Anche venti anni e passa dopo? si: sentite questa. Tornatoci in vacanza, mi capita di fermarmi a fare GPL in una stazione di servizio tra Merano e Bolzano, ma diversamente dal solito non si avvicina nessuno. Temendo fosse chiuso l'impianto, entro nel bar e chiedo se fosse o meno così. La tipa mi guarda imparpagliata, ma giusto un attimo, poi capisce ed esclama: "ah, perché in Italia non è ammesso fare GPL in self-service, ora le mando qualcuno ad aiutarla". Una ragazza giovane: l'austroungarico sarà stato il suo bisbisbisnonno. In un posto di passaggio, mica in mezzo ai monti. Eppure dà per scontato, senza nemmeno badarci più di tanto, di non essere "in Italia". E magari se glielo si chiede nemmeno vorrebbe, come alcuni movimenti sicuramente ancora propugnano, tornare in Austria, anche perché con quello che comporta la specialità dello Statuto regionale in Italia i sudtirolesi ci stanno proprio bene, e invece probabilmente sotto l'Austria non avrebbero tutti quei privilegi. No, non è posizione politica, è percezione.
Ora, qualsiasi minoranza mette istintivamente in atto una serie di accorgimenti idonei a salvaguardare nel tempo se stessa, e se non hanno risultati prima o poi non resta nessuno ad accorgersene, altrimenti resiste nei secoli: l'esempio più eclatante sono gli ebrei, passati attraverso i millenni anche grazie a una religione pervasiva e la blindatura del sangue in tutti i contesti. Ad esempio, gli Ucraini sono stati parte dell'impero sovietico per settanta e passa anni, durante i quali non hanno mancato nemmeno di allearsi coi nazisti nel loro tentativo di invasione dell'URSS, eppure oggi sono lì a resistere all'invasione russa con orgoglio e determinazione, magari sotto le stesse insegne dei nonni, insegne che oggi agli occidentali fa comodo non vedere. E questo a chi si ferma alla narrazione dei fatti portata avanti incessantemente dai media mainstream può anche bastare. Ma se pensiamo alle regioni russofone finite all'interno della Repubblica Ucraina proprio al tempo dei sovietici, perché il blocco era unico e un confine valeva l'altro, non vale la stessa cosa? E' strano che continuino a considerarsi russi e dopo un decennio di angherie e massacri nascosti da parte degli ucraini golpisti abbiano chiamato la madrepatria a intervenire? E domani che la Russia vince la guerra e Crimea e Donbass diventano Stati sovrani, se ci fossero al loro interno comunità ucraine non avrebbero diritto a coltivare la loro identità e a pretendere rispetto, e sennò a ribellarsi? Occhio che le scatole cinesi non perdonano...
Prendiamo il Kosovo. Era una regione ad etnia albanese all'interno della Serbia, e noi occidentali abbiamo sostenuto il suo diritto all'indipendenza a costo di andare a bombardare Belgrado. Al suo interno però ci sono delle regioni a maggioranza serba, e questi oggi non possono nemmeno più mantenere la loro identità neanche formalmente. E se la Serbia protesta noi subito mobilitiamo le armi, sia mai gli venisse in mente di intervenire. Due pesi e due misure, con il giustificazionismo dell'imperialismo occidentale a fare da unica bussola. Ai tempi, Ligagiovapelù almeno cantavano Il mio none è mai più. Oggi per trovare un cantante o un altro artista fuori dal coro bisogna cercare col lanternino, e completamente al di fuori del circuito mainstream. A settembre assisteremo alle elezioni forse più gattopardesche della storia, e intanto stanno già acquistando milioni di dosi di vaccino, hai visto mai finisse la guerra scendesse il prezzo delle materie prime e ci rivolesse la pandemia a tenere il giogo stretto al popolo bue.
Eppure basterebbe poco, ad aprire gli occhi. Sempre in Trentino, ad esempio, passeggiando in montagna ci si imbatte facilmente in istallazioni austriache della prima guerra mondiale, dalla semplice trincea al forte enorme e maestoso. Ecco, leggendo i cartelli si scopre che tutto quell'ambaradan fu allestito, peraltro in posti dove si fatica a capire come abbiano fatto e in così breve tempo, al più dieci anni prima di perdere la guerra e vedere l'impero dissolversi. Istruttivo, no? La guerra, ogni guerra, è sempre una sconfitta, per chiunque. E ho usato apposta il termine ambaradan, transitato nell'italiano corrente per dire "apparato inutilmente complesso e caotico" dal nome di una località etiope dove si consumò una delle peggiori vergogne della storia italiana (usammo gas tossici contro la popolazione civile, si proprio noi che crediamo sempre di essere "i buoni"), tappa di un'avventura coloniale che si rivelò anch'essa decisamente effimera.
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