Comincio da Le ricette di nonna Carmela perché incredibilmente, anche per me stesso, nonostante si tratti di una iniziativa editoriale dallo scopo benefico chiusasi più di cinque anni fa (la storia la racconto appunto nella pagina statica relativa, Cucinoperdiletto), il gruppo Facebook omonimo al tempo creato per supportare l'iniziativa sul versante social network ancora oggi registra, chissà come e perché, delle richieste di iscrizione, di persone evidentemente curiose che poi magari faranno un giro nel gruppo e resteranno deluse dal vederlo inattivo da tempo. Adesso, però, ogni post sull'argomento, dal primo di oggi con la prefazione fino all'ultima ricetta, sarà "spinto" sia, come tutti gli altri, sui gruppi Whatsapp e Facebook di Controinformoperdiletto, sia sul suddetto gruppo Facebook del libro di ricette, e sarà come "regalare" a puntate questo a chi non ha avuto l'occasione di comprarlo a suo tempo, contribuendo alla relativa iniziativa benefica in Guinea Conakry. Nonna era generosa a livello imbarazzante, ne sarebbe contenta.
Ecco il testo della prefazione, tenete presente che è dei primi mesi del 2011.
Una persona che vive molto a lungo è una sorta di macchina del tempo. Ad esempio, Sandro Ciotti, morto qualche anno fa ad “appena” 75 anni, ha avuto come padrino di battesimo nientemeno che Trilussa: ecco perchè si può dire che attraverso gli occhi di un vecchio si può vedere un altro mondo.
Carmela Giuffrè è morta nel 2003, poco prima di compiere 95 anni: era già nata quando ci fu il terribile terremoto che distrusse Reggio, Messina e province, facendo oltre 50mila morti di qua e 80mila di là. Ha quindi vissuto la prima infanzia e l’adolescenza nelle baracche dei terremotati, che sono posti duri da viverci oggi figurarsi cos’erano agli inizi del secolo scorso. Ha fatto la terza elementare, e poi via, ad imparare un mestiere: la sarta. Si è sposata a 22 anni: tardi, per gli standard dell’epoca. Ed allora ha avuto la sua casa popolare, e per la prima volta il gabinetto in casa e la cucina. A carbone. In tutto ha fatto “solo” quattro figli, l’ultimo dei quali per “festeggiare” la fine della seconda guerra mondiale. Tre di loro hanno avuto figli, alcuni di questi ultimi a loro volta pure: Carmela ha conosciuto i pronipoti laureati, e forse tra un po’ avrebbe visto la propria quarta generazione. Ma era già un immenso albero, il tronco fortissimo di un enorme baobab, pieno di rami più o meno fertili. Uno sono io. Un altro la figlia Luciana, 72 anni quando è morta Carmela 80 oggi, mai sposatasi e sempre convivente con una madre che le ha sempre impedito di accostarsi alla cucina: conscia alla fine che avrebbe dovuto imparare l’arte culinaria in via postuma (e adesso, incredibile, se la cava), a un certo punto ha cominciato a prendere appunti su un quaderno. Ed io, che per quindici anni ogni volta che volevo provare una ricetta (ma anche altre volte, facendo un po’ finta di averla dimenticata, visto il piacere che le faceva ricordarmela...) la chiamavo e me la facevo raccontare per telefono, rigorosamente in dialetto, messe le mani su quel quaderno ho fatto due più due, ed ecco il risultato.
Si tratta di una raccolta di ricette poverissime. Tanto che probabilmente chiunque legga troverà di conoscere qualcosa per arricchirne molte. Ma sono esclusivamente frutto di pura tradizione orale riportata il più fedelmente possibile da un’epoca in cui i mezzi erano pochi e bisognava industriarsi con quelli. Ma tutta la migliore tradizione culinaria italiana, a pensarci bene, deriva da questa povertà. Per cui le ricette di nonna Carmela sono buonissime così.
Provatele, ma vi avverto: per quanto vi possiate applicare, non verranno mai così buone come quando le faceva lei. In fondo, siete fortunati a non averla conosciuta.
P.S.:
di ogni ricetta trovate gli ingredienti quasi sempre senza quantità, perché le donne non misurano, sanno, e la nonna è la Donna per eccellenza; avendo imparato da lei, ad esempio, io non so dirvi quanto sale ci va in un tot di acqua o cibo, ma guardo quello che devo salare, prendo il sale con le mani, e non sbaglio più da anni: fate lo stesso, andate a occhio, e aggiustatevi con l’esperienza;
i testi in calabrese sono frutto della mia personale traslitterazione della lingua reggina, con regole coerenti tra loro ma magari non con altri autori; i testi in italiano non ne sono la traduzione letterale, tanto è vero che spesso sono molto più lunghi o molto più corti;
qualcuno potrebbe trasalire nel non trovare come si aspetterebbe tonnellate di peperoncino in un ricettario calabrese; sappia allora che i reggini, anzi i riggitani, non sono calabresi né dal punto di vista linguistico né da quello culinario, perché le distanze si misurano in tempo e non in chilometri, e oggi come sempre è l’area dello Stretto l’unità culturale cui fare riferimento: Reggio e Messina sono Terra di Mezzo tra Calabria e Sicilia, dove com’è noto si mangia agrodolce piuttosto che piccante. Basta spostarsi di pochi chilometri dal capoluogo, però, per trovare la cucina calabrese di montagna, a base di funghi, cacciagione, peperoncino, nduja, e il piatto regionale “maccarruni ‘i casa c’u zzucu d’a crapa”. Roba che io ho imparato ad apprezzare, ma che forse mia nonna non ha mai mangiato…
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