giovedì 13 ottobre 2016

DI NOBEL IN NOBEL

A novanta anni suonati non è che uno non se lo possa aspettare. Quello che magari non ci si aspettava era invece magari di vederlo ancora pimpante, relativamente rispetto a se stesso ma in assoluto ancora molto di più della maggior parte dei cosiddetti giovani, sul palco di una manifestazione politica o a sbrigarsi di finire il suo ultimo libro. Ma questo era, tra le altre millanta cose, Dario Fo: l'incarnazione del principio che dovrebbe informare la vita di ciascuno di noi, quello secondo cui bisogna che la morte quando arriva (perché sul se non ci sono dubbi) ci trovi vivi.
Tra i come sempre troppi coccodrilli che stanno affollando in queste ore il web e la TV ("miracoloso" il TG1, sia nel dedicargli ben 20 minuti che in senso opposto nel riuscire a nominare Grillo solo al diciannovesimo e per pochi secondi), quasi nessuno ha potuto esimersi dal notare la singolare coincidenza della scomparsa del più inatteso dei premi Nobel per la letteratura nel giorno in cui si assegnava lo stesso premio, per giunta a uno atipico forse quanto lui, sebbene in modo molto diverso.
Ma più che l'atipicità del Nobel, a legare Dario Fo e Robert Zimmerman ci sono alcune caratteristiche delle rispettive produzioni artistiche: le dimensioni tali da renderle inesplorabili a fondo per intero a qualsiasi persona fisica, l'impossibilità di ogni irreggimentazione e classificazione, l'irrefrenabile esigenza di smarcarsi restando fedeli (ma graniticamente, però) solo alla propria anima profonda.
Bob Dylan non lo sa, ma una volta ha scritto una canzone per Dario. Si chiama Il giullare, ho trovato il video sottotitolato in inglese (tra l'altro, ci suona Mark Knopfler, scusate se è poco) e, anziché la solita incomprensibile traduzione automatica, questa splendida esegesi, che spiega la mia asserzione di tre righe fa:
Jokerman è un buffone, ma è anche molto di più. Nell'universo poetico di Dylan, Jokerman è la temporanea incarnazione di un personaggio che era già apparso nelle sue canzoni sotto altre forme e con altri nomi: Mr. Tambourine Man, Quinn the Eskimo, Señor, Lenny Bruce, a partire dal primo che le anticipa tutte: Woody Guthrie. Sono tutte figure del “trickster”, del dio burlone e amorale che nelle varie mitologie prende il nome di Thot, Hermes, Mercurio, Loge, Duende o Coyote (quest’ultimo nelle cosmogonie amerindie). In un certo senso Jokerman è anche Gesù Cristo, soprattutto nel suo senso “umoristico” (Gesù come sovvertitore ironico di costumi). In poesia, una simile figura è garanzia di comunicazione con il mondo dell’ispirazione. Jokerman è il “doppio” mitico del poeta, la figura, più potente della coscienza, che mette in comunicazione l’inconscio del poeta con il repertorio di simboli elaborato dall'umanità (o dagli dèi) a partire dall'inizio dei tempi. Le buffonate di Jokerman sono buffonate molto serie. Hanno certamente a che fare con la legge della giungla e con il mare (ricettacoli di archetipi), così come con i primi libri della Bibbia, perché questi sono depositi di saggezza antica, enciclopedie del “diritto comune delle genti”, come avrebbe detto Giovanni Battista Vico. È da lì che nascono i temi delle ballate popolari, che per Dylan raccolgono, molto vichianamente, direi, l’unica vera saggezza elaborata dai popoli.

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