Eh si: il dialogo tra i due "mi chiamo G", quello ricco e quello povero, riuscì persino a farlo in Rai con Mina |
In questi giorni sto ascoltando praticamente tutta la discografia di Gaber, dove l'avverbio sta a indicare che è uno di quegli artisti per cui è difficile ricostruirla integralmente, perché vastissima e perché inizia in tempi in cui il concetto di album non si era ancora affermato (oggi è praticamente tramontato, ma per decenni è stato dominante) e i 33 giri erano solo raccolte spesso non coerenti e con duplicati vari. Tutta, dall'inizio alla fine, a puntate corrispondenti coi tragitti in auto. Mi rendo conto che si tratti di un'attitudine maniacale, e infatti mi vergogno un po' a confessarla, ma io non ascolto quasi mai tracklist miste, solo album dall'inizio alla fine, magari divisi tra una tratta in auto e l'altra. E se attacco una discografia completa, la finisco, ci vuole quello che ci vuole. Mi vergogno, o meglio mi vergognavo, finché non ho scoperto che in giro è pieno di gente, altrimenti all'apparenza normale, che si piazza davanti alla TV nottate intere o interi weekend per vedersi tutte di seguito ics stagioni di una serie. Per chi, come me, detesta anche quando un film per la TV te lo fanno in due puntate, è una cosa inspiegabile, quasi disumana. Per cui ad ognuno le sue manie, e faccio outing.
Di Gaber qui a radiocontroinformoperdiletto non abbiamo ancora parlato, proprio perché la sua produzione è talmente vasta ed eterogenea che è davvero difficile identificare un album da recensire. E però, consigliare a chi non l'abbia mai fatto di ascoltare Gaber è quasi un dovere civico. Jannacci, e va beh che erano amici, nella sua Se me lo dicevi prima, una invettiva contro la droga mascherata da canzone umoristica come il cardiochirurgo usava, mette "quando parla Gaber" tra le cose belle per cui vale la pena vivere. Già, perché il "teatro-canzone", termine coniato proprio da Gaber e Luporini per il tour teatrale de Il signor G del 1971 (e già questa scelta, per uno che ormai era di casa in prima serata sulla Rai magari accanto a Mina, come avrete senz'altro visto a Techetecheté, dimostra la statura dell'artista), era proprio un alternarsi costruito di canzoni e testi, dove questi ultimi constavano di affabulazioni in parte aderenti ad una traccia in parte modificate a braccio di volta in volta, talvolta brevi introduzioni del brano seguente talaltra digressioni che si allungavano a dismisura (ne Il grigio del 1989 arrivavano a fagocitare tutto). Per cui, o fate come me e vi ascoltate tutto, o ve le perdete. Si certo ogni tanto qualcuno (Dix, Marcorè, Paolo Rossi, ad esempio, e sicuramente Scanzi) prova a riproporlo a teatro, e magari con merito, ma non è la stessa cosa... Anche perché non credo che Gaber in scena oggi ridirebbe le stesse cose che diceva trenta o venti anni fa: ha cambiato sempre obiettivo per la sua satira feroce e impietosa, dalla borghesia all'individuo alla democrazia alla società, non vedo perché non avrebbe dovuto continuare a cambiarlo (i demiurghi della pandemia? i fautori della pace fornitori di armi? ciascuno ci metta il suo wish, tanto resta tale...).Quindi, tenuto conto di quanto sopra, e cioè che comunque ne avrete un'idea parziale, vi propongo una tracklist commentata che pesca in decenni di carriera, e buon pro vi faccia:
- Io mi chiamo G - Celeberrimo duetto tra un bambino ricco e uno povero, clamoroso esempio di come si possa rappresentare una verità attraverso l'ironia. Il link punta alla versione televisiva, rara, e probabilmente dovuta a Mina che lo ha sempre considerato un amico, eccezione all'ostracismo totale che la Rai gli riservò per anni quando passò al teatro-canzone.
- I borghesi - Il brano fa a gara con Borghesia di Lolli a chi è più datato, tanto che Gaber a un certo punto ha smesso di farlo, e Lolli per farlo ci metteva un "forse" tra "il vento un giorno" e "ti spazzerà via". Ma è potente e diretto, e il fatto che nel 71 ci si potesse illudere che l'invettiva era verso altri e oggi non si possa che ritenerla rivolta anche verso noi stessi, non gli toglie valore, anzi.
- Un'idea - Qui la satira feroce è contro chi si sente progressista e avanzato, presentando una serie di personaggi che se ne vantano ma poi non finiscono proprio bene. E no, le idee non si mangiano, diceva mio nonno.
- Lo shampoo - Divertissement piuttosto noto ma certamente meno innocuo di quello che sembra a un ascolto superficiale.
- È sabato - Invece qui l'attacco è diretto, alle abitudini di coppia, al perbenismo, insomma ce n'è per tutti e nessuno si può chiamare fuori.
- La libertà - Il testo è un manifesto. Letteralmente: dovremmo stamparcelo e appiccicarlo in salotto, o in ufficio.
- Il conformista - Brano tra i più recenti, molto dopo che il Nostro era stato d'autorità arruolato tra i qualunquisti da quella sinistra da cui si era allontanato invece proprio perché lei aveva iniziato a tradire uno a uno tutti i valori di cui faceva bandiera. Ah, lo ha cantato anche Celentano.
- Il dente della conoscenza - Tolto il dente tolto il male. E' il vero problema della società di oggi, altrimenti il teatrino della pandemia non sarebbe potuto essere inscenato. E Gaber lo aveva capito decenni prima.
- La marcia dei colitici - Oggetto di questa satira giocosa sono le autoorganizzazioni e il culto del successo. Io però mi ci riconosco anche per una ragione più propria...
- L'elastico - Dentro il racconto di una esperienza extracorporale, c'è anche forse una frecciatina alla psicoanalisi...
- Quello che perde i pezzi - Meravigliosa allegoria. Il protagonista alla fine rimane solo con un testone e un testicolo.
- La nave - C'era la metafora felliniana, e quella craxiana che opportunisticamente vi si accodava. Gaber ci rovescia sopra ettolitri di vomito, con la sua consueta abilità interpretativa sembra di sentirseli addosso...
- Le mani - Satira sociale a 360°, declinata attraverso tanti tipi di mani, con una chiusura senza tanti giri di parole.
- L'odore - Altra feroce introspezione. Quando l'ascolti, se ti senti colpito hai un problema, se invece non ti metti in discussione ne hai due.
- Il febbrosario - Nel 1974 si poteva prevedere la pagliacciata della pandemia? Ad ascoltare questo brano sembrerebbe in qualche modo di si. Scanzi avrà pure portato Gaber in teatro, ma forse questa o non l'ha ascoltata o non l'ha capita.
- La peste - Si, si poteva, questo brano dello stesso album lo dimostra. Ascoltatela con attenzione, prevede tutto, anche l'assuefazione in cronaca. Persino il "bacillo a manganello".
- C'è solo la strada - E qui, stesso disco, ce n'è pure per il lockdown: "Perché il giudizio universale non passa per le case dove noi ci nascondiamo: bisogna ritornare nella strada per conoscere chi siamo." Oppure, peggio, visto che dice che "appena un uomo si chiude in casa comincia ad ammuffire", chi ha architettato la gestione della pandemia il brano lo conosceva...
- Il comportamento - Questa feroce autocritica mi è sempre piaciuta. Sarà che anche mio nonno aveva un solo comportamento, e anche a me invece non mi è mai riuscito del tutto imitarlo...
- Le elezioni - Il perculamento del rito massimo della democrazia qui è totale, e culmina con una impresa che ammetto anch'io di avere sognato (che bella matita!) ma non so se davvero sia mai riuscita a qualcuno.
- L'America - Testo da sottoscrivere, ma l'attacco al mito americano ai tempi però si portava. Se vedo un rapper italiano o un trapper che ne fa la cover mi rimangio pubblicamente il mio disprezzo verso le categorie, giuro.
- Si può - Dire che è tratto dall'album Libertà obbligatoria già fa capire dove vuole andare a parare, ma il pezzo è molto noto, se si pensa che c'è persino una versione di Anna Oxa.
- Il suicidio - Questa esilarante affabulazione esiste in tante versioni quante tournée ha fatto, o forse quante serate, ognuna immaginando le modalità di farla finita delle personalità del periodo o in cronaca. Catartico.
- Quando è moda è moda - Il brano segna la presa di distanza dalla sinistra, e infatti ai tempi fu pesantemente contestato. Ma si adatta benissimo a ogni epoca, compresa questa.
- Io se fossi Dio - Quando fu rapito Aldo Moro avevo quindici anni e ogni volta che mio nonno (vecchio socialista antifascista impermeabile alla retorica democratica) rientrava in casa chiedeva serio "murìu Moru?", finché non tolse il punto interrogativo. Forse la cosa mi aiutò a maturare la mia posizione nei confronti della vicenda: tutti a parole volevano salvarlo, ma molti di questi lo volevano morto, così a esecuzione consumata era pieno di ipocriti (mandanti a parte) che ne ingigantivano a posteriori la statura politica mentre sotto sotto esultavano. Fu la prima volta che sperimentai l'ormai abituale sensazione di trovarmi da solo su una posizione alternativa mentre tutti gli altri facevano il coro alla narrazione ufficiale. L'anno appresso, da apprendista dj, misi le mani su uno strano vinile, inciso solo da una parte, con una canzone sola. Diceva quello che pensavo io, e non solo su Moro. Fu sequestrato, ma ormai in radio ce l'avevamo e io lo passavo. Poi ne girò una versione edulcorata. Ma il link che vi ho messo è quello alla versione integrale. Ascoltatevelo con concentrazione, se avete da fare rimandate a quando avete venti minuti di tranquillità per prendervi la vostra dose di "schiaffi di Dio" che "appiccicano al muro tutti".
- I soli - Questa ve la metto proprio qui perché a volte mi ha aiutato proprio in quella sensazione che vi dicevo. E parla di soli e non di single perché non parla solo di scelte sentimentali, e perché anche in due in fondo si è sempre soli, e chi pensa il contrario si illude.
- La democrazia - E questa perché la frase " io se fossi Dio di fronte a tanta deficienza non avrei certo la superstizione della democrazia" gli era evidentemente rimasto il bisogno di spiegarla nel dettaglio.
- Qualcuno era comunista - Essendosi trovato nel giro di pochi anni a passare da compagno coraggiosamente fustigante il sistema a volgare qualunquista, perché se uno mantiene fede a se stesso e alle proprie idee e tutti gli altri si tradiscono è lui che sembra spostarsi come il treno fermo in stazione mentre parte il nostro, il nostro a un certo punto evidentemente non ne poté più, e scrisse (sempre con Luporini) questa meravigliosa e idilliaca elencazione, al termine della quale dal vivo tutti ci si alzava applaudendo e sollevando il pugno, anche chi non aveva mai votato PCI. Se qualcuno vi accusa come talvolta capita a me di essere diventati "di destra", fategli sentire questa canzone, poi fate e dite come Mario Brega a Carlo Verdone, e mentre lo mandate a fanculo urlategli che semmai sono i compagni che sono diventati liberisti europeisti e destrorsi.
- Destra-Sinistra - Che poi è uno dei brani responsabili delle accuse di qualunquismo, ma solo perché si presta fin dal titolo a una lettura superficiale e strumentale. Se il partito più effettivamente di destra oggi è l'ultimo in elenco della linea di successione del PCI, e se il sovranismo monetario, precondizione a qualsiasi politica economica eretica rispetto al monetarismo eurista quindi anche a quelle socialiste o anche solo socialdemocratiche, viene invocato solo a destra, non è colpa di Gaber. E nemmeno mia.
- La strana famiglia - Divertentissimo pezzo di satira della società televisiva, peraltro scritto quando la deriva era ben iniziata ma lungi dall'arrivare ai picchi odierni. Ve lo propongo nella versione con l'amico di sempre Jannacci, che con la sua stralunatezza gli conferisce un plusvalore.
- Quando sarò capace d'amare - Uno così capace di scavare in qualsiasi contraddizione umana, è anche capace di un testo come questo, che impietosamente definisce l'amore nella sua essenza, consentendoci di scartare tutto il resto.
- L'illogica allegria - Quando l'autoanalisi e l'introspezione lasciano posto a una semplicissima presa di coscienza, di cui non vergognarsi.
- Il dilemma - Quadretto spietato ma dolcissimo di una coppia che sceglie l'unica maniera di avere l'ultima parola con la morte, o con la vita che è lo stesso. Difficile che troviate in una canzone, ma che dico in letteratura, un modo migliore di raccontare una vicenda come questa.
- Gildo - Idem, per una cosa peggiore della morte: la malattia. Gaber entra in ospedale (e qui forse c'è dell'autobiografia, visto che poi morì appena sessantaquattrenne di cancro ai polmoni - e si: fumava...) e ci porta con se, facendoci quasi toccare con mano l'esperienza (al punto che chi l'ha provata ci si riconosce senz'altro) di quella forma di intimità e amicizia che si instaura tra codegenti di lunga durata, e la vergogna che prova chi di questi ne esce nei confronti di chi invece ci resta e non vedrà più. Un capolavoro assoluto.
- La stanza del bambino - A proposito di fumo, qui lo prende come spunto per una feroce satira contro il rincoglionimento e l'alienazione cui sottoponiamo e lasciamo che vengano sottoposti i nostri figli, placando la nostra coscienza col salutismo. E ancora non c'erano gli smartphone...
- Non insegnate ai bambini - E che ci troviamo in argomento, vi lascio con un altro capolavoro assoluto, ma nell'interpretazione magnifica di Alice, che gli aggiunge significato.
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