Buona lettura.
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Rinviato il tramonto dell’offshore svizzero. Infatti, il Rapporto della Boston Consulting indica una crescita dei patrimoni esteri gestiti e dei residenti stranieri facoltosi, in barba alla duplice stretta contro il segreto bancario guidata dall’Ocse e dalla Ue. Intanto alle frontiere svizzere porte aperte per i ricchi, stop agli immigrati. La civiltà del capitale..
di Stelio Fantani
Porte aperte per i milionari, e per i miliardari, mentre un No-Pasaran secco e asciutto per i migranti provenienti da Paesi in via di sviluppo, cioè poveri, o emergenti. Sullo sfondo un modello istituzionale così riassumibile: sei ricco? Non possiedi la cittadinanza elvetica? I redditi di cui sei titolare li guadagni con attività al di fuori del confine svizzero? Bene, in questo caso solo il possesso d’una proprietà, o il suo affitto, potrà stimolare il fisco ad interessarsi a te. Risultato, 7.200 miliardari, 90 ogni 100mila abitanti, risiedono stabilmente all’interno dei confini della Confederazione elvetica. Il dato, in evidenza all’interno dell’ultimo Rapporto sulla ricchezza privata mondiale elaborato dalla Boston Consulting Group (BCG), non si ferma solo al numero dei super-ricchi, ma si sofferma anche sulla frequenza dei titolari di patrimoni netti che superano il milione di dollari. Così facendo il numero dei residenti svizzeri agiati, e tra i quali molti sono in realtà stranieri, si moltiplica tanto da stabilire una sorta di primato mondiale mai prima raggiunto, ovvero, 135 milionari ogni 1000 abitanti. Riassumendo, su 8 milioni di abitanti più del 10 per cento appartiene a classi agiate o ultra-facoltose. Gli immigrati restano fuori, dal Rapporto.
Lo scambio d’informazioni e il tramonto del segreto bancario non scalfiscono i tesori elvetici – Negli ultimi anni, in particolare a partire dal 2013, l’accerchiamento guidato da Ocse, Unione Europea e Stati Uniti nei confronti dell’eccesso di riservatezza garantito dal sistema giuridico svizzero ai trasferimenti di somme cospicue presso le banche cantonali o nei forzieri dei giganti della gestione dei patrimoni privati, Credit Suisse, Ubs ecc.., sembrava destinato a correggere e a riorientare i flussi dei capitali che transitano tra Zurigo, Losanna e Ginevra, nel senso d’una riduzione. Al contrario, i dati della Rapporto pubblicato di recente dalla BCG certifica l’opposto. Infatti, sono ben 2.400 i miliardi di dollari, provenienti dai patrimoni privati di cittadini non elvetici, che sostano all’interno dei caveaux degli istituti di credito e delle banche svizzere. In pratica, ¼ della ricchezza privata mondiale offshore è gestita tra le alpi svizzere, dato questo che fa di Berna la l’Hub indiscusso della finanza mondiale, almeno con riferimento alla gestione dei relativi asset patrimoniali.
L’origine dei patrimoni stoccati in Svizzera – In effetti, non è una vera sorpresa, il fatto che il 35per cento delle ricchezze custodite nella Confederazione abbiano una provenienza prettamente europea, in particolare europeo-occidentale. Insomma, Francia, Germania, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Austria ecc…sono i clienti maggiori della prima industria, quella della finanza, su cui la Confederazione esibisce le migliori performance. Insomma, l’Europa, ostile sul piano fiscale e istituzionale, ma grande elargitrice del successo e della ricchezza elvetici.
Dubbi all’orizzonte – Ad ogni modo, il Rapporto della Boston Consulting non riconosce in via assoluta la supremazia svizzera. Allo stesso tempo, infatti, segnala come Singapore e Hong Kong crescano oramai ad un ritmo maggiore rispetto a Berna, sempre sul piano della gestione degli asset patrimoniali. Ciò implica che con l’accentuarsi delle pressioni esercitate dalle autorità internazionali, Ocse e Ue, e dai singoli Stati, in primis Usa, Germania, Francia e Italia, la posizione di vertice della Svizzera all’interno del settore offshore non è affatto garantita né granitica. Anzi, sarebbe una scelta razionale, e lungimirante, iniziare fin d’ora, nonostante l’apparente successo, a ridisegnare la piattaforma strutturale, industriale, sociale e intellettuale, su cui la Confederazione poggia. E questo per evitare che in futuro, non troppo lontano, una crisi forte e irreversibile dell’offshore non metta a rischio e non pregiudichi i livelli di ricchezza e di capacità che distinguono il paese transalpino. Insomma, è tempo di cambiare direzione, anche per la Svizzera.
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