mercoledì 24 luglio 2019

UN CESSO SCASSATO

Parlando di un ingegnere, mi pareva il minimo...
Per evitare l'effetto "rettilario" mi sono imposto di non dedicare un coccodrillo a Luciano De Crescenzo, morto il giorno dopo Andrea Camilleri. Ma le riflessioni di questo post devono molto allo scrittore napoletano, come scoprirete.
Partendo proprio dall'affollarsi sul blog di post di addio a questo o quello riferimento culturale della mia generazione, la prima generalizzazione conseguente è che certo, per forza, ovviamente, passando il tempo, mentre che uno diventa adulto e poi inizia a invecchiare, quelli di venti o trent'anni più grandi di lui, che quando lui era giovane e si formava erano nel pieno della maturità a condizionare pesantemente il background suo e dei suoi coetanei, cominciano uno a uno a morire.
La seconda deduzione viene dal raffronto tra le eco suscitate dalle due scomparse consecutive sul mainstream e sui social: non è solo per la circostanza dell'essere avvenuta subito dopo l'altra, che la morte di De Crescenzo ne ha suscitata meno. E' che questo, pure sostanzialmente coetaneo dell'altro, ha avuto una parabola sostanzialmente diversa, con la sua fase apicale ad attraversare essenzialmente gli anni 80 mentre quella di Camilleri parte a fine anni 90 ed è ancora li. Ma tutti i riferimenti culturali di vertice, superata questa fase, smettono di svolgere questo loro ruolo di frontiera, maggioritario, per restare ad esercitarlo in una nicchia sempre più piccola di sopravvissuti della generazione per cui lo avevano svolto appieno. Solo alcuni, pochissimi, di valore immenso, che peraltro si rivela davvero tale solo alla prova del tempo perché per i contemporanei tutti i "grandi" lo hanno, conservano appunto questo ruolo oltre i limiti anagrafici delle generazioni che li hanno visti affermarsi. Per un Totò ci sono cento attori (che magari per i contemporanei erano modelli di pari livello) che non hanno retto alla prova del tempo e sono stati dimenticati, da molti se non da tutti, e questo vale per tutti gli altri ambiti della cultura (in senso ampio).
La terza è che questa operazione di setaccio temporale, a un certo punto, raggiunta la giusta distanza, diventa autoevidente, rivelando a chiunque le buone ragioni del suo affermarsi. E qui rientra in gioco, come promesso, De Crescenzo, in una delle scene del suo cinema più istruttive e divertenti assieme. A un certo punto, il professore e i suoi allievi si trovano in visita ad un museo di arti contemporanee, dove è in mostra una sedia su cui qualcuno stanco si siede, ripreso dal custode, e dalla discussione successiva col maestro si ricava un fantastico pistolotto contro l'arte contemporanea in genere che sostanzialmente dice più o meno così: quando oggi noi troviamo un oggetto d'arte antica scavando nelle rovine, diciamo subito "oh, un oggetto artistico!", ma quando i posteri scavando troveranno una scultura che rappresenta un cesso, diranno "oh, un cesso!" e passeranno avanti. Ebbene, io ventenne trovai in quel siparietto (che vi riporto in filmato perché la mia trascrizione ovviamente non rende) la forma esplicita di un mio pensiero, che non abbandonerò mai più: un Caravaggio resterà sempre un'opera d'arte, visto da chiunque a qualunque epoca, un Fontana, per citare un grandissimo della sua era, non credo. Chissà come farà chi non ha mai letto un libro o almeno visto un film di Luciano De Crescenzo...

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