venerdì 8 giugno 2018

EPPUR SI MUOVE

Firenze, 1981. Quello a sinistra sarebbe il prete....
Ho iniziato a definirmi "ateo" da adolescente. Da adulto avrei smesso, preferendo il termine "agnostico" non so se per prudenza mia o maggiore precisione sua, o in genere per la considerazione elementare che anche l'ateo è un credente: crede che Dio non esista, e la cosa non è più dimostrabile del contrario. Cmq, al liceo ero ateo, e però avevo "ottimo" in Religione. Perché l'insegnante, Gernaldo Conti (uno che è rimasto un mito presso i ragazzi di tutte le città in cui ha operato, uno che ancora oggi, che è diversamente giovane e variamente acciaccato, ha una marea di followers dei suoi videomessaggi social, per dire...), un prete a dir poco sui generis al punto che la sua parrocchia di periferia durante le sue funzioni traboccava letteralmente di ragazzi perché era per loro un fratello maggiore che parlava la loro lingua e conosceva i loro problemi, riusciva a dialogare anche con un caprone come me, che lo ricambiava passando le ore di religione in classe con lui e pochi altri a disquisire di questioni teologiche ed etiche, mentre gli altri magari erano svicolati in cortile a giocare o addirittura via da scuola un po' prima, tanto era l'ultima ora...
Da quelle ore nacque una delle mie prime "fatiche letterarie" (le virgolette sono per pudore e autoironia...), un libercolo autoprodotto che mi pare si chiamasse Dialogo tra un ateo e un Papa, dovete capirmi come molti al liceo adoravo Leopardi in genere e le Operette morali in particolare, e se lo trovo, e soprattutto se vinco la vergogna, giuro che ve lo propino. Per ora accontentatevi di questa canzone, solo di qualche anno appresso, che vi invito (come per tutte le altre, anche se non ci spero più) a chiedermi in uso per musicarla. Per quello che può servire, io l'ho pensata come un giro blues-rock veloce, come chi ci capisce può persino intuire dalla metrica dei versi.

EPPUR SI MUOVE

Quando il vecchio disse “eppur si muove”
non aveva proprio tutti i torti:
“non c’è niente di nuovo sotto il sole”,
i venuti sostituiscono i morti,
i venuti sostituiscono i morti.

Sono uscito perché non ne potevo più,
quella gente mi guardava male:
mi sentivo a posto come un pesce
in offerta speciale da un salumiere,
come un occhio destro sul sedere.

Sono uscito fuori stamattina,
la comunità mi ha sconcertato,
tutta unita come si volesse bene
ma pronta a guerre esterne ed intestine
fuori dalla casa del signore.

E la musica esiste per caso,
fortunatamente un giorno è nata
dall’accoppiamento di un rumore
fatto col culo con uno della bocca:
le scoperte del genio umano.

E la musica mi salva ancora
tra due casse in olofonia,
ma il quartetto rosa è una follia,
il professore una mia invenzione,
il musicista genio una finzione.

E la musica la sento solo
perché solo è la mia aspirazione:
fondamentalmente un asociale,
ma la colpa è loro e non è mia,
non sopporto la loro compagnia.

Ed allora – visto? – sono uscito
dopo che ho cercato di dar senso
a parole che lo hanno soltanto
dietro una grossissima finzione:
che siamo qui per scopo e non per caso.

È affascinante pensare di esser nati
per volontà di un essere superiore:
ti fa sentire le spalle al sicuro,
libero di metterla nel culo
a chi è disattento per un poco.

Certo, c’è chi vive giustamente
il messaggio per il suo valore,
ma è perché è giusto già nel cuore:
quello che ho sentito nelle messe
resta al margine di chi non ama.

È questione di invertire il nesso
di causalità tra amore e dio,
di non farne un’identità
che rischia di fornire alibi a buon mercato
a chi in fondo sa di esser stronzo.

Carte e vento ci hanno circondato,
sono costretto a fare ciò che vogliono:
sono stato bambino troppo poco
e lo sono oggi troppo a lungo
per distinguere tra vita e gioco.

Carte e vento, distinguerle da amore,
centro mio di gravità permanente:
voglio riuscire a essere coerente,
carte e vento non ce la faranno
a distogliermi da questo amore.

Il mio impegno non è mai orientato:
non ho mai cantato una canzone,
forse non inciderò mai dischi,
non farà mai un concerto fuori
dalle mura del mio gabinetto.

E’ difficile riuscire a attuarla,
e la gente certo non lo vuole:
la mia utopia è la più utopia di tutte
è l’amore senza controvalore
è libertà senza l’altro mondo.

E quella gente mi resta indifferente,
voglio darci anch’io un taglio finale
e vedere l’altra parte della luna
senza che Gesù mi sogni ancora:
non cercarmi, dio, io non ci sono.

Ti perseguiti per sempre il dubbio,
amore, non abbandonarti alle certezze,
non sentirti mai tranquilla che sia giusto
ciò che fai, quello che dici e che ti inventi,
ciò che ami, ciò che odi e ciò che senti.

E ho urlato “amami Alfredo” stamattina
tra il basso la chitarra e la batteria;
la vittoria non è il mio obiettivo vero,
quello è stato per me sempre la follia
di amare, intanto vivere, e annullarsi.

Questo è il sogno del papà di Roger Waters:
sono uscito stamattina dalla chiesa
perché la gente crede solo per egoismo,
e il discorso è facile ora da concludere:
vaffanculo a tutti e brindisi a me solo.

E il discorso adesso è facile da concludere:
vaffanculo a tutti e brindisi a chi vuole.
Spero solo che ascoltando queste cose
venga a tutti un mal di testa come il mio,
da far schizzare il cervello dalle orecchie.

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