mercoledì 17 luglio 2019

DA GRANDE

Di coccodrilli su Camilleri in questi giorni ne trovate "a tinchitè", quindi dovrei e vorrei esimermi. Ma siccome non ce la faccio a trattenermi, concentro i miei sforzi a virarla sul personale, evitando di sottoporvi cose che avrete letto altrove.
Per farlo parto da un'autocitazione, tratta da questo post di giugno 2010, in cui commento la tragica scomparsa di Taricone perché mi aveva rammentato troppo quella allora recente di due miei fraterni amici. Di uno dei due, Sergio, irriducibile (anche dopo decenni di profondissimo nord) siciliano proprio della provincia di Agrigento, scrissi:
L'ultima volta che lo vidi mi strappò di mano un libro di Camilleri e me lo restituì poche ore dopo, avendolo finito. Il libro successivo del prolifico scrittore siciliano mi rapì un giorno di qualche mese dopo allo stesso modo, dovetti finirlo prima di posarlo: esattamente in quel lasso di tempo il suo aereo finiva dentro una nuvola e contro una roccia. Coincidenze, mi dico da allora...
Camilleri lo avevo scoperto a casa di un altro amico "trentino", che mi prestò l'allora appena uscito La concessione del telefono, che divorai tra le lacrime per il troppo ridere, unico fattore che mi aveva impedito di battere il record personale di lettura più rapida di un romanzo. Non era Montalbano (non è Montalbano la vetta letteraria di Camilleri, sono i romanzi ambientati nella sicilia dei secoli addietro, con in cima, forse, per me, Il re di Girgenti), anzi non sembrava nemmeno un romanzo, era una finta raccolta di atti pubblici e ritagli di giornale, con intermezzi narrativi smozzicati, a raccontarti la storia: geniale. Inutile dire che sono andato subito a cercarmi tutti i libri precedenti e non me ne sarei perso uno dei successivi. E inutile dire che sotto sotto c'era anche la fiducia ispirata dalla parabola tardiva dell'autore in tutti quelli che amano scrivere oltre che leggere: magari avere un centesimo del suo successo, a partire dalla stessa tarda età!!! Anni dopo la "concessione" la vidi all'Eliseo rappresentata da Paolantoni con due giganti del teatro siciliano come Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina: esilarante uguale. Ma non come il libro, non capita mai che un libro venga superato dai suoi adattamenti al cinema o al teatro, nel migliore dei casi ci si avvicinano.
L'operazione reggeva, però, per la stessa ragione per cui alla fine gli episodi televisivi del commissario Montalbano reggono al massimo grado possibile, con le succitate avvertenze, il livello dei libri: Camilleri nasce e cresce col teatro e con gli sceneggiati televisivi, alla letteratura ci arriva da grande, e quando ci arriva non può prescindere, ovviamente, dal suo bagaglio culturale. Poi certo i telefilm sono realizzati con enorme cura, e non solo grazie al generoso budget, tanto che sembra doveroso parlarne troncando il prefisso "tele", visto che per qualità del girato non c'è nessun altro prodotto televisivo che gli si può accostare manco a distanza. Ma sono certo che mentre scriveva i suoi romanzi, e da un certo punto in poi mentre li dettava, il vecchio attingeva a uno schermo interiore dove già li vedeva sceneggiati.
Ora però sono io che vedo una scena, anche se da buon miscredente so da me che si tratta solo della mia immaginazione. Vedo Sergio e Andrea chiacchierare in agrigentino stretto seduti a un tavolino di un bar siciliano di quelli che ancora oggi mantengono l'arredo degli anni 50 tappone Peroni e targa in metallo cedrata Tassoni compresi, davanti hanno due mezzi bicchieri di vino rosso fresco e un posacenere pieno di cicche. Un ragazzo pugliese fumando con loro si gode la conversazione anche se non capisce una parola: gli bastano la scena il tono e il suono. Accanto c'è una sedia libera. Non ho nessuna fretta, tanto per loro il tempo non conta. Ma quel posto è mio.

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