Il penultimo racconto (terzultimo, col cappello finale, quartultimo, se pensiamo che il cappello finale in realtà è almeno doppio) di Chi c'è c'è (mia prima e unica opera di narrativa fino all'uscita di Sushi Marina nei prossimi mesi) è ancora oggi uno dei miei preferiti. Chiunque abbia scritto qualcosa sa che a rileggersela dopo tanto tempo (e qui è tanto: il libro è uscito nel 1999) il sentimento che prevale è la vergogna, e io non faccio eccezione, nel mio rapporto con questi racconti, alcuni dei quali hanno origini ancora più remote, peraltro. Ma con questo qua no, non so se perché è uno degli ultimi ad essere stato scritto, o perché non so nemmeno io come mi è venuto di inventarmi che una degli astronauti a bordo della navicella mandata nello spazio profondo come ennesimo tentativo di perpetuare la specie di un pianeta ormai avviato all'autodistruzione, la giovane thailandese che narra, sia in realtà una clandestina, non vi dico come e perché solo per via del fatto che spoilerare quattro righe sopra non ha senso.
20 - OMICIDIALI ASSASSIMILI
Ho dodici anni, e lavoro da uno in un bordello a Bangkok. Mio padre mi ha venduta, ma lui aveva una colpa relativa: doveva sfamare altre dieci bocche. Una colpa maggiore ce l’aveva il caporale, quello che mi ha comprata. Girava per i villaggi in cerca di ragazzine neanche appena sviluppate, solo quel tanto carine da attizzare i desideri dei clienti. Non è neanche il padrone dei bordelli il vero colpevole, ancora, anche se ha fatto i miliardi sui corpi di migliaia di noi: è chi compra, chi viaggia anche mezzo mondo per avere una bimba da dominare, magari da uccidere, pagando il giusto. Queste però sono cose che capirò dopo: ora ho dodici anni, e odio mio padre.
Anche se ormai non dovrei più: prima di partire ho vuotato nella sua ciotola un veleno antico che mi aveva donato mia nonna e tenevo dentro il mio anello magico. Non l’ho visto morire, ma so di che morte è morto: non ha sentito niente di strano nel riso, ma poco dopo si è deformato in una smorfia paradossa, e forse è affogato nella sua bava prima che gli si fermasse il cuore. Lo so perché è così che è morto anche il caporale, l’intermediario: gli ho messo il resto del veleno nella borraccia. Non ci fossero stati i suoi due sgherri non ci sarei neanche arrivata, qui.
Sono intelligente. Ho capito subito, un anno fa, che le ragazzine più dure, quelle che non realizzavano e si ribellavano, in poche parole quelle che non imparavano il mestiere, quando dopo un po’ sparivano non è che le rimandassero a casa. Anzi, erano i soggetti perfetti per i giochi più proibiti di tutti, quelli in cui la bestiolina era immobilizzata, violentata nei modi più impensabili, e poi uccisa lentamente ed atrocemente: in quanto opponevano resistenza, facevano godere di più i loro carnefici.
Invece vedevo attorno a me ragazze più grandi, adolescenti, dai modi morbidi e dal cuore di pietra, ma cresciute e vive. Ed esperte. Ecco perché ho dodici anni e già sono una delle puttanelle più richieste di Bangkok.
Bevo alla spina e al bicchiere tutti i liquidi che la tua cannella produce, e tu giureresti che mi piace, a vedermi. Puoi anche sborrarmi, o farmi i tuoi bisogni piccoli e grandi, addosso: te lo chiedo con occhi grandi e voluttuosi. E ti mordo, mi piace il tuo sangue. Ma quest’ultima cosa davvero: da quando quello stronzo di tedesco si è fatto legare e poi mi diceva “mordimi, mordimi, più forte, più forte”, e io quasi glielo staccavo ed il sangue non si fermava più ed io credo sia morto dissanguato e l’abbiano fatto sparire, ma non ho conferme, nessuno mi ha detto niente. E nessuno mi ha fatto niente: nessuno mi tocca, qui, finché sono così richiesta.
Ora ho tredici anni e un americano mi vuole comprare. Non è facile farmi uscire dalla Thailandia, ma lui ha i soldi, molti soldi, e ci riuscirà. Però io non voglio andare: una volta ho visto una cassetta di una ragazzina che, diciamo, recitava benissimo, troppo bene, la sua morte di scannata. Non credo che chi ha girato il film potesse permettersi quegli effetti speciali, né volesse. Ho uno spillone per i capelli che ti può spaccare il cuore, cocco, ma prima devi portarmi fuori di qui. Ciao, padrone mio e di tutti i bordelli, per ringraziarti del trattamento ti bacio in bocca, mentre ti graffio appena appena con il ciondolo del mio bracciale, e scusa se è tardi, tesoro, ma addio. Addio, che il veleno che c’era in punta tra cinque minuti comincerà a paralizzarti poco a poco, fino a toglierti il respiro. La tua amatissima compagna, quella troia stronzissima che mi ha tanto voluto bene, ha anche lei il suo regalino: le ho lasciato nel letto Jon, il mio scorpioncino letale.
Arrivati in America, non posso aspettare lo scenario che mi ha organizzato il mio nuovo padrone ciccione: ci saranno altri. Per fortuna è sera. Sono bravissima a fingermi eccitata: gli tocco tra le gambe, lo guardo negli occhi e gli chiedo di accostare. Glielo prendo in bocca che è ancora moscio, e mi cresce dentro istantaneamente. Sta impazzendo, perde il controllo: mi tiro su, mi tiro su la gonna e non ho mutande, non ho peli, e la cosa lo eccita ancora di più. “Vieni, cocco”, ed è già lì che armeggia, ma è presto…. Ecco, ora che non capisce più niente, mi sciolgo i capelli…. Lo ritroveranno col mio stiletto che gli trapassa il cuore da dietro in avanti, con precisione chirurgica: lo sguardo ebete, il cazzo duro.
Scappo, si, ma poi che faccio? Non ho documenti, non ho dove dormire, non ho un lavoro… No, quest’ultima affermazione non è mai vera per chi ha un’arte. Entro in un motel che ha fuori un certo movimento, mi bloccano e mi portano subito dal capo. Mi guardano tutti a bocca aperta; pure lui, ma è indifferenza di maniera, si vede. Dico di avere sedici anni, mi arruolano. Mi piace, qui: almeno non sei una schiava, anche se trattengono la maggior parte di quello che incassi. La mia sapienza è molto apprezzata, e poi non devo quasi mai fare le cose più atroci. Quelli che vengono qui non hanno i soldi per trasvolare il pacifico, né quella dose di sadismo, anzi capita più spesso chi vuole farsi legare che viceversa. E poi ho una casa, delle amiche, o giù di lì.
Ho un uomo. Oramai ho diciott’anni, e l’anno scorso ho fatto innamorare il protettore. Mi ha portata via dal casino, adesso lavoro in casa. E’ più rilassante, e ci pagano di più. O meglio, lo pagano di più. Non mi sembra giusto. Lui è buono con me; relativamente, intendo: merita di non soffrire molto, morendo. Fortuna che in America le armi le vendono liberamente: pistola piccola, cuscino grande e azione rapida, gli ingredienti. Mentre dorme, cuscino in testa e giù sei colpi per essere sicura di non averlo mancato. Troppo sangue, devo cambiare anche il materasso, porca puttana: è più difficile che fare sparire il cadavere.
Adesso ho vent’anni, e ho già cambiato quattro città. Sono piuttosto esperta, oramai, nell’avviamento dell’attività in una nuova piazza. Vivo alla giornata: so che presto o tardi sarò pizzicata. E’ per via della scia di cadaveri che mi lascio dietro. Dovrei smetterla, lo so, ma è più forte di me. Quando quello mi chiese di raparmi la passera perché così gli ricordavo una certa bimba thailandese io lo accontentai, si, ma con un rasoio da barbiere, che così quando su mio preciso invito si abbassò a leccarmela (e non poté dire di no, liscia com’era), con un colpo secco gli ho reciso la carotide.
Da allora, ogni volta che incappo in qualcuno che mi puzza appena di pedofilo, lo cancello dalla faccia della terra. Oramai la sento come una missione, quasi me li vado a cercare, e mi vesto da bimba (che ancora ne ho il fisico) dimenticando che spesso molti uomini hanno in sé inespresse tutte le perversioni peggiori, e magari è naturale, ed è loro merito se le controllano e le sublimano in giochi erotici. Non mi fermo più: gli stano l’anima peggiore, e gliela stacco dal corpo. Mi prenderanno, prima o poi, lo so.
Poi, qualche mese fa, quella foto sul giornale mi fa sobbalzare: sono io, quella, fammi leggere! Ma non dice “assassina”, dice “astronauta”, e il nome non è il mio. Siamo identiche, mi viene un’idea: prenderò il suo posto, tanto le selezioni le ha già passate tutte. Lei non aveva colpe, la sua morte è stata indolore. Non apriva ai rappresentanti di commercio, di solito, ma a quella sua connazionale così carina non ha saputo resistere; e quel rossetto al cianuro le donava moltissimo, però!
Il mio destino, d’altronde, non è stato migliore. Credevo di aver risolto tutti i miei problemi con questa sostituzione di persona, il mio riciclaggio, la svolta della mia vita. Già il fatto di non dover più uccidere, di non dover più scopare, mi ha fatto sembrare i mesi dell’addestramento un lungo sogno. Così quando ho realizzato appieno quello che ci attendeva era troppo tardi, e quel tubicino che avevo in vena mi eiaculava dentro la vita eterna, e nello stesso tempo mi succhiava via la vita vera.
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