Il 19 luglio del 1992 una utilitaria imbottita di esplosivo ci portò via Paolo Borsellino assieme a quasi tutta la sua scorta, poco dopo qualcuno svelto di mano ci portò via la sua agenda rossa con dentro non sappiamo cosa ma se fosse stato poco importante l'avrebbe lasciata lì. Da un paio di mesi il giudice sapeva di essere nel mirino, da quando l'attentatuni si era portato via il suo amico e sodale Giovanni Falcone con la moglie e ancora quasi tutta la scorta. Era onesto ma non ingenuo Paolo, forse oggi avrebbe lasciato molte tracce elettroniche dei suoi ragionamenti ma allora non si usava, o forse nemmeno perché oggi come allora non sai mai di chi puoi fidarti, chissà. Di certo (per chi ci crede) c'è solo la giustizia divina, perché per quella terrena si può parlare al massimo, anche se e quando si arriva a sentenza penale definitiva, di verità giudiziaria e non di verità senza attributi. Ma il punto è un altro, e ce lo ricorda lo stesso Borsellino in questo passaggio famoso e troppo spesso colpevolmente dimenticato:
L'equivoco su cui spesso si gioca è questo.Ci si dimentica spesso, dunque, e noi italiani in questo esercizio siamo purtroppo maestri, ed è questa la madre di tutti i nostri problemi, che la responsabilità politica è faccenda molto più seria della responsabilità penale, si gioca sui convincimenti più che sulle prove, e (come in amore se il tuo comportamento mi induce a non avere fiducia in te) il sospetto è già abbastanza per prendere le distanze e rovesciare l'onere della prova sul sospettato, che può sempre riscattarsi ma se la deve sudare. Uno che è sospettato di essere anche solo in odore di rapporti con la criminalità dovrebbe essere emarginato politicamente molto ma molto prima di una sua eventuale condanna penale, e un Paese che si comporta da decenni esattamente nel modo opposto merita eccome di finire in schiavitù come sta per succedere a noi.
Si dice: "Quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto". E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: "Beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest'uomo è mafioso".
Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza, si è detto: "Ah, questo tizio non è stato mai condannato, quindi è un uomo onesto".
Ma dimmi un poco: ma tu non ne conosci gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre, soprattutto i partiti politici, a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati".
(Paolo Borsellino, dalla lezione del 26 gennaio 1989 all'Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa)
E' questa la ragione per cui il comportamento del presidente della Repubblica con riferimento alle intercettazioni di Mancino è semplicemente inqualificabile, vergognoso, da incriminazione per alto tradimento. Perché tu per il ruolo che occupi a quelle chiamate non devi rispondere, a chi fa da tramite lo cacci con ignominia, e comunque per dimostrare che non hai niente da nascondere sei tu che chiedi la pubblicazione integrale delle telefonate. Invece questo figuro vilmente si trincera proprio dietro il ruolo che infanga, e addirittura ricorre all'Alta Corte contro la magistratura, di cui poi sarebbe il supremo garante. E il segretario del suo partito di provenienza nonché in teoria aspirante premier, anziché finalmente scaricarlo, eccolo che gli fa da scudo. Che vomito!
Ecco quindi che ciascun cittadino che voglia dimostrarsi degno di questo appellativo, anziché meritarsi come più appropriato quello di suddito, ha il dovere prima ancora che il diritto di immaginarsi, sceneggiarsi nella testa, non solo ogni singola telefonata che questi autentici malfattori pretendono di nasconderci, in questo come in tutti gli altri episodi in cui da anni torna sempre il tema delle intercettazioni, ma anche tutto il film della cosiddetta "trattativa tra Stato e Mafia", e se nel farlo commette qualche errore pazienza, la colpa è di chi non gli ha raccontato la storia com'è andata costringendolo a lavorare di fantasia. Questo è il soggetto del mio, di film:
1943. Gli Stati Uniti hanno bisogno di una testa di ponte per sbarcare in Sicilia, arruolano Lucky Luciano e tramite lui contattano la mafia, che in cambio vuole un patto col partito politico che secondo i prossimi accordi con l'URSS avrebbe necessariamente dominato la scena politica nei decenni successivi. L'accordo tiene fino al cambio di scenario internazionale: il quadro politico si complica, e complice un'accresciuta coscienza civica popolare alcuni elementi in seno alla magistratura e alle forze dell'ordine alzano la cresta, non è sufficiente ammazzarne uno ogni tanto come si è sempre fatto, di recente con più frequenza: occorre alzare il tiro.Sarà tutta fantasia, ma come soggetto per Hollywood mi sembra molto più interessante, e in ogni caso molto ma molto più credibile della storiella che tentano di propinarci, quella secondo cui un paio di contadinotti latitanti da decenni avrebbero imbastito una trattativa con esponenti dello Stato che barattasse l'eliminazione del carcere duro con la fine degli attentati. Come direbbe Totò, ma mi faccia il piacere!
1992. Mentre ci si sta organizzando per una propria forza politica autonoma e autonomista, che faccia squadra con analoghe forze nascenti al Nord per finalmente smembrare questa costruzione artificiosa che è l'Italia, un picciotto bibliofilo ha un'idea: c'è un suo protetto di Milano con manie da Napoleone, che lui tiene per le palle da sempre al punto di avergli messo un boss dentro casa, che fa al caso nostro, cioè al caso di cosa nostra. E' un bel progetto, ma per avere speranze di attuarlo prima bisogna togliere di mezzo quei due cacacazzi che credono davvero in minchiate come la legalità la giustizia eccetera. Li abbiamo tollerati pure troppo.
Se ci pensate bene, con questo soggetto come lente tutta la storia patria si rilegge capendola molto meglio. Da Salvatore Giuliano a Salvo Lima, da Giulio Andreotti a Forza Italia, da Enrico Mattei a Gheddafi, dal permanente sottosviluppo del meridione d'Italia a confronto con la rapidissima integrazione della Germania Est, dal fallimento di tutte le riforme elettorali e di tutte le manovre di bilancio fino ad aver dovuto consegnare mani e piedi legati il Paese ai banchieri per non essere stati capaci di tenere corruzione evasione e sprechi entro un livello endemico per ogni democrazia. Una tragedia puntellata da una serie impressionante, del tutto inedita nel cosiddetto mondo occidentale, di uccisioni, stragi, attentati quasi tutti restati senza autori e tutti senza mandanti. Una cosa così drammatica da poter essere rappresentata efficacemente solo con un testo satirico su uno ska liberatorio....
Nessun commento:
Posta un commento