Avevo impostato diversamente questo pezzo, come da titolo parafrasato da Claudio Lolli (che diceva "vecchia piccola borghesia il vento un giorno ti porterà via"), ma la cronaca si impone: persino il Corrierone, che negli ultimi tempi ha fatto a gara col Tg1 a chi incensava meglio il Capo, non ha potuto esimersi dal pubblicare che razza di tipino ha fatto il bello e il cattivo tempo con i soldi nostri e sulle nostre tragedie negli ultimi anni, e ancora non è detto che non sia pure per i prossimi. Infatti, e non poteva essere diversamente, Bertolaso, non avendo (nessuno al mondo ce l'ha) la faccia di tolla del suo capo, si è dimesso, ma il premier, che nei giorni scorsi aveva tentato di promuoverlo ministro sul campo, chissà forse proprio per farlo rientrare nella nuova normativa del legittimo impedimento, ha subito respinto le dimissioni: lui e i suoi amici, si sa, sono innocenti a prescindere. Anche senza intercettazioni, non si fatica ad immaginare che lo abbia pure cazziato, a quattr'occhi: e che ci si dimette cosi? e che ti sei messo in testa, che siamo un paese civile? siamo in Italia, svegliaaaa! che ti devo insegnare tutto, ti devo?
E infatti, per dare il buon esempio, eccolo al party elettorale di Renata Polverini che esibisce col solito sorriso la sua perfetta morale cattolica: "Quando vedo le belle donne perdo il filo (...) Gli italiani sono tutti così, o preferite quegli altri, Marrazzo per esempio? Sono cattivo, mi andrò a confessare". Attenzione: non sto dicendo sarcasticamente la solita cosa, che la Chiesa per mero utilitarismo si allea con sto po' po' di soggetto nonostante sia un esempio da manuale di pluripeccatore; no, sto dicendo seriamente che è esattamente questa la morale cattolica, a cui l'Italia deve tutti i suoi ritardi e mali storici: niente responsabilità, siamo peccatori ci confessiamo e passa tutto. Tra l'altro, ciò spiega perfettamente il suo successo elettorale: gli italiani lo abbandoneranno solo quando avranno bisogno di un capro espiatorio bello grosso, e avranno pronto un altro Papi cui obbedire tacendo e fottendo ciascuno come può.
Così, anche tramite un'impostazione diversa, arrivo a quello di cui volevo parlare. Leggete attentamente questo articolo di Gianluca Freda, vi si sostiene con lucidità e chiarezza una tesi che condivido dai tempi di filosofia politica all'università: la democrazia è una forma di potere come un'altra, affermatasi per via della sua maggiore forza dovuta alla sua minore riconoscibilità. In altre parole, i cittadini sono ugualmente succubi dei sudditi, ma - a differenza di questi ultimi - credono sia colpa loro, in quanto sono loro che in teoria eleggono i loro cosiddetti rappresentanti, e quindi anzichè ribellarsi ai potenti se la prendono gli uni con gli altri per via delle rispettive scelte politiche. Il ragionamento lo troviamo anche in un pezzo di Nobili di qualche anno fa, un po' più tecnico ma anche con un filo di speranza: la democrazia sarebbe un gioco che in ogni caso conviene giocare, pur con la consapevolezza che non è la cosa che dicono. Chiosando Nobili, cioè, i cittadini hanno questo vantaggio rispetto ai sudditi: possono rivolgersi ai potenti pensando "non mi freghi, so che comandi tu, ma poichè per farlo hai bisogno di questa finzione che è la democrazia, io faccio finta di crederti e la uso per ottenere quanta più libertà e peso decisionale posso, mentre il suddito poteva solo ribellarsi e venire ucciso o imprigionato in caso (quasi certo, se studiamo la storia con la statistica) di insuccesso". Invece seguendo la più rigorosa logica di Freda si aprono scenari imprevedibili, è vero, ma uno dei più probabili è finire dalla padella della democrazia alla brace della dittatura dichiarata, anche se è anche vero che piano piano ci stanno cuocendo comunque con questa dittatura strisciante. Oppure no: rileggendolo alla luce di quanto dicevamo sulla morale italica, viene da pensare che invece la democrazia a noi italiani non ci ha mai fregato sul serio, siamo una minoranza, in qualche momento storico più rilevante ma non certo adesso, ad averci creduto.
Preferiamo che ci si dica cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo credere, e in cambio ci si lasci allargare ciascuno nello spazio che può, coi confini tra legalità e illegalità permanentemente labili. Tanto, per decidere davvero bisogna studiare, pensare, ragionare con la propria testa: tutte cose faticosissime. E nella storia d'Italia, chi ci ha provato ha sempre pagato pegno, dagli esempi più grandi, i magistrati ammazzati dalla mafia con i mandanti in politica, a quelli più piccoli, i commercianti che si confrontano con il racket del pizzo. Questo pezzo degli amici di Stostretto, a proposito della bella pensata confindustriale di penalizzare chi è acquiescente, è un buon esempio di quanto sopra: quelli che credono alla favola dello Stato di Diritto ci rimettono sempre, spesso la pelle, ma quanto possiamo biasimare quanti non ci credono e tentano almeno di salvare la propria vita e quella dei propri cari?
L'unica soluzione, ma certo non la più probabile, tuttaltro, sarebbe allora intraprendere un percorso di crescita collettiva e individuale di tutti, diverso da quello storico del nostro Paese e opposto da quello imboccato negli anni del regime berlusconiano, in cui si punti - con la riserva mentale necessaria, innescata dalla consapevolezza della realtà dei meccanismi di potere e appunto della "finzione" democratica - alla realizzazione di un equilibrio di poteri di tipo liberale, appunto in Italia mai conosciuto se non in parte e oggi anche in quella parte scientemente smantellato. Fuori metafora: una magistratura libera e potente è l'unico modo che abbiamo di impedire ai ladri di sentirsi autorizzati anche a maramaldeggiare, come questi che festeggiavano mentre all'Aquila la gente moriva sotto le macerie. E si preparano ancora, nonostante pluriinquisiti, a togliere qualsiasi controllo sui loro comitati d'affari trasformandoli in SpA.
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