martedì 24 luglio 2012

LA NOTTE CHE VIENE

No, non ho visto nemmeno questa, è un pezzo che vedo solo nero...
Chi non ci crede si vada a rivedere, o se non l'ha visto di corsa (è un capolavoro assoluto) a vedere, La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, il film che meglio rappresenta con evidenza tale da fartela toccare con mano la concretezza della frattura che comporta la guerra (come ogni vera crisi, che è frattura anche nel significato originario) nel tessuto sociale e nella vita di ciascuno a cui tocca di attraversarla. Amici che si sparano vicini che si ingannano dignità sospese vita e morte a braccetto odori che si vedono: questo è il capolavoro dei Taviani, vedere per credere. Oltre al fatto che, come qualsiasi altro film ambientato durante la guerra o nell'immediato dopoguerra, al limite qualunque altro di quell'epopea fantastica del nostro cinema chiamata neorealismo, ci ricorda che cosa davvero è la vita quotidiana al di fuori, nello spazio e/o nel tempo, della fragilissima torre d'avorio che ci hanno costruito sotto e che sta per crollare.
Tre generazioni fa, due per quelli della mia età, non millenni, si campava in un modo che oggi porterebbe molti di noi al suicidio. Mio nonno aveva due abiti di lana per stagione, due caldi due freddi, tutti grigi, completi di panciotto, e cambiava una camicia alla settimana, quando faceva il bagno, nella "concolina", la bagnarola di ferro che poi fu soppiantata da quella di Moplen, anche se non sono sicuro lo facesse tutte le volte. Io si, lo facevo ogni settimana, ma non più spesso (mi sarei ribellato), da piccolo assieme a mia sorella per risparmiare acqua, e la sera per non lasciarmi sporcare le lenzuola mia madre mi lavava alla meno peggio gomiti ginocchia e piedi anneriti nel gioco. Non avevo pantaloni lunghi estivi, quelli invernali erano presto arricchiti da toppe alle ginocchia, come giacche e maglioni, ma mio padre andò in calzoni corti anche d'inverno fino a 18 anni: quando cominciò a lavorare da fuochista alle ferrovie i primi lunghi glieli diedero loro. Non sto raccontando di una famiglia povera o scarsamente propensa all'igiene, anzi, nonno era diplomato e ci teneva all'aspetto, papà fece presto carriera e andava a ballare comprava i dischi e aveva la cabina al lido comunale, e nel quartiere eravamo tra i fighetti, gli altri bambini restavano sempre giù in strada a sudare e non si lavavano mai. Era semplicemente un altro mondo, di cui per immaginarsi oggi l'odore occorre andare in Egitto o in India, e allontanarsi dalle strade per turisti. Un mondo dove nessuno andava in vacanza all'estero, poche famiglie avevano due auto, i ragazzi avevano i jeans strappati per usura e non perché era figo, il mio; nessuno andava in albergo se non per necessità estreme, quasi nessuno aveva la macchina, si mangiava bene una sola volta al giorno, quello di mio padre; nessuno andava in ferie e nessuna donna lavorava fuori casa, andavano quasi tutti a piedi o in bici, si facevano tanti figli perché così tolti quelli che morivano piccoli te ne restava qualcuno, quello di mio nonno. Sto facendo una sintesi estrema: chi è giovane si faccia raccontare dai nonni, chi ha qualche anno in più dai padri. Ma la sostanza è questa: il tipo di vita che facciamo in Italia nel 2012, mediamente, è grosso modo questo dagli anni 80, assolutamente non prima. Trent'anni. Un soffio. Ed è stato possibile solo a patto di lasciare che il debito pubblico scoppiasse dal 30 al 130% del PIL (dopo, sono stati solo tentativi, di ridurlo, più o meno riusciti a seconda della serietà dei governanti e della contingenza economica) ad opera di ladri che ovviamente si tenevano il grosso del bottino distribuendo il resto. Le premesse indispensabili a questo si erano fissate nei 30 anni precedenti, un altro soffio, col piano Marshall (leggi: coi soldi americani in funzione antisovietica) e l'esportazione del modello di sviluppo keynesiano (uno dei due fattori con cui gli USA erano usciti dalla Grande Depressione: l'altro fu la guerra) con adattamento alle realtà europee.
Provo a dirla con parole diverse. L'umanità ha sempre vissuto a livello di sussistenza, a stento. Chi per nascita e/o forza poteva affrancarsi da questo è stato sempre una esigua minoranza. La rivoluzione industriale non ha cambiato ciò, ha solo introdotto tecnologie capaci di moltiplicare lo sfruttamento della terra, moltiplicando di un fattore parabolico la possibilità teorica di sostegno di esseri viventi sul pianeta: perciò per diventare da uno a sette miliardi (o quanti cavolo siamo) ci abbiamo messo un secolo o poco più mentre per diventare un miliardo ci avevamo messo millenni. Vivere ammassati nei luoghi di produzione ha creato la coscienza di classe del proletariato e quindi tutto quel movimento di idee che si è estrinsecato nel socialismo e dove poteva nel comunismo, la democrazia occidentale e i connessi welfare state e consumismo sono le tattiche concepite dal capitalismo per disinnescare queste idee: ti faccio credere di governare, ti fornisco condizioni  materiali mai viste da nessuno dei tuoi antenati, e ti tengo buono. Vinto il comunismo, finisce la ragione per cui devo tenere in piedi questa farsa, e riprendono ad operare (sulla scala mondiale resa possibile dal salto tecnologico nelle comunicazioni) quelle stesse forze naturali per cui alla fine ci deve stare un numero esiguo di dominanti e tutti gli altri alla sussistenza risicata. Non serve altro per spiegare la globalizzazione e la crisi attuale, il resto sono tutti dettagli. E se le risorse del pianeta non bastano più, molti in un modo o nell'altro dovranno soccombere. Punto.
Gli scienziati della ossimorica crescita sostenibile, che si sbattono per trovare un nuovo moltiplicatore energetico che soppianti il petrolio e renda possibile che il pianeta sostenga ancora più gente, sono pochi e malpagati, e di ciò le loro scarse possibilità di successo sono assieme causa e conseguenza. I teorici della decrescita hanno ragione, solo un volontario ripensamento dell'impronta ecologica di ciascuno di noi può rendere teoricamente possibile continuare la vita sul pianeta, salvo che sono degli illusi sia a pensare che questa presa di coscienza possa riguardare un numero significativo di persone senza un evento enormemente drammatico a convincerle (una guerra, una vera crisi) sia a ritenere che esista uno stile di vita compatibile con tutti i miliardi che siamo diverso dalla mera e risicata sopravvivenza. E quindi chi guarda le cose da un punto di vista sufficientemente alto sa già, da tempo, che un evento traumatico che riduca nettamente la popolazione mondiale può essere rimandato, anche se non annullato, solo da un appiattimento verso il basso delle condizioni di vita di tutti. Tutti: perché mai uno che nasce in Italia dovrebbe avere diritto a più cose di un suo cugino nato in Tunisia, al punto che quest'ultimo sia disposto a rischiare la vita in mezzo al mare pur di avere una minima speranza di avvicinare le proprie condizioni di vita a quelle del suo cugino fortunato? Era una stortura, e sarà annullata, già ora i nuovi arrivi di extracomunitari sono in calo e gli italiani sono in concorrenza nei locali, nelle pulizie, nella musica di strada: a quando nei semafori?
Il progetto Euro è parte di questa strategia, ogni giorno è più evidente. I governi non provano neanche più a indossare la maschera democratica, i giovani non hanno nemmeno più l'aspettativa di trovare un lavoro stabile e forse nemmeno sanno più nulla dei diritti che avevano "conquistato" i loro padri, il fiscal compact è un prelievo di ricchezza forzoso netto e prolungato. Ma se anche fosse alle porte, e non lo è, un totale ripensamento della UE in senso keynesiano, con la piena occupazione della forza lavoro al primo punto e la politica monetaria a girarci attorno, bisognerebbe avere la forza politica e militare per difendere questa costruzione da Russia Cina India Brasile e ancora Stati Uniti, e non è affatto detto.
Insomma, da che parte ancora non si sa, ma in ogni caso sta arrivando la guerra, la crisi vera, e non ci resta che rinchiudere la testa tra le braccia, chiudere gli occhietti santi, e recitare la filastrocca della bambina protagonista e voce narrante de La notte di San Lorenzo, finché non smettono di fischiarci attorno le pallottole e allora forse potremo riaprirli e scoprirci con sorpresa ancora vivi. Felici del nostro unico vestitino, dei nostri sandali rotti, della fetta di pane senza condimento distribuito come una leccornia, del gioco coi nostri coetanei inventato con niente, dell'unico uomo della nostra vita che ci aspetta se e quando saremo grandi.
Mardocchio e Mardocchiante,
San Giobbe aveva i bachi.
Medicina medicina,
un po' di cacca di gallina,
un po' di cane, un po' di gatto,
domattina è tutto fatto.
Singhiozzo singhiozzo,
albero mozzo,
vite tagliate,
vattene a casa.
Pioggia pioggia, corri corri,
fammi andare via i porri…

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