martedì 2 ottobre 2018

L'ANGOSCIA DEI TEMPI DI TRASFERIMENTO

Nasci in un posto, e più o meno ci muori. Da quando l'umanità è diventata stanziale, e con l'eccezione dei nomadi matrilineari cacciatori e raccoglitori, per ciò stesso invidiati e odiati e maledetti nei secoli dei secoli dagli stanziali patrilineari allevatori e agricoltori costretti a un modello tecnologicamente vincente in un mondo a risorse finite laddove l'Eden era relativamente a risorse infinite, è stato questo il destino del 99 periodico per cento degli esseri umani. Lo zero virgola essendo rappresentato sempre e solo dai pochi o talmente coraggiosi da rinunciare individualmente alla sicurezza in cambio della libertà, bollati però come vagabondi o mendicanti quando non rientravano nelle ristrette schiere dei nomadi approfittando di un circo di passaggio, o talmente "liberi" o "deviati" da preferire i rischi della carriera militare e/o marinara alla vita tranquilla in un porto/posto sicuro, o se no talmente ricchi da potersi permettere una mobilità relativamente enorme rispetto a tutti gli altri (all'interno ovviamente dei limiti tecnologici della propria era). I migranti di tutte le ere non sfuggono a questa categorizzazione, essendo degli stanziali talmente poveri e sfigati da non potersi permettere nemmeno di essere stanziali da una sola parte, ma invece dovere con enormi sofferenze trapiantare la propria stanzialità altrove.
Questo, fino al momento in cui il capitalismo non fu costretto dall'esistenza stessa del socialismo (creato peraltro proprio dall'organizzazione del lavoro capitalista, che necessitava di schiavi vicini tra loro e istruiti, ma questi poi parlano tra loro et voila) a trasferire ai lavoratori almeno una parte del plusvalore ottenuto dal prodotto della manodopera industriale per il moltiplicatore tecnologico, trovando nel consumismo il modo di rendere la cosa conveniente per se: io ti pago di più, tu lavori di meno, ma se hai soldi e tempo in più compri e consumi così si completa il giro e ricominciamo da capo.
Tra le componenti del consumismo, la prima, storicamente e per importanza, è la motorizzazione di massa, che non a caso iniziò nel nuovo Centro dell'Impero, gli USA, circa un secolo fa. Come testimoniano i film dell'epoca, pieni di Ford T, la prima auto a uscire da una catena di montaggio, proprio perché costasse abbastanza poco da essere alla portata delle tasche degli operai, la prima infatti a essere venduta a milioni di esemplari. E Volkswagen, auto del popolo, si chiamava il prototipo progettato da Porsche su direttiva di Hitler in persona, con la stessa finalità.
Oggi, che nuovamente il rapporto tra esseri viventi e risorse disponibili ci sta portando a larghi passi verso un mutamento di paradigma, che non sappiamo ancora se porterà alla distruzione della vita sul pianeta, a una guerra davvero mondiale, a una qualche scure malthusiana, oppure a un nuovo moltiplicatore tecnologico che renda il pianeta capace di sopportarci tutti e di più (ma quanti? lo sapete l'indovinello delle ninfee?), la prima cosa a entrare in crisi è ovviamente la motorizzazione. Anche avessimo tutti auto elettriche, e anche se queste si ricaricassero da reti approvvigionate a energia solare a costo e inquinamento zero, le nostre città non avrebbero lo stesso spazio fisico a sufficienza. Pace. O sei nello zero virgola, o stai fermo.
Ecco che il paradigma della rana bollita - ho l'obiettivo preciso di lessarti ma faccio di tutto perché tu creda di essere in un confortevole bagnetto caldo fino a quando non sarai più in grado di saltare fuori dalla pentola - viene applicato a tutto quello che i vostri bisnonni nonni e genitori hanno lottato per migliorare le condizioni di vita loro e dei loro discendenti. E attenzione che tra queste condizioni c'è anche la cultura e l'istruzione, che si possono anche solo volere solo quando i bisogni di base sono soddisfatti, tolti i quali, anche con strumenti tecnologici appositamente progettati (smartphone e social network in primis), la probabilità di autocoscienza della rana scende ulteriormente. Quindi anche alla mobilità personale: solo così si spiegano tutte le politiche di tutte le parti degli ultimi anni, al termine delle quali avrà un auto elettrica e costosa solo chi è già così agiato da possedere una casa in centro (e magari la macchina non gli serve e non gli piace) o una supertecnologica e costosissima chi ha il villone e le multe gli pesano meno che a noi i pedaggi. E così siamo tornati all'argomento di oggi.
Tutto ciò infatti non lo poteva sapere un ragazzo di venti anni che amava guidare le macchine, e forse si era innamorato di Star Trek proprio per via del fatto che quelli ci avevano il teletrasporto. Quel ragazzo, con in testa un aria rarefatta alla Battiato, scrisse tra gli altri (che continuo un po' ottusamente a sperare mi chiediate per musicarli a piacimento) questa canzoncina qua, mentre il suo treno andava da Bologna a Roma o viceversa, agli inizi di una vita da pendolare dell'amore che non sapeva ancora non sarebbe finita mai.
L'ANGOSCIA DEI TEMPI DI TRASFERIMENTO
Mi piacciono le strade di campagna:
son belle per guidare forte,
attaccare le curve all'interno
ed affrontare i tornanti
correndo.
Adoro osservare le autostrade
che si arrampicano sull'appennino
dal finestrino del mio treno:
non urtano affatto il paesaggio,
tutt'altro.
E l’importante è potere arrivare,
l’importante è potere andare…
Mi godo le città di notte
perché le strade sono vuote:
posso impiegare poco tempo
per distanze disaggreganti
di giorno.
Di giorno amo alzare il punto di vista
ad una quota topografica,
padroneggiare il territorio:
viva le strade di tutto
il mondo!
E l’importante è potere arrivare,
l’importante è potere andare…

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