bene: Israele, infatti, è causa con il suo stesso esistere (gratuito - si, è un artificioso avamposto occidentale nelle terre del petrolio, la religione è come sempre solo una scusa, il senso di colpa per l'olocausto non c'entra nulla tanto è vero che la decisione di crearlo è precedente alla II guerra mondiale - ma il concetto funziona anche con "gratuito" tra parentesi) e poi con il suo comportamento storico e continuo, non solo delle azioni disperate di cui è vittima, ma anche di tutta l'instabilità mediorientale senza la quale il terrorismo non avrebbe radici né terreno né acqua;
  • quindi, se non la cancellazione di Israele, o almeno il suo ritiro ai confini ante 67, è il ritiro con ignominia dell'occidente, simile a quello yankee dal Vietnam, da tutti i teatri di guerra aperti dal 1991 ad oggi, con tanto di indennizzi profumati alle popolazioni civili massacrate, l'unica iniziativa capace, forse e con un po' di pazienza, di disinnescare il terrorismo rimuovendone le cause (e con esso le migrazioni di massa);
  • proseguire con l'azione bellica, invece, magari intensificandola, è ormai stradimostrato che è del tutto controproducente; se proprio si volesse praticarla con possibilità di vittoria, infatti, si dovrebbe avere lo stomaco di sterminare con l'atomica una miliardata di innocenti dal Marocco all'Iran, e pazienza per il fallout in sud Europa e Balcani, o se non si vuole arrivare a tanto almeno scegliere con cura il nemico: con un paradosso ben illustrato qui da Bertani, basterebbe mandare un ultimatum all'Arabia Saudita, della serie "al prossimo attentato islamico di chiunque e dovunque, senza neanche cercare di capire chi siano i mandanti e se voi c'entrate, vi radiamo al suolo", per farla finita con il terrorismo islamico - d'altronde, non sono sauditi i soldi con cui prospera? e non sono sauditi tutti i suoi capi storici (Bin Laden in testa: principe arabo di famiglia di petrolieri amici storici dei Bush...)? e non erano sauditi quasi tutti gli attentatori dell'11 settembre? che cavolo c'entrava l'Afghanistan?

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